Scacco

Scacco: “L’inizio del viaggio” del cantautore fiorentino

Gianni Scacco, o più semplicemente Scacco, è un giovane cantautore di Firenze con alle spalle parecchia esperienza musicale; comincia a scrivere e comporre molto presto, ricevendo da Mogol il primo premio nell’ambito della trasmissione televisiva in onda su Rai Uno “Io Racconto”.

Oggi Scacco presenta il suo disco “L’inizio del viaggio”, frutto di un lavoro lungo oltre due anni, che ha coinvolto nomi della musica italiana come Matteo Costanzo (Ultimo, Briga, Wrongonyou), Leo Pari e Giuseppe Taccini.  All’interno dell’album sono presenti anche due featuring, con il cantautore rap Bucha e con Blue Virus.

L’uscita del disco è stata anticipata dal video di “Sono vivo” e della presentazione in anteprima a Roma per Spaghetti Unplugged, fucina di talenti della capitale.

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INTERVISTANDO SCACCO

“L’inizio del viaggio” contiene 12 brani ed il primo è “Sono vivo”: la scelta di questa canzone come brano d’apertura ha un significato particolare? 

“Sono vivo” è un brano molto particolare. Dal primo momento in cui ho scritto di getto la prima strofa ho pensato che sarebbe stato l’intro del disco. Non c’era niente, l’album era ancora in fase embrionale. Venivo da un periodo fortunato e non potevo immaginare che dietro l’angolo mi stesse aspettando uno dei periodi più bui mai vissuti. È nato come un inno di gioia: “Sto tornando, sono vivo!” e in questi due anni lunghissimi si è trasformato in un grido di rabbia contro tutti quei “Vaffanculo” che per me costituiscono metaforicamente le porte in faccia. Il mio primo progetto ufficiale non poteva non iniziare con “Sono vivo”.

“Palazzetti” sarà il prossimo singolo; è una canzone indirizzata a qualcuno (magari qualche collega che ha iniziato insieme a te nei piccoli club) o una visione d’insieme della musica italiana al giorno d’oggi? 

Premetto che dall’uscita del disco non avrò più molti segreti. Mi sono aperto a tal punto che, chiunque abbia tempo e voglia di conoscermi a fondo, dopo aver ascoltato tutte le tracce, mi conoscerà più di mia madre. Dal primo momento in cui ho condiviso qualche frammento di “Palazzetti” nelle mie storie, la domanda più gettonata è stata: “A chi è dedicata?”. Posso dirti che è dedicata a una persona con cui ho condiviso molti momenti belli della mia vita.

Oggi ce l’ha fatta e i suoi brani sono acclamati da migliaia di persone. Tra questi c’è una canzone, in particolare, che parla di noi, quella che nel ritornello di “Palazzetti” definisco “la nostra canzone”. Adesso vorresti sapere di chi sto parlando ma credo che rimarrà l’unico grande mistero intorno al disco. Magari un giorno ve lo diremo insieme sul palco di un palazzetto, chissà.

 

Ma tu come vedi questa trasformazione della musica italiana? Adesso non solo i “big” riempiono i palazzetti o i grandi club, ma anche chi viene dall’underground. Pensi sia una dimensione giusta o si rischia di creare una bolla riguardo la musica live? 

Se ti rispondo da artista collocato in un circuito underground, non posso non essere felice del periodo che sta attraversando la musica indipendente. Prima c’era solo il bianco o il nero. O Vasco (uno a caso) o niente. Oggi è pieno di sfumature ed è bello che sia così. I ragazzi si stancano subito dei colori definiti, hanno bisogno di tante sfaccettature: del grigio scuro, di quello un po’ più chiaro. C’è spazio per tutti.

Pensare che un ragazzo in poco tempo, con un progetto interessante, possa riempire un palazzetto è la svolta più grande di questo periodo ma, come tutte le cose, ha i suoi pro e i suoi contro. La sovraesposizione da subito senza un percorso graduale a farti da sostegno è, in molti casi, il preambolo di un’ inevitabile discesa.

In ogni caso penso che l’artista che con la propria musica riempie un palazzetto ha tutto il diritto di stare lì, che faccia questo da due mesi o da vent’anni.

“Vasco a Sanremo” sembra un po’ la continuazione del messaggio di “Sono vivo”, un riscatto, un ritorno, un dire “ eccomi qua! “ : c’è un concept dietro il tuo album? 

Tutti i brani sono autobiografici. Forse è questo il vero concept. Non riesco a raccontare una cosa che non ho vissuto. “Vasco a Sanremo” l’ho scritta pensando a quanto è difficile per noi che facciamo questo mestiere rincorrere un concetto di “affermazione”, ormai sempre più astratto. Pensa se Vasco, dopo l’ultimo posto a Sanremo, avesse pensato che la musica non facesse per lui o si fosse sentito un pesce fuor d’acqua. In quel momento lo era ma la storia ha dimostrato che è stata la sua forza. Ha perseverato. Oggi ti stroncano a un talent show e già sei con le mani ai capelli. Come pensi di lasciare il segno?

“L’inizio del viaggio” è stato prodotto da due nomi interessanti della musica indipendente: Matteo Costanzo e Leo Pari. Qual è stato il loro apporto alla tua musica? 

Questo disco ha attraversato varie fasi di produzione prima di trovare la strada che più gli rendesse merito e che, soprattutto, fosse coerente con l’idea iniziale di arrangiamento che avevo in testa. Alcuni produttori che hanno messo mano al progetto sono noti ma non posso citarli per gli stessi motivi conflittuali che vi ho accennato rispondendo alla prima domanda.

In quei momenti in cui ne avevo sopportate talmente tante che non riuscivo più a vedere la fine del tunnel, è iniziato il mio rapporto lavorativo con un ragazzo che con grande professionalità ha trovato il vestito migliore ai miei brani senza toccarne i testi e la melodia. Avevo già ascoltato le sue produzioni per Ultimo, Briga, Wrongonyou innamorandomi della sua dote straordinaria di cogliere il meglio da ogni progetto artistico. Mi riferisco a Matteo Costanzo. Oggi è più che un produttore, è un amico e sono fermamente convinto che senza il sodalizio artistico che abbiamo costruito, brani come “Palazzetti”, “40”, “Ho capito che va tutto bene”, “Vasco a Sanremo”… avrebbero assunto vesti totalmente diverse.

Leo Pari invece ha prodotto il brano “Nell’era dell’immagine” (6^ traccia del disco, featuring Bucha). Era un brano che avevo nel cassetto da un po’ che rischiava di non trovare spazio all’interno del progetto. Io e Leo ci conoscevamo solo virtualmente, avevamo qualche conoscenza in comune fra gli addetti ai lavori. Ci siamo dati appuntamento un annetto fa in una birreria dietro il Duomo di Milano, lui stava registrando il disco in quel periodo, io frequentavo un’ accademia di musica da quelle parti e, parlando del più e del meno, ci siamo ritrovati sui Navigli a ipotizzare di far qualcosa insieme per il mio disco. Così è stato.

Quando mi chiedono di Leo racconto spesso un aneddoto interessante legato al mio nome. Avevamo appena finito le prime session di registrazione in studio e davanti alla solita birretta mi dice: “Dovresti cambiare nome. Scacco. Tieni solo il cognome, è molto più d’impatto”. L’idea ci balenava in testa già da mesi e Leo, senza saperlo, ha dato lo sprint finale. Se avessi rinunciato a quella birretta forse oggi sarei ancora Gianni Scacco.

Matteo Costanzo e Leo Pari sono romani, tu di Firenze: come ti sei trovato in questo mix di “scuole di cantautorato”? 

Roma e Firenze sono le due città più presenti nel disco ma hanno giocato un ruolo importante anche Milano e Torino. Roma è sicuramente la città a cui sono più legato artisticamente, probabilmente perché la associo alla fioritura del mio progetto.

Sono partito per Roma con l’intento di dare una svolta al mio disco che a Milano era ancorato in una direzione che non mi appagava. Ho cestinato e stravolto tutto mettendo in primo piano la mia musica contro qualsiasi perdita economica o precedenti scelte sbagliate. Se tornassi indietro lo rifarei perché oggi Roma è il fulcro del progetto Scacco.

Parafrasando una tua canzone, quando hai capito che va tutto bene? Che sensazione ti ha dato mettere la parola “fine” ad un disco su cui lavoravi da due anni? 

“Ho capito che va tutto bene” prende in giro le frasi fatte, tutte quelle cose che si dicono per sdrammatizzare ma che fondamentalmente nessuno pensa. Essendo profondamente scaramantico, ho sempre diffidato da chi dice “va tutto bene”.

L’ho pensato solo una volta, in studio insieme a Giuseppe Taccini (un altro pilastro fondamentale del mio progetto) quando abbiamo ascoltato la versione definitiva del master del disco. Ultimo solo di chitarra di Mario Romano sul finale di “Titoli di coda”. Ho trattenuto a stento la lacrimuccia mentre in quel momento mi scorrevano davanti agli occhi tutti i sacrifici di mia madre, le delusioni, i pianti, gli anni della scuola e in fondo “ho capito che va tutto bene”.

Dopo l’uscita de “L’inizio del viaggio” siamo sicuri che salperai verso altri porti: quali sono i prossimi obiettivi di Scacco? 

Troppo buoni. Incrociamo le dita!

Intanto posso dirvi che siamo già partiti con le date.

Il 16 giugno ho presentato il disco in anteprima al Marmo a Roma in full band ospite di Spaghetti Unplugged

Da settembre ripartiremo con un calendario fitto di date invernali. Ci saranno tante belle sorprese. Comunicheremo tutto tramite il mio profilo Instagram @scaccoofficial.

Veniteci a vedere in giro per l’Italia!

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