Lyre: “Queer Beauties” è specchio di ciò che risiede nel profondo

Queer Beauties” è l’album d’esordio di Lyre uscito il 22 gennaio per Pitch The Noise Records, oltre che un lavoro tanto complesso perché denso di ricerca e amore per la musica.

Lyre si contraddistingue tra i nomi del panorama indipendente italiano per la sua intraprendenza artistica che volge molto all’avant guard estera. Le atmosfere di “Queer Beauties”, la voce di Lyre che sembra sussurrata e le sonorità elettroniche ci rimandano al mondo della sperimentazione e dell’elettro pop di Bjorke e FKA Twigs.

Le commistioni sonore sono pensate in modo tale da creare dei colori musicali strambi, strani … “queer” per l’appunto. In Lyre le dualità si uniscono: maschile e femminile, voci più acute e più basse, storia e novità. Insomma, l’artista milanese racchiude in sé quel senso post-moderno di far convergere in un unico punto le differenze, tanto da annullarle.

Noi di Indie Italia Mag abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lei non solo sul suo album, ma anche sulla processualità compositiva che è parte fondamentale della creazione artistica.

 

Intervistando Lyre

Ciao Lyre, è da poco uscito il tuo ultimo ep “Queer Beauties”, il titolo lascia presagire un riferimento alla bellezza della diversità, in senso fisico e sessuale: in che modo il tuo ep potrebbe considerarsi diverso dagli altri?

Bisognerebbe definire meglio questi altri, però se ti riferisci alla maggior parte delle uscite nella scena Indie italiana sicuramente l’essere indefinibile e non riconoscibile rispetto a un genere mainstream, chiaro. L’ambiguità e la non appartenenza ad etichette fisse e tranquillizzanti per me è fondamentale. È libertà di ricerca. Le artiste e gli artisti che amo di più hanno ricercato sempre senza preoccuparsi della propria definizione la forma a servizio di un contenuto, di una necessità profonda, non di un genere, il genere è una sorta di conseguenza traccia dopo traccia.

Negli album di Bjork possono coesistere tracce di arpa e voce con tracce con basi ritmiche di pura techno, ad esempio. Questo per me è importantissimo. Certamente è un ep di musica elettronica, ma il termine elettronico è come il termine acustico, molto ampio e può includere mondi infiniti. Purtroppo, tra l’altro, il termine “Indie”, che voleva dire indipendente a prescindere dal genere, in Italia ingiustamente si è trasformato col tempo in un termine che evoca subito un certo sound e un genere musicale riconoscibile che è riproposto all’infinito da etichette che sono più major delle major. A me questa cosa non va proprio giù.

In questo modo la musica diventa un abito. Una moda. Un vestito da indossare, uno stile che si deve riconoscere subito per poter essere “comprato” immediatamente da gruppi predefiniti, appunto perché facente parte di un “look” studiato che si ripete e si impone. Ci sono artiste e artisti fantastici nella scena underground che fanno una fatica incredibile ad uscire, perché c’è un problema culturale enorme: la scena underground rischia di morirci “sotto terra”.

Avverto in questo paese un’ansia totale di appartenenza e definizione, una grande mancanza di curiosità insieme alla necessità di idolatria, l’assenza totale di coraggio e voglia di mettersi in gioco, la mancanza di una spinta a rinunciare all’abito per scavare più a fondo. Mi riferisco soprattutto alle etichette, alle radio mainstream, ai mass media e alle case di produzione e distribuzione.

La tua musica si rifà molto a uno stile r’n b, elettropop e, cosa davvero inedita per l’Italia, un approccio avant guard: a chi ti ispiri maggiormente per la tua creazione?

Ho apprezzato molto il termine “avant gard” e ti ringrazio di cuore perché posso dire che tutte le artiste e gli artisti che sono stat*dei riferimenti importanti durante la mia ricerca hanno sicuramente avuto un approccio a loro volta avant gard. Ad esempio, rispetto a questo ep, la scrittura della musica è stata ispirata dal lavoro di artisti come Portishead, Radiohead, Goldfrapp e James Blake, per quel che riguarda proprio la ricerca di giri armonici particolari e strutture insolite.

Poi, rispetto alla produzione musicale portata avanti con Giuliano Pascoe diciamo che Arca, Fka Twigs e Bjork sono stati tra i nomi che abbiamo pronunciato più frequentemente quando volevamo descrivere delle atmosfere o delle caratteristiche sonore che, di comune accordo, volevamo introdurre nei brani. Quindi la manipolazione del suono è stata centrale nel lavoro di Giuliano. Per me le atmosfere comunque sono tutto. Ogni brano deve avere un mondo sonoro preciso, deve diventare un luogo in cui potersi perdere completamente.

Nella fase di missaggio inoltre ho richiesto esplicitamente ad Antonio Polidoro che la voce fosse portata davanti con caratteristiche simili al brano “Paper Bag” dei Goldfrapp in alcune tracce come “Dorothy” e “Broken Flowers”, cosa molto complessa da gestire, quando si hanno produzioni musicali così estreme e piene di effetti e suoni processati.

Quanto è importante per te la sinergia artistica con il tuo produttore per la realizzazione dei tuoi brani e quanto nasce direttamente in studio?

La sinergia artistica per me è tutto. Non è un caso che ci abbia messo anni per trovare il produttore più giusto per questo progetto, dopo molte collaborazioni. Per questo ep il processo creativo si è svolto in modo molto semplice e penso di voler replicare questa modalità. In pratica sono partita da alcune mie produzioni o bozze di produzioni e le ho mandate a Giuliano che, partendo dagli elementi ricevuti, ha lavorato per identificare una direzione di lavoro interessante rimandandomi indietro una sua prima proposta.

Poi ci siamo incontrati in studio, con una serie di note e osservazioni per definire sempre meglio le direzioni da prendere e quelle da scartare. Solitamente in studio vengono sistemati dei dettagli, oppure, appunto, definite meglio le atmosfere attraverso scelte sempre più puntuali delle qualità timbriche dei suoni. Per i prossimi lavori però non so cosa accadrà. Io intanto sto studiando molto perché le possibilità del sound design mi affascinano sempre di più e vorrei diventare maggiormente consapevole di ogni fase riguardante la produzione musicale e il mixing per arrivare ad essere sempre più libera (artisticamente parlando) e precisa nelle mie proposte ed indicazioni.

Nel tuo album una delle tematiche ricorrenti è sicuramente la dualità, maschile e femminile, luci e ombre che ci abitano: in che modo riesci a rappresentarla nella musica questo sdoppiamento dell’essere?

Nella mia stessa vocalità vivo una certa spaccatura che probabilmente è specchio di ciò che risiede nel profondo. Ci ho anche combattuto molto con questo aspetto, prima di accoglierlo e amarlo. Nel registro più basso c’è un mondo, una qualità che superficialmente potremmo definire più maschile per semplificare, penetrante, prorompente, calda e terrigna. Nel registro più alto divento vulnerabilissima, acquea e sento molto il mio lato più fragile e delicato. O almeno questo è quello che sento mentre canto, o ho sentito durante la scrittura di questo ep. La follia poi mi ha portato a scrivere brani come “Dorothy”, in cui cerco di descrivere una donna anziana con le sue vulnerabilità attraverso l’uso quasi prepotente di certe note alte.

Musicalmente l’ep è caratterizzato da progressioni di accordi aperti, nel senso che amo molto quelle armonie caratterizzate da una tensione costante dovuta all’ambiguità di alcuni accordi, che continuano a cambiare da maggiori a minori all’interno di una stessa frase o accordi sus che sospendono il brano per molto tempo prima di arrivare a una chiusura, omettendo le note che ne definiscono di più il colore (tipo le terze) o modificandole subito nell’accordo successivo.

Ovviamente non sono cose che ho pianificato ma una sorta di “restituzioni “spontanee verso gli artisti e le artiste che con le loro armonie mi hanno toccata di più.

A livello ritmico inoltre è caratterizzato spesso da accenti in levare, sempre con ambiguità metriche (in “Dorothy”, il brano sembra iniziare in 6/8 ma poi il beat entra in 4/4 nel chorus spostando tutto), tempi dispari (“Mirrors” è in 7/4). Insomma, è un ep un po’ storto e “strambo” (che è appunto un altro significato di “Queer”) anche dal punto di vista compositivo.

Il mio problema, a livello di produzione, era proprio il riuscire a trovare suoni più aggressivi e dirompenti: in questo il lavoro di Giuliano Pascoe è stato incredibile, fondamentale e ha aperto i miei occhi su un mondo che è diventato ormai  centrale per la mia ricerca.

Il tuo stile è davvero affascinante. Suggeriscici almeno 3 album che sono stati alla base della tua ultima creazione!

Grazie mille. Certo:

  • Fka Twigs: EP2
  • Bjork : Homogenic
  • E per la scrittura mi sento di citare Portishead : P.