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Errori | Indie Tales

“Non scrivermi più, sono un casino, sai ti faccio solo male”.
Questo cita l’ultimo messaggio che ti ho mandato, prima di chiudermi in un isolamento preoccupante per chiunque mi conosca davvero. 
È vero comunque, sono un enorme casino. Un casino che prima ti dice di sparire e poi impazzisce quando ti vede seduto al bar con gli amici. 
È sempre così: mi decido a lasciarti andare, poi ti vedo e in un secondo tutta la sicurezza e le certezze che avevo crollano come castelli di sabbia travolti dalle onde. 

Faccio fatica anche a mangiare lo sai? Perché non ci sei tu che mi fai compagnia al tavolo della cucina. Preferisco campare col cibo degli aperitivi, o forse con gli aperitivi in generale ma meglio non dirlo ad alta voce. 
Vorrei scriverti di nuovo, chiedendoti una colazione, un’ultima nel nostro bar. 
Seduti al solito tavolo sulla destra, io prenderei due caffè, che uno non mi basta mai, e tu mi prenderesti in giro perché il caffè mi rende dannatamente iperattiva e probabilmente inizierei a parlare a raffica, senza fermarmi, sotto il tuo sguardo divertito. 
Sarebbe una bella colazione non trovi? Solo che poi mi renderei conto, ancora una volta, che non voglio più avere a che fare con te perché non sappiamo fare altro che logorarci lentamente e dall’interno. 

Potrei fare molti più errori di quelli che già non faccio, ed è assurdo se ci penso. 

Me lo dicono sempre, le mie amiche, che ogni volta che siamo nella stessa stanza divento tremila volte più debole e non ragiono più. Ma come posso non esserlo? Finché continuo a cercare i tuoi occhi negli occhi di ogni passante o finché riconoscerei il tuo profumo anche in una stanza piena di gente. 
Il problema poi è quando siamo da soli ed è una cosa che dovrei dannatamente evitare. Quelli sono i momenti in cui la bolla di tranquillità che ci siamo creati a fatica sembra essere molto più stabile. Ma è tutta apparenza, ovviamente. 

Siamo come due pugili che continuano a rimandare l’ultimo round, fino dimenticarsi anche perché avevano iniziato a lottare. Solo che io il motivo me lo ricordo benissimo tutte le volte che ti vedo; siamo così testardi da non voler ammettere che staremmo meglio lontano chilometri. Al contrario, continuiamo a rincorrerci per provare quei cinque illusori minuti di piacere per poi ricominciare a farci male. 

Eppure io per provare ancora quel piacere fittizio andrei avanti a sbagliare, però insieme a te, che magari in due cadiamo in piedi. 

Ed è per questo che stasera non mi interessano i commenti delle mie amiche o la fastidiosa vocina nella mia testa che mi dice di fermarmi, stasera ho voglia di fare l’ennesima cazzata di cui magari mi pentirò tra due giorni. L’hai capito anche tu vedendomi arrivare e salutare distrattamente i tuoi amici. Ti vedo mollare sul tavolo dei soldi per pagare il drink che non hai nemmeno finito e ti alzi, con il solito sguardo che mi fa mancare il respiro. 
Siamo uguali alla fine; non abbiamo nemmeno bisogno di troppe parole. Forse a volte è proprio questo il problema: diamo per scontato che le parole siano superflue e non parliamo mai, convinti che tanto peggioreremmo solo le cose. Quanto siamo stupidi io e te.

Dieci minuti dopo siamo in macchina, la nostra playlist che risuona e il vento che entra dai finestrini rigorosamente abbassati. È in questo momento, con la tua mano mollemente appoggiata sul mio ginocchio e i fari delle auto che si confondono con le luci della città, che mi sento inevitabilmente meglio. 

Forse è vero che gli errori servono per farci imparare la lezione, ma stavolta devi aiutarmi a sbagliare. 

Racconto liberamente ispirato al brano “Errori” di Joan Thiele.