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wLOG: “Le diverse facce del niente, Nisba” | Intervista

wLOG è un cantautore atipico, un poeta metropolitano che fonde versi a sonorità elettroniche intrise di pop all’italiana del tutto attuale. Il 2020 è stato per wLOG un anno davvero prolifico: dopo la pubblicazione dei singoli “Un Colpo Solo”, “Indiani d’America” e “Naftalina”, l’artista milanese ha dato alla luce anche “Nisba“, una raccolta di brani tutti legati tra di loro dal filo logico del niente (Nisba, appunto, in milanese).

Per poter descrivere il disco partirò dal mio giudizio: è un album veramente bello. Difficilmente sento di poter dire la stessa cosa già fin dai primi ascolti, ma dopo pochi minuti di “Nisba” mi sembra chiaro come testi, musiche, mood, giochi di parole ed elementi prettamente stilistici riescano a fondersi alla perfezione in un sound che attira, seduce, poi ti butta giù e ti richiama a se come le sirene di Ulisse.

I quattro brani contenuti in “Nisba” sono delle piccole perle del panorama pop cantautoriale italiano e non ho nessuna remora a dirlo. “Cervello Parboiled”, “Tremometro”, Suppergiù” e “Ehi Carovita” girano tutte magnificamente intorno allo stesso perno: il niente. Niente ci può toccare, di niente ci importa, niente ci può fermare e forse niente rimane.

wLOG ha scattato fotografie sentimentali cittadine che sono l’una necessaria a spiegare il senso dell’altra. Sebbene, per la raffinatezza dei brani, potrebbero benissimo figurare in maniera assoluta, nell’accezione latina di sciolto da ogni legame, è proprio l’unione di questi testi che ci racconta la storia del niente e di tutto ciò gira intorno ad esso. Metafore di vita imbottite di ansie, paure, incubi, ma anche di forza, voglia di riscatto e controsensi, che rendono ogni brano agrodolce. Agrodolce come un piatto di cibo cinese, mezzo consumato, lasciato sul tavolo di una stanzetta a Milano, mentre le paure chiudono l’appetito e la città ti ingloba nella sua vita frenetica ma sempre uguale.

 

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Intervistando wLOG

Partiamo dall’idea di fuga di “Suppergiù”: ti è mai capitato che nelle tue fughe ti trovassi davanti ad un ostacolo davvero insormontabile, qualcuno che ti dicesse “Nisba, da qua non si passa”?

Ciao! Certamente si. Alcune delle mie fughe/avventure/scelte di cambiamento hanno presentato ostacoli. Anche difficili da superare. Al momento non ci sono ancora stati eventi insormontabili. Ho sempre fatto scelte nel rispetto di tutti e senza togliere niente a nessuno. Quello che ho imparato è di agire centrati senza rimpianti e con sincerità d’animo. Fare scegliere al cuore è la cosa più difficile, ma anche la più affascinante. La vita è un viaggio tutto da scoprire.

Anche i giganti provano dolore, devono togliere un dente che fa male: è là che si rendono conto di non essere più così enormi?

Ognuno di noi ha delle fragilità. Non solo punti deboli, ma anche momenti di debolezza. Questo è un mondo che ci vuole forti, invincibili e sempre con il sorriso. Ogni persona però deve affrontare prima o poi le proprie paure e incertezze. Il mondo è un posto meraviglioso con regole discutibili e spesso ciniche.

Cervello Parboiled e Tremometro sembrano essere le due facce della stessa nottata: una mancanza che prima viene affrontata con cinismo, ma che si insinua sempre di più nel petto nel silenzio di un letto vuoto. Come vivi la dicotomia tra le alte e basse temperature, vissute in contemporanea?

Assolutamente si. Sono il su e giù. Le montagne russe della nostra intimità. Gli “alti e bassi”. Anche solo in un secondo si passa dal sentirsi in grado di dire no a chiunque al non poter rinunciare nemmeno a una carezza senza tremare. Spavaldi e poi permalosi. Distaccati e poi coinvolti. Tutto in una notte. Prendendo il termometro dal comodino e rimettendolo di nuovo al suo posto. Due facce in loop.

 

Possiamo definire “Nisba” un concept album in cui un brano è propedeutico all’altro? 

Si, certo. Direi anche con una certa consequenzialità e circolarità. Sono testi intersecabili. Spero un bel viaggio per chi lo ascolta.

 

 

“E se la può tenere l’aria e le paure laggiù, là in fondo al mare” è una frase chiave del disco, conferendo quel gusto dolce/amaro. Eppure io do un’altra visione: se mutassimo, come in una evoluzione in reverse, e tornassimo a vivere negli oceani non avremmo più bisogno di aria e forse riusciremmo ad affrontare le paure con meno ansia. C’è sempre un modo di andare avanti oppure dobbiamo davvero prendere atto che, no, nisba?

Diciamo che nella chiosa ho inserito un mood strafottente e paradossale. Non si può vivere senza aria e le paure di certo non rimangono nel fondo ad un mare “cestino della spazzatura”. Era un modo per ricongiungermi a Cervello Parboiled in uno stato emotivo analogo per circolarità del concept. Condivido l’idea che tornare alla natura regalerebbe  semplicità al nostro essere.  Credo che ci sia sempre un modo per andare avanti. In ogni caso abbiamo stabile il nostro castello interiore. I nostri sogni e le nuove porte da aprire.

Domanda banale, ma spero che possa sempre essere una bella “lezione” per chi si approccia alla musica da compositori: che consiglio daresti a qualcuno che inizia a scrivere i suoi testi musicandoli?

Quello che posso dire è di scrivere solamente ciò che  viene da dentro con una forza incontrollabile. Se l’ispirazione è potente lasciamola fluire. 

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