Barche: il naufragio a due di APICE e svegliaginevra | Intervista

In un mare di nuove uscite APICE e svegliaginevra hanno deciso di salpare insieme capitanando a due il loro nuovo singolo Barche, uscito il 10 luglio. Appresa questa notizia non abbiamo resistito ad invitarli a raccontarci come sia venuta fuori la loro collaborazione, nonostante condividono da tempo il loro porto sicuro, l’etichetta spezina La Clinica.

Svegliaginevra ci racconta di come non è più in transito con Simone, ma ha deciso di spostarsi come un accento per vedere che effetto faceva all’altro il vivere senza di lei, ma alla fine come fanno le onde, il tempo poi ci spiegherà.

In caduta libera è invece APICE, che dopo il Beltempo, ci ha voluto mostrare la costruzione della vita dal deserto, la crescita del fiore sopra le macerie, il temporale prima dell’arcobaleno del suo ultimo singolo Precipitare.

INTERVISTANDO APICE+SVEGLIAGINEVRA

Svegliaginevra, il tuo nome è un “automonito” a non perdersi troppo e soltanto nel proprio mondo, la musica è indubbiamente per te un risveglio dei sensi. Come tieni e come hai tenuto allenati i tuoi bioritmi musicali durante questo periodo (al confine col reale)?

Questo periodo di quarantena forzata mi ha insegnato ad usare bene il tempo. Ho scritto il disco d’esordio. Sono stata lì a suonare, analizzare, sperimentare, visualizzare bene i miei programmi e le mie necessità.
Ho letto libri lasciati a metà e che avevo sul comodino da un po’, ho dipinto quadri e consumato film e telefilm su Netflix. E’ stato un periodo storicamente tragico e tuttora dobbiamo essere cauti e convivere con un virus che ha portato via molte vite. Speravo in un paese più civilizzato e abbiamo dimostrato di esserlo ma non come avremmo dovuto. Morale a parte, non ho sofferto molto all’idea di restare chiusa in casa. Casa è sempre stato il mio posto preferito per scrivere e riflettere.

“e mentre cadono bombe noi rideremo della gioventù che non sa come si riesce a non vivere più”. Questa l’immagine bellica che allo stesso tempo cela una speranza nel futuro, nel tuo ultimo singolo Precipitare. Manuel, come vedi il mondo fuori dopo che le bombe cesseranno di esplodere?

Non lo so, a dire il vero; io sono uno che lancia il sasso e poi nasconde la mano, da vero discoletto! Il mio – di mondo – è tutta una maceria da un po’ e continuare a costruirci sopra canzoni mi sembra un buon proposito per il futuro; anche perché l’alternativa sarebbe fingere che intorno sia tutto rose e fiori, e insomma, così non è. Ecco, allora un secondo proposito per il futuro potrebbe essere smettere di cercare di anestetizzare il dolore, di renderlo tollerabile per la nostra psicosi di farci vedere belli, dorati e felici a tutti i costi. Che paura che abbiamo a mostrarci fragili, vulnerabili, fallibili, senza risposte, tutti impegnati a fare dei giri immensi intorno alle ferite piuttosto che buttarci del sale, accettare di esserci rotti. Chiamare le cose con il loro nome è un primo passo verso la rivoluzione, nell’era dell’anestesia dei sensi. E per sensi, non intendo solo quelli fisici.

Avete entrambi pubblicato un singolo, Manuel dopo aver portato in giro l’album Beltempo, mentre Ginevra ha composto un trittico. Rendetemi la madrina di questi nascituri, vi va di raccontarci qualcosa a riguardo?

M: “Precipitare” sta tutto nel titolo; e pensare che è l’ultima cosa – il titolo – che è stata decisa, e nemmeno da me (sono scarsissimo nel decidere questo genere di cose). Che altro c’è da dire, in effetti? Dentro ci puoi mettere quello che vuoi, alla fine è una canzone interattiva (un po’ come sono, in generale, le canzoni): la vertigine, la nausea di una picchiata infinita verso il suolo, la sensazione esplosiva dello schianto. Non lo so, io ho sempre voluto tanto bene ad Icaro che con le sue alucce di cera ha provato a raggiungere il Sole; nel senso, chissene frega se precipiti se lo fai dall’Olimpo della tua ostinazione, della cieca negazione dei tuoi limiti. Siamo al crepuscolo degli Dei, e se il tuo precipitare è la conseguenza di un tentato volo verso le vette, allora ben venga anche lo schianto: sarà quello di un fulmine, con l’urlo del tuono. Tutto molto divino, dai.

G: I tre singoli, pubblicati finora, sono il frutto di ricordi, flussi di pensiero sparsi nella mia testa che necessitano di avere una forma per poter essere condivisi.  Il potere di scrivere canzoni è quello di riuscire a fermare il tempo, quasi come uno scatto fotografico, solo che non immortalo l’aspetto visivo ma quello emotivo. Per esempio, quando canto una canzone che ho scritto due anni fa, riesco a ricordare esattamente cosa ho provato in quel momento, come se mi catapultasse indietro nel tempo. Surreale quanto intenso e vero. E poi scrivo molto d’istinto e non scrivo ogni giorno. Magari passano due settimane e poi di colpo arriva il momento, il bisogno di prendere carta e penna e costruire una canzone. E’ andata esattamente così con la maggior parte delle canzoni, incluse le tre che avete già ascoltato.

Ginevra, dopo essere stata in transito con Simone e esservi spostati come due accenti, ti sei chiesta in senza di me. come poter vivere l’assenza dopo una relazione finita male. In Come fanno le onde sei riuscita a trovare delle risposte a quelle domande aperte nei brani precedenti?

Ci sono domande le cui risposte potrebbero non arrivare quando siamo lì ad aspettare. Tante volte, le risposte che ho cercato tanto sono arrivate molto dopo e non esattamente nel modo in cui mi aspettavo arrivassero. Come fanno le onde è venuta a prendermi quando ho avuto bisogno di mettere un punto alla storia in questione. Si fa fatica ad accettare che a volte una risposta potrebbe semplicemente non esserci, forse perché ci ostiniamo a porre la nostra attenzione sulla domanda sbagliata

Entrambi inaugurate l’estate con una nascita e rinascita (mi auguro) personale e musicale, con i vostri due prossimi singoli. E forse è stata proprio questa congiunzione astrale ad avervi suggerito di collaborare: così nasce Barche, un singolo che richiede cura nell’ascolto tanta quanta ne avete usata voi per generarlo. Vi va di dirci qualcosa di più?

G: Per me l’idea di una canzone a quattro mani con Manuel è nata dal primo dei giorni in cui per puro caso ho ascoltato le sue canzoni su Spotify. Quando ci siamo conosciuti è stato molto bello scoprire di essere tanto simili e di volerci già bene. Barche è la naturale conseguenza di un bisogno comune, della stessa necessità di nostalgia e di ricordi. Della fame di comunicare quello che abbiamo dentro e renderlo cosa di tutti. Proveniamo da parti d’Italia quasi opposte, lui ligure, io campana, eppure questo brano sembra scritto da due persone nate e cresciute nello stesso posto, forse perché in fondo è così, geografia a parte, quel posto è lo stesso dove per anni ci siamo rifugiati, che ci ha salvato e protetto dai momenti migliori e peggiori. Quel posto che, secondo me, è la musica.

M: Ma non è nata, via, c’è sempre stata. E’ una di quelle cose che non hanno bisogno di essere dette per esistere, abbiamo convissuto per qualche mese (dall’ingresso in Clinica di Ginevra) con la silenziosa certezza che prima o poi sarebbe successo: lei è la mia cantautrice preferita, per quanto mi riguarda credo non esista nessuna come Ginevra in Italia. Poi è successo che durante la quarantena abbiamo scritto tanto, ci siamo scritti tanto, ed è nata la canzone. Barche è il titolo che ha, una canzone adatta a stare in alto mare, tra i marosi e le correnti, barcollando ma resistendo ai venti e alle bufere. Un po’ come noi due, ecco.

Manuel e Ginevra, fate entrambi parte dell’etichetta Clinica dischi, una delle realtà indipendenti in ambito musicale più fighe forse proprio perchè racchiude in sè un roster molto giovane. Quanto vi sentite legati al concetto di etichetta vissuto più come un luogo familiare piuttosto che come una casa produttrice e basta?

G: La Clinica Dischi è casa e noi siamo una famiglia. Per me, questo è un aspetto fondamentale.  Avere un’etichetta che ti supporta costantemente, crede tanto in te e in quello che fai, ti guida, ti consiglia e rispetta il tuo modo di essere e di comunicare. Non so se sia così per tutte le realtà indipendenti come la nostra.  E’ bello supportarsi a vicenda e confrontarsi sulle cose in un mondo difficile come questo.

M: Guarda, io ti dico che non ho mai litigato con nessuno quanto e come ho litigato con Milo di Clinica – il nostro boss supremo – e credo che il fatto che io sia qui a raccontarlo e a parlarti di quanto Clinica sia famiglia dimostri tutto l’amore che ho per lui. E amo Leo (ELLE) che ha un’anima bellissima, oltre ad essere un produttore e un artista di talento estremo. Con alcuni artisti di Clinica sono cresciuto, la Gine è foresta (come si dice alla Spezia) ma gran parte del collettivo dell’etichetta è spezzino; Marco (ALTROVE) è come fosse mio fratello, ad esempio: abbiamo suonato insieme per dieci anni, quando ancora credevamo nel rock. Insomma, Clinica è casa nostra, e credo di poter parlare a nome di tutto il roster se dico che non c’è posto migliore in cui crescere: la famiglia è sempre la famiglia.