Tra Last Millennial e Zed Generation: la conquista dell’estetica indie

La musica indie ha cambiato completamente l’immaginario estetico degli ultimi dieci anni. In effetti la musica indie esisteva anche prima, nel senso che non nasce di certo appena dieci anni fa, perché i primi esperimenti di musica indie risalgono già alla fine agli anni Novanta, con band come gli Afterhours e i Marlene Kuntz, e ai primi anni Duemila, ma è indubbio che negli ultimi dieci anni vi è stata l’ascesa mainstream di questo genere musicale che sfugge sempre e comunque a qualsiasi categorizzazione, regalandoci ogni volta qualcosa di nuovo.

Indie sta per indipendent con l’obiettivo di sganciarsi dall’immaginario mainstream e di andare in esplorazione verso lidi sconosciuti, lontani da tutto ciò che è stato già detto e già fatto.

Musica indie: Last Millennial e Zed Generation

Ciò nonostante, alla luce di questo, non dimentichiamo che è da sempre naturale la connessione che c’è tra musica e nuove tendenze estetiche dei più giovani. Quindi se, ad un certo punto, la musica indie comincia ad entrare nell’immaginario dei più giovani, anche il suo gusto estetico comincia ad influenzare le scelte di tutti quelli che chiamiamo last millennials e zed, ovvero tutti quelli nati tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila.

E anche per la moda, l’indie è stata una rivoluzione, ma non esplosa con la dirompenza di una bomba atomica, quanto invece con la lentezza e la pervasività di un gas nervino. 

MTV e i patinatissimi anni Novanta

Negli anni Novanta spopolava MTV e i videoclip passati sul canale avevano una valenza iconica per tutti i giovani che all’epoca ne traevano spunti estetici. Le cose non sono molto cambiate con l’avvento dei social media e della rete. Anzi! Probabilmente si potrebbe dire addirittura la capacità penetrativa dell’estetica musicale è addirittura aumentata, in quanto ognuno di noi oggi può ascoltare una canzone o vedere un video musicale nel momento in cui lo desidera e dove lo desidera grazie allo smartphone.

E i nostri occhi registrano un immaginario che, come in ogni processo ideologico, entra a far parte della nostra quotidianità. Ricordiamoceli i primi millennial, quelli veri (nati dal 1979 al 1990), quelli tutti aperitivo e lustrini, con litri di Campari e di Negroni sbagliati fra le mani, quelli mai con un capello fuori posto, sempre tutti perfetti, con i brand belli in vista e le canzoni a tutto volume nell’automobile di papà, la generazione dei liberati sul piano sessuale, quelli di Sex and City, con i maschietti in completo blu diplomatico e le donne con gli abiti paillettati per le serate in centro città.

Quelli che dal centro città non sono mai usciti e tutto ciò che non era “di periferia” non poteva essere considerato cool, che prima dell’aperitivo del venerdì sera si spaccavano di ore in palestra per non ingrassare neanche di cento grammi e che hanno conosciuto il botox prima dei venticinque anni, quelli che il sushi almeno una volta alla settimana non può mancare e che il McDonald l’hanno frequentato solo fino ai diciotto anni perché poi l’università ha rappresentato il vero ingresso in società, quelli che all’amore non ci hanno mai creduto davvero, ma l’hanno solo scimmiottato dal romanticismo degli anni Cinquanta, quelli che sotto quella maschera di bravi ragazzi tutti casa e studio, nascondevano fragilità e infelicità riversati nell’uso di droghe leggere e pesanti, fiumi di alcool e di Xanax e sesso selvaggio, e che oggi sono dei quasi quarantenni completamente schizzati.

Per fortuna, in tutto questo marasma di glitter e cocktail superalcoolici, c’erano già anime che serpeggiavano nell’underground e che, ad un certo punto, hanno voluto vedere la luce del sole, stravolgendo i canoni musicali ed estetici di tutta una generazione già sul viale del tramonto.

La rivoluzione estetica dell’indie

E quando questi topi sono usciti dalle fogne, la luce del sole ha trasformato le loro pellicce in pellicce di gatto e tutti hanno cominciato a corrergli dietro.  

E così le maglie a righe di Giorgio Poi, i cappellini e le felpe dimesse di Calcutta, i capelli spettinati di Motta, i colori dei vestiti di Margherita Vicario e gli anelli vistosi di Levante, il look urban dei ComaCose, il caschetto di Maria Antonietta e gli outfit vintage dei The Giornalisti, da Italia pre-mondiali Novanta, con i loro videoclip con volti veri di bambini con gli occhiali come fondi di bottiglia, con le adolescenti senza un filo di trucco, le donne con qualche chilo in più o uomini non propriamente aitanti secondo un immaginario che ci aveva stancato, per dirla con un eufemismo, con i colori sfumati e tenui di un tempo sospeso nell’augurio che qualcosa potesse effettivamente cambiare, ci hanno rubato il cuore e ce l’hanno portato via come nella canzone di Clavdio.

Così la musica indie ha cambiato il nostro immaginario estetico. Basta con luminescenze da grande serata e parole d’amore esclamate al megafono per cercare di renderle più credibili, quando noi stessi non ci credevamo in realtà, basta con le bellezze irraggiungibili da copertina e gli sbattimenti paranoici, perché il nostro aspetto non ci sembrava al top, basta con tutta una serie di menzogne che ci hanno raccontato fin da bambini, fra cui la più grande era quella che se continuavamo a fare le cose per bene, secondo i protocolli, la vita ci avrebbe premiato.

La musica indie e i suoi canoni estetici completamente ribaltati, hanno messo in luce una verità che stentavamo ad ammettere, quella che essere se stessi gratifica molto di più, anche se non assomigliamo a nessun modello, anche se non riusciamo ad essere al massimo delle nostre capacità, perché è sufficiente essere semplicemente se stessi. Dei dispiaceri e delle delusioni non bisogna vergognarsi, gli amori finiti male non vanno nascosti, l’importante è scorrere insieme alla vita e farlo anche con outfit più comodi. Anche perché la crisi economica, quella del 2008, ci ha insegnato che la vita come ce l’avevano progettata i nostri genitori, non ha alcun senso, in un mondo che cambia continuamente, che è precario per natura e che quindi va affrontato giorno dopo giorno, senza aspettative altissime che corrispondono ad altrettante altissime delusioni.

Estetica del disagio e bellezza naturale

E quindi vai con le Vans, Converse e giubbotti larghi presi dal mercatino dell’usato, dove tutto costa meno e non manca certo di originalità, con i pantaloni a zampa di elefante come negli anni Settanta e i calzini spaiati (tanto in lavatrice se ne perde sempre qualcuno), e abbasso con le storie di una notte che ci lasciano un senso di vuoto incolmabile, perché in fondo ci era piaciuto credere che fosse un grande amore, ma vai con le storie in cui si ama sinceramente, anche solo per un giorno, non vergognandosi dei propri difetti e quando finisce ci lasciamo in pace e se non ci lasciamo in pace, non nascondiamo la verità, ma diciamo quanto ci fa schifo la falsità delle intenzioni e delle azioni. Vai con i sentimenti puri, con le pedalate in bici in piena notte, per ovviare all’inquinamento, vai con la dichiarazione esplicita di quanto ci ha disgustato l’ennesima festa organizzata per festeggiare in grande un inutile compleanno.

La musica indie ci ha insegnato che anche se non siamo vestiti “bene” e non siamo perfettamente calati in un contesto, non ci casca mica il mondo addosso! Che tutto questo immaginario falsato da anni di televisione nazionale e privata è risultato denigrante per la figura della donna, oggettificata in lati B esposti come carne al mercato e anche per gli uomini, sconvolti dall’ambizione di raggiungere quello status quo presto e a qualsiasi costo, e che adesso possiamo riprenderci tutto ciò che abbiamo perduto, tipo la bellezza spontanea di essere noi stessi e di non vergognarcene.

Siete pronti per questo viaggio? Noi si!

L’indie è questo e molto, molto altro ancora e ha cambiato le nostre vite, anche se non ce ne accorgiamo. Il viaggio è ancora lungo, ma lo faremo insieme tra le pagine di questo magazine e con le note di chi, prima di noi, ha avuto il coraggio di cambiare e di mostrarsi al mondo per quello che è e non per come l’avrebbero voluto tutti gli altri.