Lorenzo Iuliitti

PH: Sandro Felici

Lorenzo Iuliitti: “Non bisogna mettere fretta al tempo” | Intervista

Ogni persona tende ad assorbire gli urti della vita in maniera diversa e soggettiva. Alcuni tendono a chiudersi in se stessi, facendo finta di nulla, come il mondo esterno fosse sparito, mentre altri reagiscono con rabbia e istinto sfogando tutte le proprie preoccupazioni urlando fino a perdere il fiato, prima di cadere a terra stravolti.

Lorenzo Iuliitti usa le sue canzoni per raccontare storie che si sviluppano attraverso vari scenari narrativi. Ad esempio l’ultimo singolo “Cavalli Selvaggi” descrive la presa di coscienza che hanno due persone dopo una separazione, attraverso varie immagini che sembrano uscite dalle grandi pianure americane, nella quale questi animali corrono liberi senza un meta, seguendo solamente la propria indole.

Proprio durante quei momenti cambiano i rapporti interpersonali, con alcuni legami  che si rompono portandosi via sogni e segreti, mentre la natura, indifferente all’essere umano, sembra aver trovato una propria pace.

INTERVISTANDO LORENZO IULIITTI

“Cavalli Selvaggi” che storia racconta?

“Cavalli selvaggi” è una storia come tante. È il racconto di una separazione e della presa di coscienza. La consapevolezza che questi avvenimenti lasciano nelle persone, quel misto di letizia per qualcosa che c’è stato e di amarezza per il sentimento della perdita e dell’irrimediabile con cui siamo destinati a confrontarci, soprattutto quando una storia è stata importante, come nel caso di alcuni dei soggetti in questione. 

La canzone in realtà mostra solo un flashback della relazione vera e propria dei due ragazzi, che non sono per forza le stesse persone che vivono i loro stati d’animo nei versi iniziali, lasciando molto spazio invece al sentimento del dopo e alle conclusioni che ognuno può trarne, in questo caso le mie, ma non solo. È una storia dai contorni dolciastri, anche positivi per certi versi, ma è anche la storia di una sconfitta, a seconda dei punti di vista. Sono tracce di vita, impronte lasciate sulla sabbia, ma con un’aspettativa di vita molto breve, nel caso specifico direi intorno ai quattro minuti.

Correre è un modo per non pensare alla paura?

Dipende sempre dal fine. Per alcuni personaggi di Springsteen così come per altri dell’epoca della beat generation ad esempio, la corsa è una necessità dettata dall’urgenza, da un senso di irrequietezza spesso figlio dell’età giovanile, quando ancora è molto forte la voglia e il bisogno di realizzare le proprie esperienze, di mettersi in gioco, spinti spesso dall’entusiasmo, che è molto più presente rispetto al sentimento della paura. Per altri può rappresentare invece un mero modo di approcciarsi alle cose, di affrontare la vita e forse si, anche un modo per non pensare troppo a quel nodo invisibile che ci stringe alla gola. 

Oggi la parola correre va di pari passo con il termine fretta, ma fretta non è sinonimo di velocità, e questo può farci prendere direzioni sbagliate. Bisogna anche saper correre. Forse si capisce che sono pigro.

PH: Sandro Felici

Ti piacciono i film western?

Non posso definirmi un vero appassionato, non sono un grande conoscitore di film western, anche se generalmente mi piacciono. Ho visto recentemente il film di Clint Eastwood, “Cry Macho – Ritorno a Casa”, e mi è piaciuto. Sicuramente apprezzo quelle ambientazioni, anche se “Cavalli Selvaggi”, più che da qualche film trova ispirazione dai libri di Cormac McCarthy, la trilogia della frontiera.

La natura cosa ci ha insegnato?

Questa è una domanda alla quale forse faccio fatica a rispondere. Credo che la natura possa darci molte lezioni. Mi viene in mente il senso dell’insieme, il fatto che ogni cosa sia imprescindibile dall’altra. Quindi anche un senso di appartenenza con il tutto, e l’importanza che questo tutto collabori. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, come postulato da Lavoisier nel principio di conservazione della massa. Quello che c’era prima ci sarà anche dopo, questo vale per l’uomo così come per la natura. La materia può essere solo trasformata. Quello che possiamo fare, è cercare di consegnare al futuro un risultato migliore. In musica direi che rappresenta l’armonia.

Il mattino che sensazioni ti lascia sulla pelle?

Niente di molto diverso da un’idea di fatica. Vedo le due cose molto legate in virtù del lavoro quotidiano al di fuori della musica che mi trovo a svolgere ogni giorno. Tuttavia nei momenti liberi, quando ho la possibilità di godermi una giornata al mare o in montagna, la mattinata mi restituisce sempre una sensazione di rinascita, questo sentimento palingenetico che porta in qualche modo a perdonarti e a trovare la voglia di ricominciare ogni volta un nuovo giorno o una nuova settimana con rinnovato spirito e perché no, anche una maggiore serenità interiore. 

L’amore del pomeriggio è diverso da quello della notte?

No non credo. L’amore in quanto amore non è un sentimento che muta col passare del giorno. Magari nel corso di tempi ben più lunghi ma non certo nel giro di qualche ora. Sarebbe un bel guaio se a qualcuno dovesse capitare questa sventura. Penso che fai riferimento ad un verso della mia canzone “Waltz del Mattino”, dove uso questi termini ma davvero non c’è nulla di metafisico per come volevo intenderlo. È solamente il momento della giornata in cui, in quel passaggio della canzone, i protagonisti si trovano a vivere la loro storia d’amore.

Perché le canzoni stanno diventando sempre più corte?

Non saprei. Forse per un discorso di presa alle radio. Quando mi approccio alla scrittura non penso mai in partenza a quanto deve durare un brano, vado avanti in maniera abbastanza casuale magari sbagliata ma fedele a quello che mi viene voglia di scrivere in quel momento. Ci sono canzoni bellissime condensate nel giro di un minuto e canzoni meno riuscite della durata di 10 minuti, o viceversa. Non credo che la durata di una canzone debba rappresentare l’indice di riuscita di un brano, ammesso poi che ne esista uno. “Desolation Road” di Dylan è una canzone bellissima, ma anche “New York telephone conversation” di Lou Reed lo è altrettanto. Penso che un autore scrive per come gli viene, può essere un caso.

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