Poema vocale | Indie Tales

Ho tolto la suoneria, ma non basta. Le note vocali di Ale mi raggiungono sempre, che io scelga di ascoltarle subito o dopo qualche ora. Ma chi ha inventato i messaggi vocali? Chi è il sadico che ha pensato bene di sostituire le chiamate o i messaggi troppo lunghi? Sono belli i messaggi lunghi. Sono romantici.

Che strano modo abbiamo di comunicare oggi. Ti metto un like? Mi piaci. Ti guardo le storie? Mi interessi.

L’altro giorno Ale si è superata: quattordici minuti. Ma come fai a pensare che io mi ritagli un quarto d’ora di tempo per ascoltare ciò che hai da dire senza neanche la possibilità di replicare? È una violenza. Ho ascoltato l’inizio e la fine e ho risposto dandole ragione. Ovviamente mi ha sgamato e si è offesa. Lei. Offesa. E io cosa dovrei dire?

Spesso mi chiedo cosa si facesse nei momenti “morti” quando i cellulari non avevano ancora preso il sopravvento. Quando si aspettava l’autobus, quando non si aveva più niente da dire nei contesti di gruppo, sul treno. Siamo drogati di Instagram, Whatsapp e Telegram.

Ale ovviamente è una grande sostenitrice della tecnologia e del modo in cui ha pervaso le nostre vite. “È il progresso”, dice. “Non puoi fermarlo”.

Per carità, sono il primo a riconoscere l’utilità di avere sempre con sé un aggeggio che ti consenta di chiamare chiunque in qualunque momento, di cercare spiegazioni su cose che non sai o di fornirti le indicazioni per raggiungere qualsiasi luogo. Ma non sopporto il fatto che, non appena la noia si fa sentire, la mia mano destra scivoli automaticamente nella tasca dei pantaloni per prendere quell’aggeggio. Per fare cosa, poi? Sbirciare le vite degli altri su instagram (ma solo la parte che vogliono farti vedere) o mandare e ascoltare poemi vocali.

A volte la mia voglia di tornare ad un passato privo di chat e stories mi porta a fare cose come bere Bacardi. Ma ve lo ricordate il Bacardi? Quella bevanda rosa, rossa o verde meno alcolica del colluttorio che ti dava l’impressione di ubriacarti a 14 anni. Bei tempi.

Ammetto che, quando bevo Bacardi (quello verde è il mio preferito, ndr), la tentazione di fare una storia “ma che ne sanno i millennials” è forte. Ma non lo faccio. Che senso avrebbe fare quel tuffo nel passato se lo immortalassi e condividessi sugli ultracontemporanei social networks?

Ale non sarebbe in grado di lasciar perdere il telefono per più di un’ora. Ma che dico un’ora, venti minuti. E quando mi arriva uno dei suoi poemi vocali, le chiedo di uscire. Sì, uscire. Inutile che mi mandi una nota di quarto d’ora in cui mi dici quanto sei triste. Scrivimi “sono triste” e io sono già sotto casa tua.

Con in mano due Bacardi.

Racconto liberamente ispirato al brano “Poema vocale” di Angelo Iannelli