Desa: Abbiamo tutti bisogno di “una notte e forse mai più” | Intervista

Il progetto di Desa (aka Giuseppe De Santis) inizia a crescere poco dopo lo scoppio della pandemia. Dopo anni di esperienze in gruppi alternative rock e cori pop acapella, che hanno ampliato il suo bagaglio musicale, Desa decide di sfruttare il confinamento forzato per avviare qualcosa di personale e suo. Insieme al producer Gaetano Del Gaiso, inizia a pubblicare una serie di brani dalle sonorità variegate.

Il progetto gira intorno al concetto di “sperimentazione” in tutte le sue forme: nei ritmi, nei testi, negli strumenti utilizzati. Il tutto, all’interno ad incorniciare un’idea di pop inteso come “musica delle persone”, ossia storie, immagini, e suoni che possono risuonare in ciascuno di noi.

Il suo ultimo brano, “Dancing on the Moon”, è la prima collaborazione internazionale di Desa. L’artista ha collaborato con il producer tedesco JDutt per realizzare un singolo dance traboccante di synth e beats al sapore di anni ’80. Ha dichiarato: “Quando ho sentito la base, ho immaginato di trovarmi in un night, coi neon che schizzano da ogni dove, e macchine del fumo a palla. Ho pensato a un incontro di anni fa, in un club di Berlino. Fu qualcosa di inaspettato, evanescente, che si è cristallizzato nella mia mente lì, su quella pista. Dancing on the Moon racconta quelle sensazioni e di quella festa”.

La traccia è disponibile su tutte le piattaforme di streaming dallo scorso 25 novembre e oggi vi proponiamo questa intervista, volta a conoscere meglio Desa ed il suo universo.

INTERVISTANDO DESA

Com’è nata la collaborazione con il producer tedesco JDutt per “Dancing on the Moon”?

Juri (JDutt) mi ha avvicinato inizialmente su Instagram. Gli sono molto piaciuti i pezzi che avevo rilasciato con il mio storico producer, Gaetano Del Gaiso, che ha anche fatto parte del team di produzione di questo brano. JDutt mi ha sottoposto diversi beat da lui realizzati, e mi sono subito innamorato di uno chiamato “McFly”. Aveva delle sonorità così nostalgiche ma al contempo molto intense, e le parole sono nate quasi di getto. E’ stata un’esperienza di scrittura fantastica!

“Dancing on the Moon” è il racconto di un momento della serie “una notte e forse mai più”, quanto incidono questi lampi di vita all’interno della tua esperienza da artista?

Ovviamente parlo per me, ma sono queste esperienze di vita che hanno influenzato maggiormente la mia musica. Sono un tipo che si infiamma per piccoli dettagli, uno sguardo, una parola, un ballo. Ogni persona che ho incontrato è legata a piccoli dettagli e momenti che mi hanno fatto crescere umanamente, e che conservo nella persona che sono oggi. A volte, una “notte e mai più” è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Hai più provato nuovamente quella sensazione di “Ballare sulla luna”?

Sì, decisamente. Il fatto è che si tratta sempre di “momenti”, come tutti i sentimenti. L’amore non è una stasi, è un’emozione come le altre che nasce, cresce, muore, e torna a nascere in un altro momento. L’idea dell’amore come una “condizione” è un’illusione pericolosa, perché crea degli standard irrealizzabili che ci faranno solo soffrire. Si può sempre “ballare sulla luna”, ma bisogna viversela per quello che è, uno splendido momento da godersi nel presente, senza pensare a quanto durerà quel ballo.

Quali sono secondo te i criteri più importanti per sentirsi liberi: lasciarsi andare, non curarsi delle opinioni altrui o fare tutto quello che vogliamo, senza rimpianti?

Direi un equilibrato mix dei tre. Se non ci lasciamo andare, e non seguiamo il nostro istinto, finiremo per camminare su un percorso artefatto, non costruito su noi stessi. Le opinioni altrui sono importanti, perché siamo animali sociali, è inutile negarlo. Tuttavia, non possono essere l’unica cosa che conta o la cornice all’interno della quale disegnare sé stessi. Infine, penso che la cosa peggiore che uno possa vivere è proprio il “rimpianto”, costellato da tutti quei “e se avessi…?” che finiscono per intossicarci. Nella mia vita, preferisco pentirmi di ciò che ho fatto, piuttosto che rimpiangere ciò che non ho fatto.

Come mai hai scelto l’inglese per questo brano, è una scelta strategica o è stata dettata dalla natura della collaborazione con JDutt?

Anche qui, mi sento di dire che entrambe le motivazioni hanno influito sulla scelta. Sicuramente, volevo un linguaggio comune su cui costruire questo pezzo, affinché JDutt potesse essere pienamente coinvolto nel processo creativo. D’altro canto, l’inglese è la mia seconda lingua madre, diciamo così. Ho sempre scritto in inglese, sin dal liceo, e il sound di “Dancing on the Moon” aveva un sapore troppo internazionale per essere vincolato alla lingua italiana, che amo e adoro sotto ogni aspetto, sia chiaro!

In che modo “Dancing on the moon” è diverso da “Altra storia”? Ti senti cresciuto e maturato come artista in questo anno?

Assolutamente sì. Sono una persona diversa, che sta vivendo una vita diversa. Mi sono trasferito e ho lasciato casa, la mia “comfort zone”. Entrambi i brani, tuttavia, sono sempre un riflesso di me. Io sono tutto quello che scrivo, tutti i momenti di cui canto. Sono tutte sfaccettature della persona che sono, delle esperienze che ho vissuto, e delle emozioni che ho provato. Mi sento artisticamente cresciuto, più consapevole di ciò che voglio e di ciò che posso ottenere. Ci sono altri cambiamenti in arrivo, ma non voglio spoilerare troppo! Vi dico solo che “Dancing on the Moon” è solo l’ultimo gradino scalato di un percorso ancora lungo, colorato, e pieno di sorprese!

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