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Agnello: tutto questo dolce penare (con spoiler nuovo album)

Di Flora Miceli e Salvatore Giannavola

Agnello è progetto giovanissimo promosso da un gruppo di musicisti palermitani per i quali abbiamo preso una cotta artistica attraverso l’ascolto dei singoli “Casa Tua” e “Tutto questo penare”. Non a caso li abbiamo fortemente voluti sul palco del Sundays Festival dove si esibiranno questo sabato (21 luglio) insieme a La Municipàl, The Heron Temple, Meli e Lemandorle.

Ascoltando la loro musica ci si ritrova catapultati su una spiaggia californiana di qualche decennio fa. Il loro è un sound originale che risente delle sonorità della canzone italiana degli anni ’60 e dell’intenzione caratteristica del genere surf rock; tra gli stili più rappresentativi del rock & roll americano del secondo dopoguerra.

Il loro ultimo singolo “Marta”, uscito a marzo 2018 racconta con delicatezza dell’amore e dello scorrere del tempo e, nell’attesa che esca il loro primo disco, vi consigliamo di andarne a guardare il video. L’estetica e la ricerca stilistica di questo progetto non passano di certo inosservate.

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INTERVISTANDO GLI AGNELLO

Siete un gruppo emergente con uno stile molto particolare e definito, il vostro primo album non è ancora uscito, avete già vinto un contest e fra pochi giorni vi esibirete sul palco del Sundays Festival insieme agli artisti più in voga del momento.

Ma chi sono gli Agnello e com’è nato il vostro progetto?

Gli Agnello sono un progetto musicale nato Palermo alla fine del 2016, in bilico fra musica italiana anni 60, indie, pop, cantautorato, surf e chi più ne ha più ne metta. Il progetto nasce più o meno così: oramai stanco di lavorare e rilavorare sempre sulle stesse canzoni ho deciso di lasciarle andare pubblicandole in rete. I brani sono tanto piaciuti ad un gruppo di musicisti con cui ho poi fondato gli Agnello (Andrea Chentrens, Francesco Cardullo, Daniele Caviglia e Vincenzo Salerno).

A meno di un anno dalla nascita del “progetto Agnello”, avete vinto il primo premio del Trinacria Sound Contest 2017. Raccontateci com’è andata e cosa ne pensate dei concorsi per musicisti emergenti, anche in rapporto alle più recenti vetrine virtuali come Youtube o Spotify.

Non ci è mai piaciuta l’idea di contest a dire la verità, preferiamo festival e rassegne senza vinti e vincitori. In ogni caso ben vengano, i contest sono delle fantastiche occasioni per uscire e conoscere alcuni fra i tanti capacissimi artisti che vivono il territorio (regionale e nazionale). Fa stupire quanta bella musica ci sia in giro fatta da gente altrettanto bella. Ci stiamo facendo degli amici e ne siamo contenti.

I vostri singoli raccontano un amore un po’ malinconico. Quanto è frutto di fantasia degli artisti e quanto invece tratto esperienze personali?

I brani raccontano esperienze personali, sono storie vere piene di interventi che provengono da altre esperienze e racconti, cose viste, canzoni per qualcuno. Come se ci fosse una confusione agitata da energie diverse e contemporanee che poi convergono in un’unica canzone e trovano la pace.

In controtendenza rispetto al recente successo della musica trap e street pop, il vostro sound strizza l’occhio alla musica surf degli anni ’60. Vi ispirate a qualche artista in particolare? E cosa ne pensate della trap?

Abbiamo i nostri riferimenti nazionali ed internazionali. Andiamo da Fausto Amodei ai The Shadows passando per altra bella robetta. Riguardo la trap, Fabio Rizzo (800A) ha detto meglio di come sapremmo fare noi: “Ci sentiamo ancora giovani ma pontifichiamo come chi nel ’77 si è trovato davanti al punk o nel ’97 davanti a Marilyn Manson. Con questo non voglio paragonare minimamente i fenomeni dal punto di vista artistico, ma la reazione delle generazioni più vecchie sì. E noi questa volta ci troviamo da questa parte. Anche se ci fanno schifo, Ghali, Sfera, Achille Lauro, vengono dalle periferie, dalle banlieue italiane, e hanno trovato il modo, con lavoro e sacrifici come tutti quelli che creano dal nulla qualcosa, di veicolare il loro messaggio con forza generazionale”. A noi manda in confusione, è però un nuovo linguaggio che dovremmo almeno cercare di capire.

Il vostro primo album è in lavorazione. Potete anticiparci qualcosa?

Condivideremo con voi un album particolare, composto da diverse atmosfere fra loro in armonia. Contiene 11 brani di cui 10 inediti. Due brani vedono la collaborazione dei sensibili e capaci Nicolò Carnesi e Alessio Bondì, sono più dei camei ma l’onore non è meno grande per noi. Siamo tanto soddisfatti del nostro album d’esordio, speriamo tanto possa piacere anche a voi.

Palermo è la vostra città d’origine ed è lì che state producendo il vostro album. La città influenza il vostro modo di fare musica?

Assolutamente sì. Se può essere anche una sfortuna, il bello della Sicilia è che riesce a starsene un po’ fuori dai grandi giri, vive le sue rivoluzioni e le sue punizioni con abbastanza autonomia da non cadere in tentazione dei suoni (meritevoli) della scena romana o, per fare un altro esempio, milanese che dominano il mercato della nuova musica indipendente.

Grazie alla produzione artistica di Donato di Trapani, Carlo Miles Prestia e Francesco Vitaliti siamo riusciti a incidere su disco i racconti del nostro mondo, senza tradirci e accontentare nessuno meno che la squadra che ci ha lavorato, non badando a quello che funziona e non funziona. Non avremmo saputo che farcene di un disco già sentito, la sfida è provare a creare qualcosa che non ci sia già.

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