quando vedo te | Indie Tales

Di Sara Pederzoli

Fa strano pensare che quando le cose finiscono, si inizia a guardare tutto da un’altra prospettiva. È stata una consapevolezza improvvisa che mi ha colpito durante l’ennesimo sabato sera fuori, in quel bar che ne ha viste di tutti i colori. Ho sentito la tua voce da lontano e mi sono sentito un coglione.

Mi manchi e non c’è dubbio, la biondina seduta di fianco a me ci sta provando da almeno mezz’ora ma mi prende male anche solo pensare di andare con altre, non ho proprio la voglia.

La bottiglia di vino è aperta sul tavolo e i miei amici mi guardano con compassione quasi, increduli della persona che sono diventata e forse spaventati dalle marcate occhiaie sul mio volto.

Il telefono appoggiato di fianco alle sigarette ancora da fumare. Lo guardo e sembra bruciare, come volesse dirmi “chiamala, risolvi tutto” e quasi cedo alla tentazione di cambiare le cose, ma poi mi ricordo le urla, le lacrime e quella tua frase, breve quanto lapidaria. “Non siamo più niente di speciale” mi avevi detto e avevo sentito il cuore sgretolarsi immediatamente, senza possibilità di ripresa.

Qualcuno propone svogliatamente di andare al mare, proprio in quel posto, e il mio cuore perde un battito. Ti ricordi quando ci siamo andati la prima volta? E come in pochissimo tempo sia diventato il nostro posto dove scappare da tutto e tutti?

Eri bellissima, illuminata solo dalla luce della luna, seduti su quegli scogli a parlare di tutto e di noi, confidandoci i nostri sentimenti e le nostre paure, sconfiggendole una dopo l’altra. Ti ho detto ti amo per la prima volta lì, con il cuore in gola e le mani che tremavano. Ti eri stretta nella mia camicia, che stavi indossando per proteggerti dalla brezza, e mi avevi sussurrato una flebile risposta, carica di tutte le paure di cui avevamo appena parlato. Ti avevo baciato, un bacio intenso, che urlava tutta la mia voglia di rimanere lì, per sempre, in quella bolla di tranquillità che avevamo solo io e te.

Non riesco più a guardare il mare allo stesso modo, come tutte quelle cose che mi ricordano te.

Come non riesco a guardare quello stupido oroscopo sui giornali, che tanto difendevi con le unghie e i denti.

Mi ricordo la prima volta che siamo usciti, quando ti sei impuntata per scoprire il mio ascendente, facendo quasi la bambina. “Dai Franci è importantissimo, devo capire se questa cosa tra di noi può funzionare” avevi detto, con quegli occhioni verdi che già mi avevano conquistato.

Anche i caffè hanno un sapore diverso e quasi non li bevo più, avendo perso la mia battaglia con te, che di caffè ne bevevi fin troppi, usando la scusa del lavoro.

Sono tantissime quelle azioni che noi avevamo rese nostre, pure nella loro semplicità, e che ora sono come una pugnalata al cuore ogni volta che ci ripenso. Come passare a salutarti in macchina sotto casa dopo le serate in cui non riuscivamo a beccarci e congelare il tempo anche solo per una mezz’ora o le sigarette fumate sotto casa mia, prima di salire e passare le notti insieme.

Non riesco a dimenticare e non voglio farlo. Sta iniziando a piovere e lo prendo come un segno dall’alto che per me è meglio andare a casa, per evitare di fare casini di cui inevitabilmente mi pentirei domani mattina.

Mi alzo, quasi senza dire nulla a nessuno e mi avvio verso casa, da solo, contento delle gocce che stanno iniziando a scendere che si mischiano a qualche lacrima che, contro la mia volontà riesce a scivolarmi sulle guance.

Mi sento uno stupido cliché, ma l’unica verità è che, nonostante tutto e nonostante le cazzate che continuo a raccontarmi, ci sto sotto come un cane.

Racconto liberamente ispirato al brano “quando vedo te” di dile