Brucherò nei Pascoli

Un posto scomodo che sa di casa | | Indie Talks X Brucherò nei pascoli

I Brucherò nei pascoli fanno la musica che vogliono come la vogliono e non hanno mai avuto paura di dire che ne hanno le “Palle Piene“.

Dopo l’ep “Bar Adriana“, uno dei gruppi più discussi della scena indipendente, che ha fatto del crossover musicale la sua firma, è tornato con un nuovo e potente “singolo-manifesto”.

“Palle Piene” parla di tutto ciò che si accetta a testa bassa e che ci è spesso scomodo, ma che non lo diciamo mai. Parla della voglia di evadere, a bordo di una panda, di tornare in una casa che, alla fin fine, così male non è mai stata e non ha mai avuto pretese nei nostri confronti.

Dietro gli occhiali da sole scuri, l’animo provocatorio di chi sa di essere sconveniente e a cui piace esserlo, tra alcol, sigarette e nessun timore di dire esattamente quello che si pensa, abbiamo voluto conoscere da vicino la realtà dei Brucherò nei pascoli, che vivremo in questo prossimo Mi Ami 2023.

INTERVISTANDO I BRUCHERÒ NEI PASCOLI

Iniziamo parlando del vostro nuovo singolo, “Palle Piene”, il primo dopo l’ep “Bar Adriana”. La forza dei Brucherò nei pascoli è sempre stata la capacità di raccontare il reale nella sua interezza, mostrandone anche le parti più scomode e lo avete sempre fatto in modo satiricamente ironico. “Palle Piene” è qualcosa di un po’ diverso, forse di un po’ più malinconico e si percepisce. Cosa cambia?

“Palle Piene” è una metafora. Parte dallo sfogo della strofa fino ad arrivare ad un’apertura nella parte del ritornello. Nell’immagine della panda, è come se uscissimo dalla città e andassimo verso la provincia, verso la campagna. Infatti parliamo del bar dietro l’angolo, dei bambini.

Le immagini “malinconiche” che si percepiscono fanno però pensare ad un’apertura di spirito, come a dire: “dopo tutte queste rotture di coglioni, torno a qualcosa di più rurale, di più vero”.

L’ironia è una componente fissa dei Brucherò nei pascoli, un po’ sul modello di Rino Gaetano e rimane anche in “Palle Piene”. Il gioco ironico sta proprio nel confronto tra l’incazzatura e una bella malinconia.

Rispetto a “Bar Adriana” la differenza è che c’è una presa di posizione molto più forte e violenta, ci stiamo inoltrando in qualcos’altro, benché la satira sia sempre la nostra risposta.

Brucherò nei Pascoli
PH: Astrid Ardenti

Si tratta di un ritorno quindi?

Noi veniamo da fuori, la canzone parla di un ritorno a ciò che è fuori, un avvicinamento ad un’altra identità, quella della provincia e delle origini.

Siamo nel pieno di un discorso che si lega bene con il vostro modo di fare musica: è sempre più all’ordine del giorno la lotta contro un ideale di società basata sul mito della perfezione, dell’eccellenza e della competizione come unica via per vivere. Per voi quanto è importante il fallimento?

Ti diciamo solo che Stefano aveva tatuato sul braccio “il mio nome è illuso”.

Il fallimento è importante, perché ti aiuta a capire. Quando io e Stefano abbiamo iniziato a fare musica non ce n’è inizialmente andata buona una. Mano a mano abbiamo trovato le persone giuste con cui farla.

La nostra vita, oltre alle storie personali, è sempre stata costellata di fallimenti – come la vita di tutti – e sono stati anche questi che hanno portato poi ad un grande incontro, dal punto di vista musicale, che ha cambiato le cose. E siamo molto consapevoli che vivere da musicisti è un grande privilegio.

Raccontiamo di tutto nelle nostre canzoni, delle esperienze, positive e negative nostre, ma soprattutto le storie degli altri, dei loro fallimenti, dei loro modi di vivere.

brucherò nei pascoli
PH: Astrid Ardenti

Infatti la musica la si fa per sé sicuramente, ma anche per gli altri e la sensazione che date è che va bene essere anche fuori posto rispetto a ciò che è percepito giusto e normale, perché forse un giusto e un normale non c’è e non deve esserci. Sperate che la musica dei Brucherò possa essere un posto sicuro per chi crede di non averlo proprio un posto?

I Brucherò nei pascoli vogliono essere posto scomodo che ti fa alzare e grattare il culo, che ti invita a cambiare di posizione. Non è una comfort zone.

Alla base di quello che facciamo, tendiamo sempre a scrivere le storie degli altri. Anche nei video, non ci siamo mai messi in prima persona. E questa, se ci pensi, è una tendenza molto lontana da quello che è il mood dell’indie, molto autoreferenziale. Il nostro progetto si basa moltissimo sul racconto della vita degli altri.

Le storie sono tante e diverse e questo si vede anche nella musica: come mood sonoro non facciamo un genere specifico in cui ci si identifica. Spaziare tra vari generi vuol dire rendere questo progetto “solo”: è la canzone singola che conta, motivo per cui abbiamo un pubblico molto variegato. Anche troppo forse, fino agli estremi, purtroppo o per fortuna.

Abbiamo parlato di fallimento. Ora parliamo di successi: so che vi hanno annunciato al Mi Ami 2023. Siete pronti? Cosa ci dobbiamo aspettare? Dobbiamo avere paura?

Ricordo il primo Mi Ami da frequentatore quando ci siamo addormentati su un prato alle 4 del pomeriggio dopo aver bevuto di tutto. Tornare sul “red carpet” è divertente e siamo veramente contenti che ci abbiano invitati.

È una bella situazione e speriamo sia la prima di molte. Sarà uno show in cui porteremo il nostro nuovo ep, “Ghicci ghicci“, in uscita il 19 maggio. Ci sarà una formazione con la band che è una cosa su cui stiamo lavorando da tempo, facendo molti sacrifici. Tutti musicisti stanno investendo molto del loro tempo, quindi, sicuramente c’è dell’impegno.

Altro che paura! Ci sarà da divertirsi e basta. Ci impegneremo a non essere troppo sbronzi sul palco.

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