Kamahatma: “Il cantautore è come un medico” | Intervista

Kamahatma è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. Non è la prima volta che ci facciamo una chiacchierata con questo artista così intimo e leggero allo stesso tempo. Non mancano fils rouge tra una canzone e l’altra (il richiamo al mondo dell’infanzia è uno di questi), ma ogni brano affronta un tema diverso e sempre originale. Il suo ultimo singolo si chiama “Più grande”, ed è una canzone che, più che dare risposte, ti fa porre le giuste domande.

Intervistando Kamahatma

Ciao! Eccoci di nuovo qui a qualche mese di distanza dal tuo singolo “Agosto”. Innanzitutto, come stai?

È una domanda complessa da fare nel 2020. Quest’anno ci ha tolto tanto. Personalmente, facendo un resoconto, direi che mi ha donato la possibilità di esprimermi attraverso la musica. Da quando sono usciti i miei inediti mi sento meno solo. Tante persone mi scrivono e credono nel progetto e gli ascoltatori mensili non sono mai scesi sotto i 2000, anche nei momenti di assenza dai social. Spero però in un ritorno alla normalità nel 2021, per tornare ad avere gli stessi stimoli di prima.

Anche in “Più grande” c’è un ché di filastrocca. Da dove nasce questo fascino per il mondo dell’infanzia?

Credo che tutto dipenda dal momento della composizione. Mi piace molto creare melodie che possano rimanere in testa, a me in primis e agli altri subito dopo.

Quando compongo un nuovo brano voglio rimanerne stupito e divertito, cosicché un eventuale ascoltatore che non mi conosce per nulla possa rimanerne colpito. In alcuni brani come “Non mi piaci” o “Porta Palazzo” l’elemento fanciullesco era più evidente.. In questo è un po’ più velato, ma sono contento che ve ne siate accorti.

Il whisky che rende più grandi, il sentirsi “troppo grandi” per qualcun altro. È vero che si ha l’età che ci si sente addosso o è una cavolata?

Si ha l’età che ci si sente, ed è giusto che ognuno decida la propria. Questa è “libertà”, in un certo senso. A dirla tutta, nel mio brano non è così esplicito come sembra. In realtà non parlo propriamente di una “relazione” con un’altra persona, o di semplice età anagrafica. Io intendo tutto il testo come un discorso con se stessi, magari con la versione più anziana di te che ti incontra ad una festa. Rendo l’idea?

Perché la camera dei tuoi ti fa venire l’ansia?

La camera dei genitori è un luogo intoccabile, per me e per la maggior parte delle persone che ho conosciuto. La spiegazione è da ricercare, probabilmente, più nell’inconscio. Potrebbe derivate da un timore reverenziale, una questione di rispetto, o semplicemente potrebbe fare strano stare troppo tempo in quello che è il covo d’amore dei propri genitori. Ho i brividi solo al pensiero!

Qual è il luogo in cui invece ti senti più al sicuro?

Voglio dare una risposta in controtendenza rispetto al mondo che abbiamo riscoperto nel 2020. Mi sento al sicuro ovunque, nel mondo! Nella mia cameretta non mi sento più così a mio agio. Era bella e mi piaceva solo quando non ci dovevo stare così a lungo.

Per chi non avesse trovato risposta nella canzone, puoi rispondere tu alla domanda “perché quando siamo piccoli non vediamo l’ora di crescere e quando si è grandi si rimpiange la vita di prima?

È la continua insoddisfazione che è dentro ad ognuno di noi. Chi vive in città sogna il silenzio della campagna, chi vive in campagna non vede l’ora di trovarsi in mezzo al traffico. Chi è “troppo piccolo per” non vede l’ora di crescere, e chi cresce pagherebbe per non avere un minimo di responsabilità. Non c’è una vera risposta, per questo ci ho scritto una canzone che, in fin dei conti, non fa altro che alimentare altri dubbi. Chi compone musica e testi deve fare come un medico: farti passare il malanno ma non curarti del tutto, così prima o poi avrai di nuovo bisogno di loro. Ci vediamo presto nel mio ambulatorio!

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