Big Data, quel che resta della privacy

Privacy, sensibilità dei dati personali, cyber security.

Siamo nell’era del Big Data, termine che indica una mole di dati così estesa in termini di volume da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore.

Immersi nel mare magnum delle tracce digitali lasciate su forum, social network e sistemi di cloud storage; ci illudiamo che i nostri dati personali siano protetti.

In realtà, abbiamo  deciso di compromettere volontariamente la nostra privacy nell’istante cui abbiamo effettuato il nostro primo log in.

Ci siamo offerti alla mercè di un’entità impalpabile e onnipresente che monitora costantemente le mosse, le preferenze di  ciascun utente, così da poter determinare con un margine di probabilità sempre più vicino a 100, quali saranno i nostri comportamenti futuri in termini di  gusti, acquisti, orientamento politico.

La prova

Avete percepito lo stipendio, strano ma vero, questo mese è andato meglio del previsto, potreste permettervi un soggiorno ad Amsterdam. Accendete il pc, andate sulla barra di ricerca di Google e cercate “voli Catania-Amsterdam”, iniziate a surfare tra offerte più o meno allettanti: viaggi smart, car sharing, alloggi etc.

Subito dopo realizzate che c’è un gap evidente, al momento incolmabile, tra la vostra disponibilità di spesa e il listino prezzi delle compagnie aeree. Anche quest’anno trascorrerete il Capodanno dalla nonna, giocando a briscola e mangiando noccioline.

Amsterdam è già un ricordo lontano. Afflitti e demotivati cercate di affogare la tristezza nel blu rassicurante di Facebook che forse poi così amichevole non è, considerato che vi dà il benvenuto con un bel banner di Edreams che sponsorizza la tratta Catania-Amsterdam.

Molto probabilmente non andrete ad Amsterdam nel breve periodo, tuttavia, Facebook giorno dopo giorno tramite inserzioni visibili sulla Home, vi ricorderà del vostro sogno proibito, acuendo magari quel senso di delusione e di insoddisfazione sorto in voi per l’occasione mancata.

Sono passati 10-30 secondi, in un lasso di tempo così breve, Google ha immagazzinato la nostra ricerca e ne ha già fatto merce di scambio.

L’origine

Windows 98, il fruscìo metallico e disturbante del modem sanciva l’inizio del collegamento, la home page di Virgilio…

Proiettati in un futuro che fino a pochi anni fa era solo un’illusione di qualche sparuto visionario californiano, eccitati, e loggati, e soprattutto eternamente vincolati, volendo utilizzare un eufemismo.

Ignari di tutte le speculazioni che da lì a poco avrebbero dato vita alla completa mercificazione dei nostri dati: nomi, cognomi, date di nascita, parole chiave, orari di collegamento per monitorare i flussi, preferenze.

Cos’è il Big Data

La quantità di dati che generiamo  sul web è più che significativa: smartphone, carte di credito, cloud, social networks di conseguenza tutti i log in lautamente e distrattamente processati su svariate piattaforme: Facebook, Instagram, Twitter, Amazon, YouTube, WhatsApp, Telegram, Ebay, Hotmail, Gmail, Libero, Google Drive, Skype, Snapchat, Dropbox; sono alcuni dei non luoghi digitali che abitiamo, comunità in cui comunichiamo informazioni e in cui ci relazioniamo molto spesso con altri utenti.

Lo scopo

La rivoluzione Big Data si pone l’obiettivo di riuscire a raggruppare e classificare questi dati tramite algoritmi capaci di trattare innumerevoli variabili in poco tempo, con poche risorse computazionali.

Collegare fra loro le informazioni per fornire un approccio visuale ai dati, suggerendo modelli di interpretazione fino a ora inimmaginabili.

Nel marketing, l’uso dei Big Data è finalizzato alla realizzazione di indagini di mercato, benchmark sul profilo degli utenti che compongono la domanda e  banche dati attraverso le informazioni provenienti dalla navigazione di un utente, dai precedenti acquisti, dai prodotti valutati o ricercati che permettono ai colossi del commercio di suggerire gli acquisti più adatti agli scopi del cliente, quelli che solleticano la sua curiosità e lo spingono a comprare per necessità momentanea, permanente o per semplice impulso.

Siamo quello che cerchiamo su Google.

L’esempio pratico

Gli algoritmi  del Big Data, per esempio, riescono a capire  se un utente è celiaco o intollerante ad un alimento tracciando le ricerche processate sul web e gli oggetti acquisiti in precedenza.

Se l’utente ha più volte ricercato la parola chiave prodotti gluten free, i motori di ricerca sono in grado di identificare che, con un alto margine di probabilità, quel determinato utente sia affetto da celiachia e quindi interessato ad acquistare prodotti relazionati a tale patologia.

Infatti, una volta individuato il particolare stato, a quella stesso utente verranno proposte speciali e coupon su prodotti inerenti agli interessi dimostrati tramite le ricerche effettuate sul web. Banner, newsletter e video pubblicitari inizieranno a proliferare nelle schermate del navigante.

Con l’aiuto dei Big Data, le stesse società emettitrici delle carte di credito hanno individuato delle associazioni inusuali per valutare il rischio finanziario di una persona.

Come evitare che i nostri dati vengano utilizzati per scopi commerciali e pubblicitari?

Per capire meglio i meccanismi che stanno alla base della trasmissione e del trattemento dei dati personali, è indispensabile capire qual’è la funzione dei tanto agognati cookie.

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