Blu | Indie Tales

“Vai piano!” mi dice sempre “e guarda avanti”.

Ma che ci posso fare se è così bella. Amo guardarla, amo quando s’incazza.

Il bello del nostro rapporto è che non è come tutti gli altri. Sì, lo so, è quello che dicono tutti gli innamorati.

È che non ci adagiamo mai, noi. Cambiamo sempre senza farlo a posta. Cambiamo tragitto, idea all’ultimo, idee in generale. Viviamo sul filo del rasoio e questa, per assurdo, è la nostra sicurezza. È ciò che ci mantiene vivi, vivi insieme.

Se fossimo un colore, saremmo il blu. Il colore dell’ignoto, del mare profondo, di un mondo inesplorato. È come se ci conoscessimo da sempre, ma ogni volta impariamo qualcosa di nuovo. So sempre a cosa pensa, conosco il colore dei suoi occhi, ma non il nome dei suoi zii.

L’altra sera siamo andati a cena fuori e poi abbiamo deciso di partire per il weekend, così, senza neanche passare da casa a prendere vestiti e spazzolino.

La nostra storia ha il sapore dell’estate, quell’aria di libertà che c’è solo in vacanza.

Con lei mi sento libero di dire tutto ciò che mi passa per la testa, di fare quelle cose che ho sempre voluto fare, ma che ho sempre rimandato. Mi piaccio quando stiamo insieme.

Parliamo per ore del più e del meno, ma stiamo anche spesso in silenzio. Amo stare in macchina con lei. Che poi ci siamo incontrati in un momento in cui vivevo tutto con estrema serietà, ero molto pignolo, a lavoro davo tutto me stesso. La sera a letto presto e la mattina si ricominciava. Poi un giorno, strappo alla regola. “Dai, vieni stasera, ci sono tutti!” “Ti pare, è mercoledì, domani ho una giornata infinita in ufficio” “E dai, non muore nessuno se per una volta dormi tre ore in meno”.

Non so perché, ma ho dato retta al mio amico insistente e a quella festa l’ho vista. Era bellissima, semplice da far paura. Muoveva le mani in continuazione mentre parlava. Aveva quel non so che tipico di chi ha qualcosa di grande dentro, pronto ad esplodere. È la tipica ragazza che non ha bisogno di mettersi in tiro, forse non ci pensa nemmeno. Una di quelle a cui piace avere il capello fuori posto. Mi ha intrigato immediatamente. E ora è qui, accanto a me, che mi afferra la mandibola e mi gira la testa per farmi guardare la strada. Ma non c’è niente da fare: mi rigirerò sempre verso di lei. Che fortuna ho avuto. Chissà cosa l’ha davvero colpita di me, cosa le ha fatto scattare la scintilla. Ecco, questa è una delle cose che non so di lei, ma che forse non le chiederò mai. Quello che importa è che ora sia qui accanto a me. Pur di tenerle la mano, cambio le marce con la sinistra. Quelle mani! Le ho notate subito: così affusolate, disinvolte, senza smalto. Si muovevano nello spazio, quasi a disegnare traiettorie immaginarie mentre spiegava cose a gente, gente invisibile intorno a lei. Avvicinarmi fu inevitabile, e poco dopo iniziammo a parlare, e ci trovammo subito d’accordo sul fatto che il mondo ormai sia in mano ai radical chic. “Guardati intorno” mi ha detto a voce bassa, spostandosi al mio fianco. “Tutti Nanni Moretti” scoppiai a ridere. “Dico sul serio! Tutti annoiati, cinici e saccenti. Che sembra ti stiano facendo un favore a parlare con te.” La guardai e desiderai ardentemente un suo bacio. “Esclusi i presenti, sia chiaro” disse prima di dare un sorso alla birra.

Ero d’accordo con il suo discorso, ma devo dire che nonostante le sue idee, un po’ l’aspetto da radical ce l’aveva anche lei. Ma non dissi niente. Non sono mai stato un fan della provocazione come forma di seduzione.

Eccola, la mia radical. La osservo per un secondo e mi giro a guardare la strada da solo, stavolta.

“Ti ricordi il primo discorso che mi hai fatto?” chiedo mentre mi fermo al rosso.

“Quale?”
“Quello sull’esercito di Nanni Moretti”

Ride.

“Come no. Perché me lo chiedi?”

“Perché – ora te lo posso dire – era proprio un discorso da radical chic”

Come osi!” ride, pizzicandomi la pancia.

“Sono sicuro che Nanni direbbe lo stesso. Sareste grandi amici”

“Ma va, sciocco. Ora muoviti che sennò tardiamo al vernissage di Marina Abramovich”

Ridiamo a voce alta come due scemi e limoniamo duro finché il semaforo non diventa verde.

Amo il suo senso dell’umorismo e il fatto che non se la prenda quasi mai sul personale. Amo il suo profumo, il sapore delle sue labbra sulle mie. Amo…

“Eli”

Si volta a guardarmi, il viso ancora rosso di sghignazzi.

“Ti amo”

“Ti amo anch’io, Nanni”.

Accosto immediatamente solo per baciarla di nuovo.

 

Racconto liberamente ispirato al brano BLU dei VOINA