Soldier | Indie Tales

Mi sono sempre chiesto cosa possa provare un soldato che torna dalla guerra dopo mesi o anni lontano da casa, a combattere, a vivere di morte e dolore.

Vedere i propri compagni esplodere o perdere arti, dormire con gli occhi aperti ed evitare di pensare troppo al luogo che hai lasciato.

Me lo sono sempre chiesto, ma da un anno a questa parte penso di provare spesso sensazioni simili. Vivo un conflitto perenne con me stesso, il ché mi porta a sopportare poco anche gli altri. Alterno fasi di isolamento a fasi di sfascio, a fasi di estrema creatività in cui mi ritrovo a scrivere al buio, di notte, con una torcia in mano.

Mia madre dice che chi trova l’ispirazione di notte è un genio. Io non mi sono mai sentito tale, ma devo dire che la notte ha sempre avuto un certo fascino per me.

Mi sento un soldato quando non riesco ad aprirmi del tutto, come se non volessi far trasparire tutto l’orrore che nascondo nelle ossa, nel cuore e nel cervello.

Non sono mai stato troppo in pace con me stesso, ma dopo il primo lockdown qualcosa si è incrinato in me. Sono rari i momenti belli, quelli che mi fanno dimenticare di vivere in un incubo perenne.

C’è stata una ragazza che, per un paio di mesi, mi ha fatto sentire sollevato, ma dopo ogni appuntamento tornavo a casa più sconfortato di prima, terrorizzato all’idea di toccare il letto da solo e passare l’ennesima notte insonne.

Piuttosto che sentirmi una vittima, ho scelto di definirmi “soldato”. Sentirmi un sopravvissuto conferisce un significato quasi positivo al mio stato d’animo, gli dà come un senso.

Tutti gli artisti sono un po’ come soldati in un periodo come questo. Siamo vittime che, non potendo lottare contro il sistema, lottano contro se stesse ogni giorno, più o meno in silenzio.

C’è chi ha smesso di scrivere, io invece penso che non smetterò mai.

È l’unico modo che ho di aprirmi, di esprimere ciò che ho dentro e che non oserei mai pronunciare ad alta voce.
La ragazza di cui parlavo prima, i miei più cari amici, mia madre. Tutti loro hanno provato a farmi aprire o trovare modi per farmi stare meglio. Non c’è stato verso.

Un giorno Giulia (così si chiama la ragazza) mi ha detto una cosa giustissima, e cioè che secondo lei a me piaccia stare così. Sennò farei qualcosa per cambiare.

Ha ragione. Non voglio rassegnarmi, non voglio rinunciare a fare ciò che amo di più solo perché è un periodo di merda. So come vanno le cose. Inizi a fare ciò che non vuoi e finisci per farlo tutta la vita. Non ho un vero titolo di studio, non ho avuto un padre che mi ha insegnato una professione e non intendo chiudermi in un supermercato a spostare casse d’acqua.

Tutto ciò che so fare è scrivere ed intendo farlo finché ne avrò la forza, a costo di mangiare solo pasta al sugo per il resto della mia vita.

Ovviamente Giulia ha preferito volare verso altri lidi, e io non la biasimo affatto.

Anzi, ho preso la dipartita di Giulia come tutte le altre catastrofi della mia vita: come battaglie perse ma che non sono riuscite ad uccidermi. E finché vivo voglio fare solo ciò che piace a me e vedere le cicatrici come qualcosa di cui andare fiero, come errori che mi hanno insegnato qualcosa.

Ora sono qui, a scrivere sotto le coperte di notte, come Harry Potter a casa degli zii. La torcia, come il mio cuore, lampeggia ma finché c’è luce continuerò a scrivere versi che parlano di guerre e metamorfosi, le mie.

Racconto liberamente ispirato al brano “Soldier” di AimaD