La Pazza Gioia, un film di Paolo Virzì: un’esplosione di colori, emozioni e fotogrammi

“Il 4 marzo del mio compleanno del 2013 –dice Virzì– Micaela arrivò sul set de Il Capitale Umano a mia insaputa, era una sorpresa, e da lontano la vidi per mano a Valeria Bruni Tedeschi. Si incontravano anche loro per la prima volta e Valeria la stava guidando dal campo base fino verso il capannone del catering, tenendola per mano. Le ho viste per la prima volta insieme e ho pensato: ma guarda come sono buffe e belle e strane quelle due insieme. Forse quello è stato il giorno in cui è scoppiata una delle prime scintille che mi ha portato poi a fare questo film”.

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 Questa probabilmente l’epifania che ha spinto Paolo Virzì a dedicarsi alla realizzazione de’ La pazza gioia. La scelta del regista è caduta su due attrici belle, buffe, strane ma soprattutto perfette e grandi professioniste: Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti vestono i panni di Beatrice e Donatella e sembrano farlo con una naturalezza inaudita, con uno slancio forse intimamente desiderato e certamente liberatorio. In moltissime interviste, rilasciate in questi giorni dalle due attrici protagoniste e dal regista stesso, emerge infatti l’estrema gioia per essere riusciti a raggiungere l’obiettivo preposto: la volontà di esorcizzare alcuni mostri interiori e di sfruttare il potere terapeutico dell’arte.

Le radici di questo film sembrano rintracciabili nel terreno della sanità mentale e nella perdita della stessa: Donatella e Beatrice sono donne apparentemente fragili, reduci di esperienze di vita terribilmente difficili. I loro occhi e la loro gestualità, tanto quella dirompente ed invadente di Beatrice quanto quella schiva e trattenuta di Donatella, sono testimoni evidenti di questi trascorsi. Sono donne che non hanno potuto contare sulla vicinanza di un amore o di un’amicizia salvifica. Sono orfane di carezze lievi, abbracci inattesi e soprattutto della pazza gioia di vivere.

Così entrambe hanno dovuto imparare a convivere con i propri vissuti e talvolta ne sono state travolte.  Si ritrovano per queste ragioni a Villa biondi, una comunità di recupero, circondate da altrettante persone sole, perse in malvagi labirinti, di certo in difficoltà. Si incontrano, si scontrano e non si lasciano più, perché insieme trovano la via che non concede alle difficoltà di annientarle. Finalmente utilizzano le energie che avevano dimenticato di possedere.

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 Il risultato è un’esplosione di colori, emozioni e fotogrammi che non possono lasciare indifferente un pubblico attento e sensibile. La sceneggiatura curata da Francesca Archibugi ha una forte potenza evocatrice e delinea i contorni di questo legame in maniera perfetta. Emerge dunque la forza vitale delle relazioni umane: in un periodo storico in cui sembra che l’arrivismo e il benessere individuale abbiano avuto la meglio, questa pellicola è uno schiaffo violento e necessario. C’è un altro modo di muoversi e guardarsi intorno e Paolo Virzì ci accompagna pazientemente, a volte con una sana ironia, per mostrarci “l’altra via”.

Durante la proiezione potreste sentir piangere, sorridere o ridere di cuore. Poi il silenzio. È ancora buio in sala e forse in molti desidererebbero avere al proprio fianco la loro Beatrice o la loro Donatella. Chi è consapevole di avere anche solo un pezzettino di tale bellezza nella propria vita respira. Sente il piacere di aver visto un film, magistralmente realizzato, che sta già ottenendo numerosissimi riconoscimenti a livello internazionale. Subentra la speranza nell’arrivo di un calore che scaldi anche corpi paralizzati. Tornano le luci, tanti sospiri. Ecco la parola fine. Mai come in questo caso ha il profumo di un inizio.

Di Carla Giammusso

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