QVINTESSENCE | Recensione album dei Qvintessence

E’ uscito il 27 Maggio 2022 l’album omonimo di esordio dei QVINTESSENCE, anticipato dai singoli Ghosts e Focus on the Crash (qui l’intervista alla band riguardo i loro ultimi brani).

Qvintessence non nasce come concept album, ma esiste comunque un filo conduttore che unisce tutti i brani del disco, evidenziando un sound ruvido e potente che contrasta con le liriche dal forte carattere introspettivo. La copertina stessa del disco, realizzata come tutte le altre grafiche dalla matita di Antonio Magro, è parte integrante del significato intrinseco dell’album, nella realizzazione visiva di un clown ispirato alla celebre frase di Jim Morrison: “Penso a me stesso come a un essere umano intelligente e sensibile, ma con l’anima di un pagliaccio, che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante.”

Partiamo subito da un assunto importante: qui si parla di rock’n’roll vecchia scuola. Niente fronzoli, niente sonorità edulcorate dalle necessità di mercato, niente brani studiati a tavolino. Keith Richards in una famosa intervista degli anni 2000 diceva che “nowadays everyone plays rock but they forget how to roll” , ma i Qvintessence sembra proprio che questo andamento travolgente ce l’abbiano nel sangue.

Ascoltando l’intero album, mai e poi mai diremmo che i Qvintessence affondano le loro radici nella “DottaBologna, ma per gli appassionati della scena rock italiana non è poi una sorpresa. Proprio l’Emilia Romagna è, in un certo senso, la culla del rock’n’roll made in Italy, con gruppi come gli Small Jackets di Lou Strings che attingono a piene mani dalle sonorità americane. Dalle infinite spiagge romagnole agli Appennini, passando per “la bassa padana”, in questa regione sanno davvero come fare il rock’n’roll, gente!

QVINTESSENCE – La recensione

L’album omonimo dei Qvintessence – disponibile anche in 33 giri per gli amanti del vinile – si apre con il singolo Ghost, che sembra in tutto e per tutto un’aperta dichiarazione d’intenti: “eccoci qua, siete pronti?“. La voce di Francesco Grandi si impone fin dai primi secondi, supportata da una sezione ritmica sfacciata (Giacomo Calabria alla batteria e Luca Nicolasi al basso), mentre la chitarra di Omar Macchione ricama tessiture grunge, alternando sapientemente dinamiche in netta contrapposizione.

Tenete bene a mente la parola “grunge”. Spesso si tende ad etichettare una band con un genere, non rendendosi però conto che la musica di matrice americana ha così tante sfaccettature da essere influenzata ed influenza, al tempo stesso. E per i Qvintessence è proprio così…

Nella frazione di secondi che intercorre tra Ghost Bandog, la band bolognese compie un vero e proprio teletrasporto, raggiungendo la costa opposta degli Stati Uniti. Un viaggio lungo – nella realtà – più di 45 ore quello che divide Seattle con Boston, ma sulle note di Bandog veniamo proiettati in un’atmosfera di Aerosmithiana memoria, che richiama la scintillante rabbia rock’n’roll di Pump Toys in the Attic. Non c’è spazio per respirare, non c’è tempo per guardarsi indietro, con una sezione ritmica così tight da non far rimpiangere Kramer & Hamilton. Sono lampi nel cielo, fotografie mosse di un viaggio troppo veloce per essere raccontato, quello che porta a Bee. 

Muhammad Alì diceva “Float like a butterfly. Sting like a bee” e sembra che questa massima calzi a pennello anche per questo brano. Up and downs riportano l’ascoltatore fuori dalla comfort zone e questa pratica si sa è propria dei maestri del grunge. Siamo nel territorio dei Mother Love Bone e Layne Staley, non proprio gente che ti fa sentire al sicuro, ma che allo stesso tempo riesce a farti amare ogni singolo cazzotto che ti arriva sullo stomaco.

Qvintessence non è un disco per deboli di cuore

La title track Qvintessence si nutre dei cambi repentini di dinamica, che fanno sprofondare in un baratro spettrale per poi proiettare verso l’alto in un ascensore impazzito di emozioni. Bisogna arrivare alla parte centrale del disco per fermare questo ascensore e restare per qualche minuto in cima: Not Against Me, Focus on the Crash, You know I’m right e I want it mine riprendono la tradizione hard rock a stelle e strisce, svariando dal clima “swag” dei Buckcherry fino ai riff decisi di un certo Tom Morello. Per chi è cresciuto con un certo tipo di sonorità in corpo, è impossibile rimanere fermi…se poi aggiungiamo il rock anthem God Damn abbiamo un quadro completo di ogni sfaccettatura dei Qvintessence. Da un lato una band dai riferimenti ricercati, dall’altro degli animali da palco che trasmettono tutta l’adrenalina di un live attraverso i solchi di un vinile.

One Like Me rappresenta la giusta chiusura di un cerchio all’interno dell’album o meglio, non è un caso che l’accordo finale sembra voler dire “ci sono ancora tante altre porte aperte, tanti mondi da esplorare, troppe cose da dire…ma per il momento riprendiamo fiato”. 

Qvintessence è più che un ottimo album di rock. In un’era in cui i dischi vengono registrati on the box e le band si ritrovano a scrivere musica davanti ad uno schermo, la band emiliana alza l’asticella creando qualcosa destinata a rimanere ed essere attuale anche tra 20 anni. I Qvintessence si posizioneranno sul mercato come la nuova promessa dell’indie italiano? Sicuramente no, ma possono dire la loro al Whiskey A Go Go o al Rock Im Ring e di questi tempi non possiamo che esserne fieri.

Hey Hey, My My, Rock’n’Roll will never die (ed il resto va da se, chi è cresciuto con il grunge sa di cosa parlo).