Dal dialetto veneto all’inglese, gli FGMD raccontano la vita attraverso la musica

Dalla periferia nord di Treviso al palco della prima edizione del Core Festival di Venezia. Loro sono gli FGMD, nove folli che reinterpretano il folk in chiave anti-melodica, tra mandolino, violoncello, fisarmonica e tantissimi altri strumenti.
La band trascorre l’adolescenza tra la boscaglia ed i fontanassi del parco adiacente all’ex manicomio e una soffita malsana, adibita a sala prove.

Il progetto FGMD prende forma ufficialmente dopo un viaggio nel quartiere trevisano di Selvana, con una cassetta di musica irlandese nell’autoradio della loro vecchia tipo. Il gruppo è così riuscito a ritagliarsi una piccola nicchia nella scena musicale trevigiana folk-alternativa, grazie a svariati concerti, sul palchi nazionali e internazioanli.

Le sonorità del gruppo si sono evoluto nel tempo, prendendo una direzione folk-patchanka e irregolare, vicino a contaminazioni klezmer, balcaniche e punk.
Il risultato del lavoro degli FGMD è stata la pubblicazione, lo scorso maggio, del primo album di inediti “Se ti perdi tuo danno“, anticipato dal signolo Sorry we are boozing e dal video del secondo singolo Caigo. Una raccolta di brani che racconta avventure passate, grida, risate e tanto altro, tutto da scoprire.

INTERVISTANDO FGMD

Ciao ragazzi. Partiamo dalla domanda più scontata di tutte, ma doverosa: che cosa vuol dire FGMD e perché avete scelto questo nome per la vostra band?

Potremmo rispondere in dialetto stretto e tutto in cap locks, ma a quanto pare Liberato ci ha già pensato, oppure dare l’ottima interpretazione che il Bullo dei Rumatera ci ha consigliato, ma sarebbe poco opportuno… scripta manent. Cheddire? È un acronimo e ci piace che sia interpretabile, la nostra versione la facciamo urlare al nostro pubblico durante i concerti (per fare i studiati potremmo definirla un’operazione maieutica ed apotropaica). Un indizio?
Venite a sentirci!

Siete una band di 9 elementi. È difficile mettere d’accordo tante teste diverse?

Molto, ma forse è la parte più bella, ognuno con la sua idea di musica, le sue passioni e preferenze, abbiamo professioni molto diverse (designer, psichiatra, professore, chimico, cuoco, e chi più ne ha più ne metta), viviamo in città e nazioni diverse (Treviso, Bologna,Svezia, Indonesia). Quello che ci accomuna e ci fa andare avanti unitissimi è una fratellanza di più di 20 anni ed il fatto di essere cresciuti insieme.

Infatti tante delle nostre canzoni parlano di storie accadute a noi. Tante teste diverse significano anche un mix unico di riferimenti, e infatti crediamo che la nostra musica non sia facile da inquadrare!

Alternate brani in inglese a brani in italiano e in dialetto veneto. Perché avete fatto
questa scelta?

Abbiamo iniziato con l’inglese, per facilità e per permetterci di dire volgarità con molta disinvoltura. Poi ci siamo guardati e
ci siamo chiesti: “Ma perchè scrivere in inglese quando siamo tutti dello stesso quartiere di Treviso?” allora abbiamo iniziato a introdurre l’italiano. Caigo, la canzone in dialetto veneto, è un quadretto dolceamaro delle nostre zone che parla di abitudini radicate, di angoli meravigliosi e dello scempio causato dallo sfruttamento del territorio.

È stato scritto dal nostro cantante nelle sue giornate amare di freddo e buio in Svezia.

“Sei cresciuto come noi nel quartiere dei briganti”. Cito Fiamma, uno dei brani del vostro album, per chiedervi: quanto il luogo da cui venite, la periferia nord di Treviso, ha influenzato e influenza tuttora la vostra musica?

Come dicevamo sopra, moltissimo. Siamo o siamo stati tutti all’estero per lunghi periodi, eppure continuiamo a tornare e trovarci nei luoghi dove siamo cresciuti, a bere vino con le stelle tra i meandri dello Storga. Stare in periferia è un po’ un modo di essere d’altronde. Stiamo sulla periferia dei gusti musicali dominanti, sulla periferia in Italia che è già periferia… eppure cerchiamo di essere il meglio che le zone distanti da centro offrono: pulsanti di vita vera, di idee e di festa non ancora “organizzata”.

Lo scorso maggio è uscito il vostro primo album di inediti, Se ti perdi tuo danno. Come avete scelto il titolo di questo primo vostro lavoro? Siete soddisfatti della vostra opera prima?

Se ti perdi tuo danno è il motto rappresentato nell’asso di bastoni delle carte trevisane. Vogliamo presentare il nostro lavoro come un asso, ma non quello bello e splendente di denari, e nemmeno quello orgoglioso e marziale di spade, ma come l’asso semplice, di bastoni.

Se ti perdi tuo danno parla inoltre di quel limite fra il divertimento travolgente e la follia che si raggiunge ai nostri concerti, un equilibrio difficile tra normalità e balli sfrenati e folli.

L’album è stato anticipato dal singolo Caigo, accompagnato da un video realizzato durante uno dei vostri live all’Home Rock Bar di Treviso. Nonostante sia il “resoconto” di una vostra performance, ha degli elementi grafici che lo rendono interessante e diverso. Di chi è l’idea del video e chi lo ha curato?

Certo, ringraziamo gli amici dell’Home Rock Bar per la disponibilità e l’interesse che da anni dimostrano verso la nostra piccola realtà. L’idea e la realizzazione delle grafiche è nata da un’idea del chitarrista, Giovanni Pezzato, che ha dato vita ai nostri sogni deliranti che sono una specie di resa grafica del mondo immaginario che ci portiamo dietro, fatto di esagerazione e crudezza che gioca con gli elementi del proibito e del pauroso ma fa anche sorridere.

La saggia realizzazione del video è stata curata da un bravissimo videomaker di Torino, Mirko Rispoli, a cui vanno tutti i nostri complimenti.

Se ti perdi tuo danno è stato anticipato anche dal singolo in inglese Sorry we are boozing, un brano che fa sicuramente venir voglia di far festa e pogare. Com’è nato questo brano?

Un singolo che si porta dietro un incalzare frenetico, una serie di strumentali molto tipici per noi. È forse uno dei pezzi del disco più vicini ad un nostro live. Canta in maniera scanzonata di avventure e disgrazie.

Dei 9 brani di “Se ti perdi tuo danno” qual è quello che vi rappresenta di più?

Credo che si potrebbe avere una risposta diversa da ciascuno di noi! Balla ad esempio è una ballata dedicata al nostro ballerino, che al momento vive in Indonesia, e vuole provare a raccontare la magia che riesce a portare su un palco con il sorriso e l’ironia. L’allucinata Steel neck hen parla di un incubo popolato da serpenti e una gallina dal collo d’acciaio avuto in una tormentata notte in un bivacco in montagna. Gustatevi l’assolo di chitarra che descrive l’avvicinarsi della gallina!

Hostel invece racconta della nostra passione per gli ostelli e l’umanità pittoresca che vi si trova. Clunker parla di un fantastico catorcio color oro, una Multipla prima serie, che da 450.000 Km ci porta imperterrita per il mondo, e dell’amarezza dei viaggi e dei momenti di libertà che finiscono e continuano a vivere nei ricordi.

Ogni canzone avrebbe bisogno di una spiegazione per capire i temi, a volte criptici. È stata una scrittura lunga, e forse è il lavoro nella sua interezza a rappresentarci al meglio!

Vi siete esibiti sul palco del Core Festival lo scorso giugno. Com’è andata questa esperienza? Avete in programma altre date per quest’estate?

Molto bene! Quest’estate abbiamo suonato ad un po’ di festival importanti nella nostra zona (Core festival, Festa d’estate di Vascon…) poi abbiamo fatto una breve tournée tra Zurigo e Lubiana. A fine agosto saremo 2 giorni in versione buskers al Ferrara Buskers Festival. Che altro? A settembre avremo l’onore di suonare anche in un rifugio di alta montagna, un’esperienza che non vediamo l’ora di fare! Abbiamo anche altre date in lavorazione, tra Italia ed estero…

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