Antonio Petrosino: “Tornare ad essere umani” | Intervista

Non è la prima volta che ci facciamo una chiacchierata con Antonio Petrosino, ed ogni volta l’intervista si trasforma in un discorso che va ben oltre la musica. È uscito da poco “Limiti”, scritto e prodotto insieme ad Ultimo Elemento. Una ballad che, per la prima volta per il cantautore di Polla, non parla d’amore. O meglio, parla di amore per se stessi attraverso il superamento dei propri limiti mentali e di quell’immobilità mista ad indecisione che chiamiamo “comfort zone”. Un invito a ritrovare la nostra umanità, che di recente scarseggia a causa del periodo che stiamo vivendo.

Intervistando Antonio Petrosino

Ciao! Non ci sentiamo dal tuo singolo “Tutte le favole del mondo”. Cosa è cambiato in questo periodo per te, dal punto di vista artistico?

Ciao! Innanzitutto grazie per concedermi di nuovo questo spazio. Fondamentalmente non è cambiato molto: il mio ep “Añejo20” sarebbe uscito di lì a poco, avevo tanto entusiasmo e già qualche live in programma. Poi, di colpo, la pandemia che ha fermato tutto, e per un po’ sono rimasto lì a cercare di capire come reagire. Ho reagito a modo mio, scrivendo “Il cielo fuori dalla tua stanza”,una ballad strutturata come una canzone d’amore, ma che in realtà è un’auto dedica, un auto invito al coraggio e alla speranza. Appena è stato possibile l’ho prodotta e pubblicata, insieme al mio primo singolo in spagnolo “Te extrañaré”.
In estate ho partecipato ad un concorso a Frascati che mi ha deluso molto: uno di quei concorsi che rovina la musica e che non fa crescere neanche un minimo chi vi partecipa. A fine settembre ho partecipato ad un altro concorso promosso da Radio Italia e,sebbene sconfitto, ho acquisito nuove consapevolezze e capito come aggiustare il tiro sul mio modo di essere, di scrivere e di cantare. In autunno-inverno abbiamo iniziato la produzione di “Limiti” ed ora eccomi qui che guardo alla bella stagione con positività, sperando di poter fare qualche live ed iniziare finalmente a farmi le ossa.

Il tuo ultimo singolo “Limiti” parla del superamento dell’immobilità a cui tutti siamo costretti da un po’ di tempo a questa parte. Tu come superi la tua?

Esatto: parla della presa di coscienza che “fare”, accettando di poter fallire, è sempre la cosa giusta. Potrei dirvi che supero questa immobilità con la musica, ma sarei un po’ paraculo. Per carità, mi ha aiutato eccome: ho studiato tanto in questa clausura, ma mentalmente cerco costantemente di far pace con me stesso e di perdonarmi; fisicamente sto in campagna, mi faccio bastare quello che ho a portata di “piede” e aspetto pazientemente. Sicuramente il primo pranzo, cena o semplicemente scampagnata fuori dai confini comunali sarà emozionante. Ma abbiamo retto tanto, facciamo l ultimo sforzo! E ve lo dice un barista.

“Così nasce una ricerca, figlia di una mancanza”. Cosa pensi cercheremo maggiormente dopo tutte queste mancanze?

Sono sincero: non credo cambierà molto rispetto ad oggi in termini umani. Un anno fa scrivevamo “ne usciremo migliori”, invece ci siamo imbruttiti e incattiviti. Non potendo tifare squadre calcistiche o concorrenti vari, ci siamo divisi prima fra negazionisti e para virologi e ora fra pro vax e no vax. Quindi i nostri arcobaleni e lo spirito di fratellanza sono andati a farsi benedire. Ma ho comunque fiducia: cercheremo il contatto umano e la socialità così a lungo negati, e forse a quel punto faremo un reset, fuori dalle case e lontano dagli schermi ci riscopriremo esseri umani. Sì, credo che la prima cosa che inconsciamente cercheremo sarà tornare ad essere umani.

Per questo brano hai collaborato con “Elemento Umano”. Com’è nata l’idea di una collaborazione?

Elemento umano, al secolo Gianmarco Parlanti, lo conosco perché suona (fra le tante band) in una cover band  di Ligabue, e qualche volta era venuto a suonare al bar che gestisco con mia moglie. Una sera andai ad ascoltare la band in un locale vicino, scambiai qualche parola con lui e ci ritrovammo a parlare di musica e produzione. Così scoprii che, oltre a suonare la chitarra, produceva pezzi suoi e per altri, mi portò in macchina e mi fece sentire alcune sue produzioni. Anche se lontano dal mio stile, mi intrigò subito e iniziammo a collaborare a qualche brano. All’inizio “Limiti” si chiamava “If we try” e sarebbe dovuto essere il mio primo brano in inglese. Lavorare con Gianmarco è stato stimolante, una vera e propria crescita. È un rapper molto bravo e un musicista sopraffino, ma soprattutto mi ha aiutato a creare un mio stile, una mia identità musicale. Oltre a farmi da mentore insieme ad un altro amico nella produzione musicale, visto che sto muovendo i primi passi con le daw. Tornando al brano, una volta registrata la canzone in inglese,qualcosa non mi convinceva. Una sera, mentre ascoltavo la base riaffiorò nella mia testa una frase scritta due anni fa, rimasta nel cassetto perché non mi convinceva la musica e il testo non parlava d’amore come al mio solito. Così registro una nuova demo casalinga e la mando ad Elemento Umano, convinto che rimanesse scettico di questa nuova versione. Invece rimase colpito e dopo alcuni giorni andammo in studio a registrare nuovamente il pezzo. Abbiamo già in canna la produzione del prossimo singolo perché ci siamo trovati veramente bene. Ha il mio stesso amore e rispetto per la musica, oltre ad avermi dato il coraggio di affrontare anche altri temi oltre all’amore.

Che cambiamento hanno subito la musica e l’arte in generale, secondo te, in questo periodo così delicato?

La musica come l’arte in generale è stata martoriata, un po’ come la mia altra categoria lavorativa, quella dei baristi e ristoratori. Avevano promesso aiuti e fatto adeguare i locali alle norme per poi tenerli comunque chiusi. È sicuramente cambiata la fruizione dell’arte e della musica: non si può certo simulare un cuore in sincrono con i bpm di un concerto o l’estasi di essere di fronte all’Ultima Cena o alla Venere del Botticelli. Per gli emergenti come me, se prima era dura ora sarà durissima: devi sperare in un successo sotterraneo e diventare qualcuno in autonomia prima che una major ti si avvicini. Ormai alle major mancando i soldi dei live, investono solo sui loro cavalli di razza.”Creare”  un artista è un suicidio e nessuno è così autolesionista. Gli artisti affermati fanno i feat, non sciupano dischi o canzoni. Aspettano giorni migliori come dobbiamo fare tutti. Ma una cosa non è cambiata: se canti cose vere, se sei dentro al tuo progetto, se scrivi la vita vera ci vorrà tempo, ma la gente ti premierà. Che siano 100 o 1000 non importa, il cantautore vive di emozioni, vive per trasmetterle e raccontarsi. E questo non potrà mai cambiare.

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