Narratore Urbano: Ho molta paura di quello che mi circonda | Intervista

Alekos Zonca, ha scelto di trasformarsi in Narratore Urbano per raccontare tutto quello che succede intorno a lui, senza la necessità di utilizzare filtri solo per rendere le cose più belle e luminose.

Possiamo definire i suoi testi politici e crudi, specchio di una generazione invidiata dai più anziani che forse fingono di non capire davvero i problemi che stanno vivendo i giovani oggi,  oppure si comportano così forse proprio per evitare di ammettere che le colpe dei genitori stanno ricadendo sui figli.

Narratore Urbano vuole fare i conti con la coscienza di una società nella quale vivono razzismo, crisi economica, emergenza climatica e altre mille problematiche che la pandemia globale nella quale siamo capitato ha evidenziato in maniera ancor più drammatica.

Il nuovo singolo “25MAG” nasce dall’urlo disperato di George Floyd che con le sue ultime energie chiede pietà nei confronti del poliziotto, che con indifferenza lo sta soffocando.

Questo evento diventa uno sfogo per ribellarsi, gridando al mondo le proprie paure che esplodono scontrandosi con la realtà e ricadono al suolo come  flusso di pensieri.

INTERVISTANDO NARRATORE URBANO

Ti è mai capitato di tornare a casa dopo aver assistito a qualcosa che ti ha dato l’ispirazione per scrivere una canzone?

Le mie canzoni nascono sempre in momenti improbabili e molto spesso non ho neanche il tempo materiale per arrivare a casa; devo quindi annotare rime o idee sulle note del mio telefono o su appunti dell’università.

Il caso più emblematico è quello di “Sei, in un paese meraviglioso”: ero in un autogrill vicino Roma e davanti ad un cartello autostradale ho pensato che sarebbe stato interessante fare una canzone che parlasse di 6 città italiane. Avevo il telefono scarico, così ho appuntato le prime idee su un tovagliolo preso al bancone del bar. 

L’Italia è un paese meraviglioso?

Se si guarda all’arte e alla creatività l’Italia è assolutamente un paese meraviglioso. Deteniamo il 70% del patrimonio artistico mondiale, abbiamo avuto scrittori, poeti, scultori e pittori che hanno influenzato per sempre il genio umano. Purtroppo ci dimentichiamo di questa grandissima ricchezza per inseguire modelli di “bellezza” consumistica e artificiale.

Se guardiamo invece alla nostra storia, soprattutto quella degli ultimi 70 anni, ci troviamo di fronte alle pagine più oscure che siano state mai scritte: anni di piombo, mafie, corruzione, tangentopoli, stragi dimenticate… sono numerosi i momenti in cui l’Italia è diventata tutto, meno che un paese meraviglioso. Confido nelle nuove generazioni e nella possibilità di scrivere presto il nostro futuro. 

Il brano “25MAG” nasce dall’omicidio di George Floyd e dalla nascita del movimento Black Live Matters.

Qual è la tua soluzione per combattere il razzismo?

Il tema è davvero vastissimo, molto complesso ed è facile correre il rischio di fare una riflessione superficiale. Bisogna prendere innanzitutto atto del fatto che il problema del razzismo è molto più grave e difficilmente eliminabile di quanto si pensi; come negli Stati Uniti, anche in Italia si può parlare di “razzismo sistemico” ovvero radicato in ogni aspetto della vita quotidiana, all’interno delle istituzioni e nel mondo del lavoro.

“25MAG” è un atto di accusa verso l’immobilismo della politica  (di qualsiasi colore e schieramento) che si spreca in mille esercizi retorici, senza mai prendere una posizione di netta condanna, comportandosi in maniera spesso contraddittoria. Una ferma azione contro il razzismo non basta.

Spesso il problema è identitario, per molti essere razzisti è diventato una ragione di vita. Avere un capro espiatorio a cui addossare le colpe dei nostri problemi (quante volte abbiamo sentito la frase  “vengono a rubarci il lavoro” o cose simili?) è molto comodo e ci permette di non prenderci la diretta responsabilità dei nostri fallimenti. E la politica spesso asseconda questo gioco dicendo esattamente ciò che la gente vuole sentirsi dire, puntando al nostro egoismo, alla nostra irrazionalità e alla nostra ignoranza. 

Solo una maggiore diffusione della cultura, in particolare quella umanistica, su tutti gli strati della popolazione, potrà arginare il problema. Una maggior conoscenza della storia può, ad esempio, mettere i riflettori sul fatto che il razzismo non è altro che il figlio del colonialismo, dello sfruttamento e di becere ideologie datate ma al tempo stesso intrise nella società.

L’arte e la letteratura sono in grado di fornire chiavi di interpretazione del mondo e renderci maggiormente empatici. In questo mondo sempre più individualista, sempre più arrabbiato, sempre più impegnato a dare le colpe a terzi e mai a prendersi le proprie responsabilità, sta sempre venendo di più a mancare la capacità di immedesimarci negli altri, indipendentemente dal colore della pelle. Non esiste una soluzione per combattere il razzismo se prima non siamo in grado di fare una profonda analisi della nostra coscienza.

Quali sono le “Proprietà di un fotone”?

Purtroppo sono sempre stato abbastanza scarso in fisica e in generale nelle materie scientifiche, quindi non vorrei quindi dire qualche cavolata. I fotoni dovrebbero essere infinitamente piccoli,  avere vita media infinita, essere privi di massa e viaggiare costantemente alla velocità della luce, un po’ come Han Solo. Di base stiamo parlando della più piccola particella di luce presente in natura.

Penso che poi ci siano altre caratteristiche basate su equazioni quantistiche e cose simili, ma il compito di scoprire queste proprietà non è mio ma della persona di cui parla nella canzone. Il mio augurio è che lei possa scoprire qualche qualità fisica sconosciuta dei fotoni.

Cosa vuole denunciare “1939”?

“1939” è una lettera di addio a una persona che per diversi motivi non è più parte della mia vita. Volevo confrontarmi culturalmente con lei un’ultima volta, volevo avere un suo parere sul mondo che sta cambiando rapidamente e come noi, generazione del nuovo millennio, ci troveremo presto a perdere tutto.

Le derive della politica (di cui parlo anche in “25MAG”), l’impossibilità di avere le garanzie di stabilità che avevano i nostri genitori, lo scontro generazionale sempre più spietato e sempre più convulso, l’emergenza climatica e l’odio sempre più presente nella nostra quotidianità personalmente mi terrorizzano. Ammetto di avere molto paura di ciò che mi circonda, del modo in cui le relazioni umane sono diventate più meccaniche, più liquide e al tempo stesso più disperate. Queste sensazioni non sono nuove ma si ripresentano spesso nel procedere ciclico della storia.

In questo senso si può interpretare il titolo: le paure verso un mondo che sta rapidamente cambiando in peggio sono simili a quelle che devono aver provato i nostri nonni nel 1939, mentre si affacciava lo spettro della Seconda Guerra Mondiale.

Dentro “Granchietti” è maggiore la voglia di crescere o la paura del futuro?

Penso che sia la voglia di crescere in un luogo sicuro, lontano dalla guerra e poter condurre la vita di tutti gli altri bambini: andare a scuola, avere degli amici, vivere un’infanzia serena e soprattutto tornare a guardare il mare come un luogo spensierato e non come un luogo dove morire.

In questo senso “Ora posso vedere il mare”, perché il mare, fin dai tempi dell’Odissea è sempre stato uno dei luoghi ricorrenti dell’essere umano, dove di solito si impara a conoscere se stessi e ad immaginare. Sognare il proprio futuro è una parte della crescita, è un desiderare ardentemente di vivere. Questa possibilità però viene negata nel momento in cui, è proprio il mare, a diventare luogo di morte e di disperazione, strappando con se la vita e le speranze di chi, molto umanamente, sogna un futuro migliore. 

La fine può essere un nuovo inizio?

Penso proprio di si. Alla fine il concetto di fine e di inizio servono soltanto all’uomo per poter definire i propri spazi e ciò che lo circonda. Anche dal punto di vista musicale spesso la fine di un lavoro artistico (come ad esempio un album), coincide l’inizio del lavoro successivo. Mi è sempre piaciuto giocare con quest’idea, per cui ho chiamato “Fine delle Trasmissioni” il mio EP d’esordio e ho scelto di iniziare “Zenzero”, la prima traccia del mio nuovo album a capitoli (dal titolo “POST”), proprio con lo stesso suono di vinile presente negli ultimi secondi di “Finale Dipartita”, rimarcando questa continuità.

Hai mai avuto esperienze teatrali?

Non ho mai seguito un corso di teatro, anche se mi sarebbe piaciuto molto. Trovo che sia una forma d’arte superiore, in grado di liberare l’essere umano dalle turbe più profonde della sua psiche. Per questo motivo sono spesso andato a teatro da spettatore. Vedere uno spettacolo teatrale è una delle cose che più mi manca in questo periodo di pandemia. 

Da fan delle Luci Della Centrale Elettrica ti è piaciuta “Cattive Stelle”, il brano di Vasco Brondi con Francesca Michielin?

Il brano secondo me è davvero molto bello. Il giorno dell’uscita l’ho ascoltato diverse volte e ha saputo trasmettermi una forte carica emotiva. L’arrangiamento e in particolar modo il pianoforte accompagna in maniera sublime la voce di Francesca Michielin e la penna di Vasco Brondi.

Nonostante io sia profondamente legato a “Canzoni da spiaggia deturpata” e a “Per ora noi la chiameremo felicità”, probabilmente per la rabbia e le visioni violente (penso a “Cara Catastrofe” o a “Piromani”), sto amando anche le nuove evoluzioni di Brondi e penso che questo brano sia davvero ben riuscito. 

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