PH: Riccardo Michelazzo

Il capitalismo emotivo di Jesse the Faccio | Indie Talks

Il “capitalismo emotivo”, vale a dire quella particolare logica culturale in cui il sentire è il punto d’incontro, non soltanto delle istanze più propriamente emozionali ,ma anche degli atteggiamenti e delle pratiche economiche e psicologiche, influenza in modo decisivo la condotta amorosa delle persone.

Ascoltando il nuovo progetto di Jesse the Faccio, “Le cose che ho“, si può notare una certa critica rivolta  all’essere umano che è diventato sempre più schiavo della società nella quale vive, con la reclusione causata dal Covid che si è trasformata in un pretesto per scontrarsi con una nuova forma d’intimità, obbligata e claustofobrica.

Il mondo di oggi viaggia sempre più veloce rispetto a quello che in realtà si potrebbe permettere, con un’economia famelica e addirittura autodistruttiva, che tende ad assorbire costantemente la nostra vita, in cambio di manciate di euro da spendere per comprare cose inutili o che si romperanno dopo poco.

“Sai sono le cose che ho, Sono le cose che ho Però mi sento solo Non conto più i conoscenti Però mi sento solo Dici che ascolti e ti credo Però mi sento solo Lo so che anche tu m’ami Però mi sento solo Si io mi sento solo.”

PH: Riccardo Michelazzo

JESSE THE FACCIO X INDIE TALKS

Possiamo dire che nella società di oggi è più diffuso il verbo avere rispetto al verbo essere?

In verità credo che sia più il verbo essere a farne da padrone. Ovvero, apparire essere qualcuno, riconoscersi in qualcosa è ormai molto importante, diventa a volte quasi ossessione, non che lo condivida molto, anzi. Penso che con la propria integrità e singolarità si possa essere (appunto) molto più incisivi per una collettività. Mi piace pensare a una società dove il diverso (essere differenti almeno nell’apparenza, nel genere a volte anche nelle sfumature del pensiero) possa essere il cardine della comunità stessa. “Avere” lo associo sempre a una sorta di possessione, quindi più materiale e non so se mi piace tanto. Nelle mie canzoni c’è sicuramente più “essere”.

Sei mai stato legato emotivamente ad un oggetto?

Sicuramente sì, ma non in maniera volontaria. C’è la maglietta che mi piace più di altre, ma comunque dovrà essere lavata, quindi non può essere indossata per sempre. Associo di più forse a chi mi ha dato quell’oggetto, quindi l’emotività deriva semplicemente dall’associazione alla persona. Può essere una moneta, un biglietto dell’autobus, non importa: molto importante è a cosa e a chi ti fa pensare. Non credo di avere molto di mio.

PH: Riccardo Michelazzo

Perché l’arte viene vista dall’esterno più come una passione che un lavoro?

In Italia credo semplicemente perché non è tutelata come dovrebbe. Se per lo Stato viene trattata come un hobby, una passione che tutti possono avere fine a se stessa, la libertà di esercitarla è in verità limitata appunto per la mancanza di una struttura che parta “dall’alto”. Di conseguenza magari viene considerata anche dalla società in sè, dal popolo, come tale. Anche se poi tutti ascoltano la musica, vanno al museo, mettono i like alle belle foto. Credo che in altri paesi funzioni diversamente. Credo sia un discorso molto legato allo Stato dove si vive. Sono contento che comunque tanta gente, anche magari facendo altro per cause di forza maggiore, continui a provare con passione a farlo diventare un lavoro. Semplicemente perché lo è.

Come spiegheresti il capitalismo ad un uomo della preistoria?

Oddio credo sarebbe abbastanza complicato, almeno per me. Magari vivevano anche loro in un sorta di capitalismo preistorico dove il prezzo di mercato era deciso da chi aveva la clava più grossa, o forse non avevano tempo e modo di farsi questi problemi. Secondo me dormivano molto. Direi loro che siamo in una condizione dove tutto ha un costo, dove la persona in sè vale poco, rischia quasi di diventare oggetto, e che la libera espressione, il pensiero libero e la sua manifestazione sono l’unico modo per riuscire quanto meno a sopravvivere in maniera dignitosa. Non ci possiamo molto scappare.

Anche l’amore può avere un prezzo?

Purtroppo si. Non per me però. Il prezzo più grande da pagare in amore è la sofferenza di quando finisce.

Uscire il sabato sera è una moda?

Dipende. Varia molto in base all’età. Chiaramente siamo quasi costretti dalla società ad uscire di sabato, la domenica in ancora una buona percentuale di casi non si lavora ed è ancora considerato il giorno di festa. Forse è colpa della religione. Comunque anche molti eventi (in parte credo anche dovuto a quello ho appena detto) si concentrano tra il venerdì e il sabato, quindi è quasi necessario uscire quelle sere. Apprezzo anche chi non lo fa. Io personalmente amo il sabato a pranzo, per il resto sto decisamente rivalutando la settimana.

Quanti soldi servono per andare a New York?

Eh abbastanza. Poi dipende come e cosa vuoi fare nella città, non lo so con precisione quanto preventiverei di spendere. Alla fine io non l’ho mai fatto perché credo di non avere mai avuto abbastanza soldi per il pensiero che ho del come andare in quella città. Spero di farcela one day.

Che rapporto hai con i regali di Natale?

Mi fa sorridere perché sono nato il 28 dicembre e sono stato vittima del famigerato regalo unico. Per il resto non mi considero un persona particolarmente brava a fare regali. Mi piace fare i pacchetti però. Diciamo che fare regali mi mette una sorta di ansia, forse il Natale in sè mi mette un po’ di ansia. Però vedere le persone a me vicine felici mi fa piacere, quindi cerco comunque di impegnarmi per un pensiero. Ho quasi sempre pensato che regalare qualcosa di estremamente personale o addirittura proprio di mio possa funzionare, ma non credo che tutti apprezzino