Il regalo che non so | Indie Tales

Ho sempre odiato il freddo, e quel Dicembre l’aria era più gelida del solito.

Mi buttavo fuori casa ogni mattina spinto da non so quale forza, e la sera rientravo sfranto come se avessi corso 30 km senza sosta. Ero sfinito. “Stanco di vivere”, come diceva il mio psicologo.

Erano mesi che vivevo sulla difensiva, che non conoscevo persone nuove, che eliminavo a priori qualsiasi opportunità di cambiamento.

Ma se il destino ha qualcosa in serbo per te, stai sicuro che trova il modo di bussare alla tua porta.

Quella mattina mi buttai, appunto, a peso morto giù dal letto. Lavai i denti appoggiato al lavandino, mi infilai i vestiti seduto sul letto sbadigliando e fissando la parete giallo ocra della mia stanza.

Montai in sella al mio destriero su due ruote con l’intento di andare a lavorare e mi inoltrai nella nebbia della mia città. Anche se mi ero trasferito da poco, facevo la stessa strada da settimane per andare in ufficio. Conoscevo bene il percorso e sapevo anche che l’ultimo semaforo prima di arrivare a destinazione era sempre rosso, quindi potevo passare indisturbato. Ma mi sbagliavo.

Schiantato a terra in meno di un secondo. Il motorino a qualche metro di distanza. Ahia.

Steso sull’asfalto umido e strozzato dal cinturino del casco allacciato male, vidi apparire sullo sfondo grigio del cielo un viso di donna molto piccolo da cui scendeva un’enorme cascata di capelli rossi, lisci come spaghetti. Talmente lunghi che mi solleticavano dappertutto.

Feci per alzarmi, ma mi bloccò a terra tenendomi per le spalle.

Continuava a chiedermi se stessi bene, cercando la risposta da qualche parte sul mio viso.

Camilla e i suoi capelli rossi, più lunghi di qualche centimetro, ora dormono accanto a me, dandomi le spalle. È così piccola e fragile, ma mi ha dato tutta la forza che mi serviva per tornare ad amare la vita.

Il giorno dell’incidente scoprii che Camilla era un’infermiera e che per fortuna non mi ero rotto niente. Ma qualcosa, dentro di me, si è aperto per lasciar entrare un’ondata di luce nuova.

Camilla sa come mi sentissi in quel periodo, prima di incontrarla. Sa bene cos’abbia significato per me il nostro incontro. Ma non credo che si renda davvero conto di quanto io le sia grato per la sua presenza, per come ha cambiato la mia esistenza.

Momenti come la colazione, adesso, sono sacri per me. Io e lei che mettiamo la sveglia prima solo per goderci un quarto d’ora di sguardi, seduti al tavolo della cucina a mangiare una semplice barretta intinta nel caffè latte. È come se ci facessimo un regalo che non so.

Oppure la sera, quando dopo cena giochiamo sul letto come due bambini, a tirarci i cuscini e a saltare fino ad avere il fiatone.

A volte torno così stanco e incazzato da lavoro che, per come sono fatto io, scaricherei tutto addosso a lei come un barile, sfogandomi su chi mi ha fatto cosa e su quanto la vita sia ingiusta. Ma con lei è impossibile.

Mi basta vedere quel musino, quel piccolo ovale circondato da una cascata di capelli rossi per tornare in pace con me stesso e col mondo.

Spero davvero di essere in qualche modo anch’io un balsamo sulle ferite di Camilla, di farla sentire viva. Ma lei non ne ha bisogno.

Ama così tanto la vita da non accorgersi di essersi innamorata di uno che, fino a un minuto prima di conoscerlo, era morto da tempo.

Racconto liberamente ispirato al brano IL REGALO CHE NON SO di SEKAS