Rio nero: la casa, la natura, la musica di Michelangelo Vood

Si è fatto conoscere con Paris e Van Gogh, lo scorso 23 giugno pubblica il suo ep di esordio Rio Nero, Michelangelo Vood ci tende la mano per farci salire sulla sua barca sospinta dai ricordi di un’infanzia trascorsa nel suo paese natale, Rionero, e dal vento del suo attuale trasferimento a Milano.

Le sei tracce sono sviluppate come dei frame: istantanee per fissare nel tempo e nello spazio il rapporto dell’artista con la natura, ma allo stesso tempo con la ruggine della città. Questa l’opposizione ancestrale da cui si articola la stesura dell’ep: città-campagna, natura-cultura.

Con la stessa semplicità di un “fanciullino”, Michelangelo Vood canta con una sensibilità raffinata ma non ricercata e pretenziosa di tutte “le cose belle”: salire sul tetto a contare le stelle, l’odore di cibo dietro le finestre, la pizza di mamma, le tue gambe aperte.

INTERVISTANDO MICHELANGELO VOOD

Nato ai piedi del monte Vulture, Michelangelo Vood racchiude nel suo nome un’assonanza immediata a wood, bosco. Michelangelo, come ci spieghi questa attenzione musicale e semantica del tuo nome?

Sono cresciuto in Basilicata, ai piedi di un monte che per me rappresenta casa. Da qualche anno vivo a Milano dove ovviamente si respira un’altra aria e sei circondato da colori e odori diversi da quelli a cui ero abituato. Avevo bisogno di portare con me qualcosa di familiare in questo viaggio. Prima che per l’assonanza con “wood”, ho scelto Vood perché è il cognome di mia mamma, vale lo stesso discorso.

Da frontman di una band punkrock a cantautore dai suoni più pop. Che cosa ha stravolto questo tuo processo musicale?

Ho cantato e scritto canzoni coi miei migliori amici per quasi dieci anni, suonavamo brani inediti e cover di Green Day e Blink 182. Ci siamo tolti qualche soddisfazione ma a un certo punto mi resi conto che non riuscivo ad esprimermi a pieno, non mi sentivo me stesso del tutto. Il tempo ha plasmato la mia sensibilità artistica virando su altri generi, ma ascolto ancora quella roba. Penso che tutti noi riascoltiamo sempre con piacere la musica con cui siamo cresciuti. Crescendo mi sono avvicinato ai Beatles e alla musica inglese in generale e non l’ho più lasciata. Sentivo di aver trovato l’arte che rispecchiava di più il mio modo di vedere il mondo.

Lo scorso 23 giugno è stata la data del tuo esordio da solista, pubblicando l’ep Rio nero. Il titolo dell’album rimanda inevitabilmente ad un fiume nero, ma anche alla sorgente della tua infanzia: Rionero. In questo percorso quanto è stato difficile per te navigare verso la foce?

È stato molto difficile, in alcuni momenti della nostra vita ci troviamo inevitabilmente a dare per scontate alcune cose o a non apprezzarle profondamente. Scrivendo mi è capitato di far riemergere alcuni episodi, scene o persone che annaspavano dentro di me, quasi sommerse del tutto dal presente, e cioè di una vita veloce e euforica. Credo che ci sia bisogno di dare tempo a ciascuno di noi di andare alla velocità che vuole, quella biologicamente parlando più giusta per ognuno. Ecco, quando scrivo vado alla velocità giusta per me.

Volendo continuare a nuotare in questa metafora, ti auguri che il tuo fiume emotivo, artistico, musicale si immetta in uno più grande ma restando tra i margini oppure cerchi di sfociare in mare aperto senza limitazione alcuna?

Penso che il potere più grande della musica sia quello di parlare a tutti, è la forma d’arte più universale, che ti tocca dentro anche se non vuoi. Per questo motivo mi piacerebbe parlare a più persone possibili. Canto perché ne ho bisogno, mi aiuta a stare meglio. Se la mia musica riuscisse a far stare bene anche qualcun altro allora mi sentirei appagato.

Da pochi giorni è stato pubblicato il video di Atollo: i frame esprimono con grande lirismo il filo rosso che ti lega ancora molto alla tua infanzia, tematica spesso ricorrente nelle tue canzoni. Come hai saputo tenere vivo questo legame con il te bambino?

Cercando di dire sempre la verità. Gli adulti tendono a “recitare” molto, specialmente nei contesti sociali. Ognuno di noi ha un fanciullino dentro come diceva Pascoli. Se ne sta nascosto dietro freni inibitori, barriere auto imposte, convenzioni sociali, pregiudizi e insicurezze. Dire sempre la verità, in qualsiasi situazione, può essere un buon inizio per aiutarlo a riemergere. Quando c’è della verità in qualcosa, che sia una parola o una canzone, si sente subito.

Le guglie del Notre Dame, le luci della Tour Eiffel, un cafè strapieno a Montmartre. Oltre a delle splendide cartoline da Parigi, cosa ti evocano questi posti di cui ci parli in Paris?

Parigi è pervasa di un’energia magica. Ci andai per la prima volta nel 2014 e fu uno dei viaggi più cruciali per me, grazie al quale ho capito cosa avrei fatto “da grande”. Sono molto affezionato a quella città e alla storia che emana, alla sua bellezza ferma nel tempo. Le strade ti parlano, ti raccontano storie antichissime, ti cantano canzoni. Tornarci per il video di Paris è stato molto emozionante.