Richard J Aarden scopre “Richard J Aarden” | Recensione

“Questo disco è per me un enorme orgoglio. Non è propriamente un concept album ma, per come si è evoluto, può avvicinarsi a quel modo démodé di pensare la musica. E mi piace come in soli 20 minuti voglia portarti in molti mondi diversi. Dopo tanti anni di ricerca ad inizio 2021 ho finalmente trovato un denominatore comune per far vivere al meglio le sonorità insite nella mia scrittura…quasi il consolidamento del mio personale percorso.

Sono nato musicalmente negli anni del liceo facendo indie-rock in diverse band, mi sono poi immerso nella musica elettronica, che rimane una delle mie più grandi passioni, per poi scoprire negli ultimi anni la musica classica e la musica jazz. Gran parte del progetto è stato costruito e registrato nel mio piccolo studio, ho poi trovato in Luca Stignani e Peppe Fortugno due grandissimi alleati con i quali l’ho finalizzato nel migliore dei modi”.

Con queste parole Richard J Aarden ci presenta il suo primo disco che ha come titolo il suo nome, scelta artistica e sentimentale che gli permette di mettere in musica la sua vita, raccontando il suo vissuto a cuore aperto, escamotage reso efficace dalla possibilità di esplorare diverse sonorità.

Le parole che danno voce alle canzoni sono pronunciate dolcemente, come se fossero piccoli frammenti sparsi tra passato, presente e futuro che hanno la fortuna di riunirsi dentro questi brani.

L’album, pubblicato il  13 Maggio 2022 su licenza INRI/Metatron, è composto da nove canzoni, luogo sicuro per scoprire non solo se stesso, ma anche il senso di tutto ciò che ci circonda. Ogni traccia è un mondo a parte, fatto di sensazioni dentro le quale è consigliato abbandonarsi, godendosi il viaggio, evitando di stare lì a chiedersi sempre il perché qualunque cosa accada. Sembrerà di essere seduti in una stanza buia, mentre fuori dalla finestra, su un grande schermo bianco, vengono proiettati tutti i nostri ricordi, anche quelli che avevamo pensato di dimenticare, ma che in realtà sono sempre rimasti lì, nascosti tra cuore e cervello.

Il primo pezzo che apre  il disco è  “dd.mm.yy”: c’è una data, ma non esistono numeri.  Questo indovinello non risulta però incomprensibile anche se viene tenuto segreto il giorno al quale si riferisce Richard J Aarden, ma ho provato a dare due diverse interpretazione che con il senno del poi potrebbero anche coincidere  in unica, dentro il momento in cui Richard ha iniziato a suonare, entrando in contatto con l’universo dell’arte e della musica. Se ci soffermiamo sul concetto della nostra esistenza ognuno di noi ha un compleanno, da celebrare sempre lo stesso giorno fisso sul calendario, che non cambia neanche quando s’invecchia, nonostante con l’aumentare dell”età tendiamo spesso a dimenticare il numero di candeline  che devono essere messe sulla torta. La nostra presenza in questa dimensione però ad un certo punto terminerà, e quando non ci saremo più oltre ad un inutile compleanno, lasceremo scritta da qualche parte una data dove sarà più facile piangere per noi, che ormai non ci saremo più, volati chissà dove.

“dd.mm.yy” potrebbe simboleggiare anche il 13 Maggio 2022, giorno in cui è uscito il disco, segnando così una rottura tra il Richard J Arden uomo e l’artista, che esce dalla sua zona di confort per raccontare nuove storie e aprirsi al mondo.

Questo pezzo, pensato inizialmente come solamente strumentale, diventa quel inciting incident che da inizio al tutto, il big bang che ha generato l’intero album.

“Nomadic Head” è un diario segreto nel quale tutte le scritte si mischiano diventando confuse per tutti tranne che per l’autore stesso. Non è stato difficile far nascere questa canzone, nonostante al suo interno siano presenti varie sonorità,  ma adesso il flusso di coscienza rimarrà per sempre intrappolato tra queste note, come se fosse la radiografia di un sognatore.

Cosa succederà quando questi pensieri rifioriranno? Per quanto tempo riuscirò a tenerli a bada sembra chiedersi lui.  Si potrebbe rispondere a questa domanda con il terzo brano, “With No Hands”, che vuole rassicurarlo, come a dire. ” Non ti preoccupare, quando avrai voglia di confidarti con qualcuno rivolgiti alla tua musica e tira fuori tutto”

Il viaggio dentro ” Richard J Arden” prosegue con una tappa divisa in due parti: “Somewhere I Feell Free pt I e pt II”. Certe volte delimitare i confini è un processo inutile e dannoso, meglio non avere un piano B e buttarsi a capofitto, seguendo solamente il proprio istinto. L’artista italo-olandese era arrivato in studio con una bozza solamente da registrare, ma poi qualcosa non lo convinceva e così ha deciso di dar vita a questa nuova versione.

I belong somewhere I feel free sono le ultime parole che rimangono prima di lasciar spazio alla seconda parte, nella quale a parlare, rimangono i tasti del pianoforte, cullati dal rumore dei synt.

“Caesar”, collocata oltre la metà del disco, è un omaggio a Cesare Pavese che in un suo romanzo “Il mestiere di vivere” riporta questa nota, risalente al 1936.”Quale mondo giaccia al di là di questo mare, non so. Ma ogni mare ha un’altra riva e arriverò”, in questo brano tradotta letteralmente in inglese.

Forse a volte bisognerebbe trovare il coraggio di partire senza avere una destinazione finale, vivendo ogni momento con curiosità, prendendosi il lusso di sprecar tempo andando alla ricerca della bellezza, anche se prima bisogna capire dove si sia nascosta. Richard J Aarden, pian piano, sta prendendo confidenza con i suoi pensieri, mentre il mare dell’inizio, sta pian piano diventando navigabile, mentre da lontano si posso vedere le piccole luci del porto.

Richard J Aarden

Quando la situazione sembra essere più tranquilla bisogna far attenzione perché possono spuntare fuori nuovi ricordi, teneri tsunami pronti a farci emozionare,  e così ecco che risuona “Voicemail” un messaggio dimenticato in segreteria, fermo lì in silenzio, nell’attesa di essere ascoltato.

“Wicker” è un accenno di lieto fine, ma solamente per chi ha il coraggio di lottare, per chi vuole resistere fino alla fine, continuando a proteggere i propri desideri.  Non si ottiene nulla per caso, serve sudore, fatica e impegno. Talvolta vale la pena anche urlare, piangere e disperarsi, ma poi dopo essersi sfogati bisogna avere la costanza per ricominciare, mettendoci ancora più dedizione. Solamente Richard J Aarden può sapere quanta passione sia stata necessaria per lavorare a questo album, ma canzone dopo canzone, anche il pubblico medio magari non abituato ad ascoltare questo genere di musica, verrà trasportato in nuovi mondi immaginari, che in realtà hanno la capacità di mutare sempre, riuscendo ad adattarsi a chi sarà seduto dall’altra parte del palco.

L’ultima traccia, quella con cui si arriva alla fine del disco è “May You Be” una preghiera dedicata a tutte quelle persone che si sentono perse, indecise su quale strada percorrere.

Nata come omaggio da parte del musicista a tutti gli artisti che lo hanno formato culturalmente come Frank Sinatra, Paolo Conte e  Chet Baker, diventa uno sguardo verso nuovi orizzonti dove ognuno di noi si potrà ritrovare.