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Come crescere “nel mentre” | Maggio per Indie Talks

Di Valentina Bellini – Futura1993

Adoro quando ascolto un artista e rimango a bocca aperta. Significa che ha scritto cose talmente vere da riuscirne a trasmetterne il valore. Mi è successo ascoltando Nel mentre (Lato A), primo album ufficiale di Maggio, uscito per Asian Fake e Sony Music Italy.

Il suo nome all’anagrafe è Roberto He, romano, classe 1993, membro del noto collettivo Klen Sheet insieme a Ngawa, P Lo Bro, Ratematica, Tanca, Giumo, Billa, Goldreick e Monoryth, tutti dediti alla musica e allarte nelle sue molteplici forme. Già a inizio 2019 qualcuno lo presentava come nostro prossimo rapper preferito. Dopo il primo EP della crew Klen Sheet, Manuale di sopravvivenza per fiati corti, Maggio entra nel roster di Asian Fake con il brano Raffreddore, a cui segue Latte Versato, entrambi estratti dall’EP I Nostri Fallimenti. Da tempo con un piede nella moda e in pianta stabile a Milano, si conferma ora una voce interessante.

In effetti, ci sono album che piacciono e altri che sembrano leggerti nella mente. Maggio cerca unidentità sciolta da condizionamenti, proprio come succede allampia generazione dei nati nel tempo di mezzo tra lanalogico e il digitale, tra il boom economico e la crisi. Non sei insicura se freni in curvaracchiude il modo in cui vorremmo affrontare anche questo periodo piatto, nella speranza, un giorno, di aver collegato i punti. Mentre il passato ci scorre davanti, restiamo ancora per un attimo sospesi, in attesa e pronti per qualsiasi cosa costruiremo in futuro. Questo disco è un sospiro liberatorio che riappacifica e permette di godere del tempo presente. Sette tracce con altrove. al centro, che inizia dicendo “Magari niente / magari sali / magari nel mentre“. Meglio osservare questo tempo di mezzo con le parole di Maggio.

INTERVISTANDO MAGGIO

Partiamo dal titolo, Nel mentre. Nell’artwork stavi aspettando una foto e nella realtà cosa stai aspettando? Cosa arriverà nel Lato B del disco?

Nella realtà sto aspettando il prossimo dettaglio che mi lasci capire meglio il periodo che sto/stiamo vivendo. Per me è importante capire le motivazioni che mi portano in quanto essere umano a crescere/cambiare o semplicemente ad affrontare un periodo per poi renderli una fase di crescita/cambiamento. Poter comprendere in minima parte quello che accade al mio interno e nei dintorni mi incuriosisce, spaventa e affascina allo stesso tempo. Il Lato B sarà una prosecuzione a sé stante che comunica e completa il Lato A. Per cui di certo ci saranno tante cose che ho provato a fare per la prima volta per vedere come andava, nonostante poi io rimanga sempre io, di carattere.

Nel brano chiudere un occhio canti “In questo periodo di mosche dimostrami / che certe volte dovremmo sbagliare anche al sole / e farcene una ragione”. Quando è arrivata questa consapevolezza?

Per me i periodi di mosche ci sono sempre stati nella vita di un essere umano, per cui non saprei dirti quando ho iniziato a provare a vivere questa consapevolezza di affrontarli a carte scoperte. Probabilmente il periodo in cui sono arrivato a Milano potrebbe essere un po’ l’inizio di tutto. In chiudere un occhio si parla di un periodo di vita in cui avevo bisogno (riferendomi a un reale qualcuno, a differenza di altri casi dove parlo da solo pur dando del tu) che mi si dimostrasse e ricordasse che certe volte sbagliare anche al sole è una cosa che paga, specie se fatta con giudizio e un podi bene verso noi stessi.

Ci pensi a chi vuoi essere nel mondo? / Io tutto però un altro manco morto” (e pensarci). Com’è evoluta la tua identità nel tempo?

Fino a 21 anni credo di aver vissuto in uno stato embrionale, come se la mia identità ancora fosse ipoteticamente in gioco sul cosa essere. Essendo cresciuto in un ambiente familiare pieno di contaminazioni e culture ho imparato istintivamente presto a muovermi un pocome meglio mi trovavo nelle varie situazioni di vita, senza tracciarmi contorni ben definiti dove non mi andava. Per cui ho immagazzinato tanto fino a capire che volevo semplicemente continuare così, assimilando input su input, capendo cosa valesse la pena tenere e cosa no e soprattutto evitando di pensarci troppo su. Quando ero a Roma per anni sono stato nel mio a coltivare cose senza affrontare realmente il mondo, sentendomi spesso non allaltezza e non in grado, sulla base di insicurezze e anche grazie alla possibilità di preoccuparmi di cose per tempo infinito, perché semplicemente potevo. In cuor mio però forse stavo già allenando quelle convinzioni che poi mi hanno davvero aiutato, una volta traslocato e una volta capito che il tempo di cazzeggiare ed essere insicuri e basta doveva per forza avere una fine. Oggi credo di star spuntando una lista di cose che ho immaginato e allungato per anni e che ora semplicemente vorrei avere la forza di vivere.

Camminerò sopra il passato / senza spostarlo / per ricordare ciò che ho fatto e fare altro” (non parlarmi di altro). Cosa facevi a Roma e di cosa ti sei occupato trasferendoti a Milano?

Ho fatto il liceo scientifico senza mai andare daccordo con i numeri e le logiche della vita, poi ho perso lanno successivo che da mediazione linguistica in russo e inglese è diventato un anno sabbatico. Poi ho preso una laurea triennale in grafica e me ne sono andato a Milano a fine 2016 per lavorare in una casa di produzione. A Roma non avevo mai avuto reali esperienze lavorative e trovarmi in un contesto nuovo privo di punti di riferimento è stato traumatico quanto necessario. Una volta presa fiducia ho iniziato a provare più cose, tenendo il rap come unica abitudine quotidiana dai connotati positivi. Dopo un anno ho lasciato il lavoro fisso perché non riuscivo a fare la musica come volevo e ho lavorato 6/7 mesi in bicicletta, andando da un quartiere all’altro della città ad accogliere e consegnare le chiavi ai turisti nei vari AirBnb. In più già poco prima di partire da Roma avevo avuto questa fortuna di ricevere qualche proposta da parte di brand e fotografi per posare da modello, per cui col tempo anche quello è diventato un lavoro che tutt’ora porto avanti.

Ora vorrei dirti che fai schifo / ma il mio tempo vale il triplo” (Ora vorrei). Come ti assicuri di dare al tempo il giusto valore?

Con una pressione spesso ingiustificata addosso. Passo le giornate a capire come massimizzare il tempo, perdendone ironicamente tanto. Dopo un pomi rendo conto che forse dovrei stare semplicemente tranquillo ed è in quel momento che ogni situazione che mi si piazza davanti diventa potenzialmente di valore. Credo che per dare valore al tempo sia poi necessario semplicemente vedere delle possibilità in tutto, sapendo che ci sono però delle priorità da rispettare. Il tempo si perde spesso e volentieri nel dubbio, nella scelta, nel dire “poi quando succede questo, faccio quello”, nel mentre. Proprio per questo piuttosto che pensarci e basta ci ho fatto un disco. Avrei perso un anno e passa altrimenti.

Che periodaccio era tra i 26 e i 27? Cosa provavi? È passato?

Mi è sembrato di guardarmi indietro per la prima volta. Per la prima volta mi rendevo conto che dietro c’erano più anni e vita di quello che credevo di aver vissuto e nella maniera più pura possibile ho avuto paura. Complice poi un periodo del genere tutto mi è sembrato semplicemente triste. Scrivere 26/27 (così si chiamava la prima versione) è stato come prendere tutto quel male che in quel momento era necessario, per accogliere una realtà che ora sto cercando di vivermi meglio. Quel pezzo ha la stessa take di quando lho scritto e rappato in casa di Giumo perché credo che, imperfezioni comprese, se lo avessi registrato di nuovo non avrei mai potuto rifarla così. Sarebbe stato ingiusto. Ora sto meglio semplicemente perché credo di aver affrontato faccia a faccia una di quelle fasi di passaggio della vita che o te la vivi o fai finta di niente per poi trovarti il conto. E a far finta di niente su queste cose non sono bravissimo.

In a 26/27 anni affermi che stai crescendo. Mi collego al tuo pezzo precedente Raffreddore: Hai deciso / non sarai più indeciso / Non sarò più indeciso / che schifosono le barre con cui definirei il desiderio di maturare e, allo stesso tempo, il bisogno di farlo a modo nostro. In questo momento come senti di voler crescere?

Vorrei crescere rispettando tutte le promesse che mi sono fatto. Alcune richiedono anni di tempo e pazienza, ma per me hanno valore. Riuscire a evolvere come meglio credo, rimanendo fedele a ciò che ho immaginato quando ero più piccolo con le responsabilità degli anni che ho è l’unica cosa che so che devo portare avanti. Solo così mi sembra di crescere.

La prima parte di questo progetto chiude con aprire un occhio. Il brano riporta obiettività al momento che stai vivendo dopo avere “chiuso un occhio” nella prima traccia del disco. Davanti a cosa l’avevi chiuso?

L’avevo chiuso davanti a un periodo di insicurezze dovuto appunto all’età e allo sfasamento generale. Mi sono ritrovato per scelta via da Milano da metà maggio 2020 a inizio settembre e in quel periodo avevo praticamente scordato com’è che volevo vivere. Al ritorno a Milano ho compiuto 27 anni e non capivo neanche realmente come gestirmi la musica e le cose che facevo. Fermarmi e chiudere un occhio è stata la mossa che mi ha fatto capire che dovevo prendere un foglio bianco e partire da lì. Uscire col Lato A è stato come aprire un occhio, invece.

Come vivere positivamente il fatto che “È tardi per frignare, nessuno ti aspetta / Spetta a te / Sembra uguale eppure passa in fretta / Ma com’è” (aprire un occhio)?

Ascoltando questo fatto direttamente sul beat di Golden Years, perché ci ho provato a spiegarlo in altre maniere ma in realtà quella è la cosa migliore [ride, n.d.r.].

In unintervista citi come tuo video di YouTube preferito un monologo di Pupi Avati sulla parola sempre”. La società consumistica esige disaffezione, discontinuità, mani libere. Ma oggi, in questa stagione della mia vita in cui qualcuno ha fatto scattare il tassametro, torna a essere salutare la misteriosa ebbrezza che produce anche solo sussurrarla a se stessi. Che legame c’è tra il tempo di mezzo di Nel mentre e il tempo eterno?

Entrambi non durano quanto sembrano. C’è tanto di eterno nel tempo che scorre nel mentre, ma solo nel momento in cui riesco a dargli un senso. Il nostro sempre” è fatto di sensazioni, di cose che semplicemente abbiamo deciso che erano così. Più ne troviamo, più il tempo che stiamo vivendo nel mentre acquisisce di valore. Forse è una supercazzola, però nella mia testa ha un senso.

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