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Tutti vogliono qualcosa (review): il nuovo film di R.Linklater, il regista del panta rei

Ci sono film che non chiedono il permesso, entrano, catturano lo spettatore e se ne vanno via, lasciando strascichi di ricordi, immagini, sentimenti e note che fanno sorridere, che fanno riflettere. Tutti vogliono qualcosa, l’ultima opera del regista Richard Linklater, rientra in questa categoria. Apparentemente insignificante, narrativamente impalpabile, straordinariamente efficace.

Dialoghi illuminanti, colori, brani storici che hanno segnato la storia della musica, camicie fantasiose e variopinte, sigarette consumate al vento, feste e cameratismo. Tutti vogliono qualcosa è in realtà un docufilm romanzato sugli ’80 che racchiude in sè i tratti distintivi di una generazione, quella dei babyboomers over 20 figli dell’ottimismo e del benessere economico degli anni ’60, l’epoca del the best has yet to come.

Gli ideali di libertà e di anticonformismo di fine anni ’60 sono stati spazzati via dalla crisi economica del decennio successivo, così Dandies, Punks e Hippies convivono insieme nel 1980, l’anno in cui Reagan diventa presidente e la disco e il punk sono al loro apice.

Promotori di ideali meritevoli, annichiliti dal pragmatismo del capitalismo, hanno ormai sotterrato l’ascia di guerra rinunciando quindi ai contenuti ma alla forma, no di certo. I protagonisti di Tutti vogliono qualcosa risultano stilisticamente perfetti sia negli atteggiamenti che nel look.

Ambientazioni, colonna sonora, dialoghi e battute, nulla è lasciato al caso. La meticolosità e la cura nella scelta di tutti gli elementi che compongono questo film rispecchiano la dedizione e la professionalità di Linklater, il regista che dà al tempo una dimensione materiale. Sembra, infatti, di vivere le vicende dei personaggi insieme a loro, tra gli spalti del campo d’allenamento, tra i marciapiedi, tra le i corridoi dei dormitori.

Linklater, autore di alcune delle pellicole americane più personali dell’ultimo decennio, crea atmosfere uniche per in cui  la distribuzione temporale della trama non è compressa, nè scandita da episodi che determinano l’inizio dell’una o dell’altra scena. Tutto scorre in un flusso continuo di fotogrammi, un panta rei di vite e di aneddoti che si incontrano, si uniscono e fluiscono all’unisono fino alla fine senza mai annoiare. Bisogna cominciare a chiedersi se il regista di Houston classe 1960 non debba essere considerato a tutti gli effetti uno dei maggiori cineasti americani viventi.

Sembra che nei suoi film  non succeda nulla di thrilling (eccitante ndr), tuttavia il tutto che certi registi cercano di rappresentare sta proprio nel nulla, che diventa linfa vitale per il  regista di  Boyhood. Perchè la vita accade lì e non occorrono trame arzigogolate nè effetti speciali per rappresentarla.

Giovinezza, speranza, ingenuità, spensieratezza, amore, amicizia, ritmo, bellezza: Tutti vogliono qualcosa è il ritratto di un’eterna generazione che avanza consumando voracemente il presente.

Di Salvatore Giannavola

Articolo pubblicato in data 25/06/2016 da TelefilmCentral

Salvatore Giannavola

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