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Mosto: “La nazionale è come la musica e il vino” | Intervista

Tommaso Paradiso in uno dei suoi ultimi successi cantava sei bella come la nazionale del 2006, mentre Mosto, nel suo nuovo singolo ricorda gli eroi di Berlino che hanno alzato al cielo la Coppa del Mondo. Beh quest’estate abbiamo rivissuto quei ricordi, con la nazionale di Mancini che, andando anche contro i pronostici, ha conquistato il titolo di Campione d’Europa. I festeggiamenti sono esplosi nelle varie piazze e ci siamo riscoperti ancora una volta un po’ più Italiani.

Mosto è un cantautore  molto affezionato alla natura e alle vigne nella quale vive, celebrando nei suoi brani immagini bucoliche che descrivono feste e bevute con gli amici, con quella sincerità e schiettezza tipica di chi arriva dalla campagna.

INTERVISTANDO MOSTO

2006 o 2021: cos’hanno in comune i due trionfi azzurri?

Penso il fatto che sono due vittorie arrivate contro ogni pronostico iniziale. E penso sia per questo che hanno lasciato in noi un ottimismo così grande: perché ci ricordano che nessun obiettivo è impossibile e che non è mai troppo tardi per raggiungerlo (vedi Chiellini oggi o Del Piero ieri).

Perché il calcio unisce così tanto le persone?

Credo che uno dei grandi problemi dell’Italia sia che ogni discussione viene gestita come una lite tra ultras: avviene in quasi tutti gli ambiti, dalla politica alla musica.

La nazionale di calcio, durante i mondiali o gli europei, è invece uno dei rari momenti in cui puoi trovarti d’accordo, e magari abbracciato, con persone con cui normalmente non avresti potuto neanche scambiare una parola. È una magia di cui è capace solo la nazionale. A parte la musica o il vino, ovviamente.

Quale bottiglia di vino ami stappare per festeggiare?

Sicuramente una bottiglia di Timorasso: è un vino bianco invecchiato che sta dando una nuova vita al mio territorio, i Colli Tortonesi, che si trovano tra Milano e Genova. Da quando ho scritto il pezzo “Mr.Timorasso”, che da queste parti è diventato una sorta di inno, sono “costretto” a brindare sempre e solo con lui.

Come ci si accorge che si sta bene da morire?

Quando ci si accorge di aver trovato una persona con cui quelli che sembravano gli sbattimenti o i drammi della vita di coppia, diventano invece un divertimento. Così, insieme, non si ha più paura di nulla.

Il covid ci ha insegnato qualcosa?

Mi piace pensare che ci abbia fatto capire che il culto della città, inteso come totale allontanamento dalla natura, non può più essere tollerabile. Nei mesi incarcerati in casa chi aveva un giardino o aveva uno sbocco sulla natura ha trovato una preziosa oasi di pace. Certo, chi non aveva questa fortuna poteva sempre mettersi in cucina, cercando di usare il Lievito per creare un momento di felice condivisione tra pizze e torte, ma una volta finito era davvero dura. Inoltre, credo ci abbia fatto capire che abbiamo già tutta la tecnologia necessaria per fare molti dei nostri lavori da qualsiasi parte, anche in provincia. A me la pandemia ha dato la scusa per farlo davvero: ho aperto insieme a degli amici un coworking in mezzo alle vigne.

Abbandoneresti mai la collina e le vigne per vivere nel caos di una grande città?

Fortunatamente non devo fare questo tipo di scelta, perché ho trovato un luogo in collina che sta a 40 minuti da Milano, dove posso comunque andare a fare il pieno di stimoli quando voglio.

Ma in realtà è una scelta che avevo dovuto fare in passato, quando mi ero trasferito a Milano per imparare il mio lavoro, il creativo pubblicitario. Ed è stata proprio questa esperienza che mi ha fatto capire quanto amavo tutte le piccole cose della collina e della provincia. Da quel giorno, come dico nel mio brano “Turista”, riesco a guardare la mia terra ogni giorno come se fossi un “turista a casa mia”.

“Cynar” è una lezione utile a quei giovani che hanno tutto ma non riescono a sentirsi felici?

Più che altro penso sia un inno al non smettere mai di sorprendersi e di divertirsi. Tante volte ci precludiamo delle cose e delle esperienze che potrebbero essere piacevoli o divertenti, solo perché abbiamo l’abitudine di etichettarle in qualche modo. Ad esempio ci sono un sacco di “cose da vecchi” tipo il mare d’inverno, le bocce o il Cynar che ho scoperto nell’ultimo anno e che ho trovato fichissime. Con questa logica, spero di scoprire ogni anno della mia vita cose nuove che ho a portata di mano e che magari fino a quel momento non ero mai stato in grado di apprezzare.

Per fare musica ed essere un artista “Ci vuole fegato?”

In questo periodo temo proprio di sì. Purtroppo due anni di assenza dai live ci hanno costretto a puntare tanto sul digitale e sui social: un luogo che secondo me al momento non offre la tutela che spetterebbe alla musica e alla cultura in generale. I vari algoritmi favoriscono il trash, i gattini e in generale l’aspetto fisico e l’apparenza. In questo contesto la musica rimane penalizzata e per niente aiutata (inoltre Facebook e Instagram trattano gli artisti come aziende e quindi ci chiedono di pagare per ogni cosa vogliano far vedere a tutti i nostri follower). Ma fortunatamente ora i concerti stanno tornando e quindi se proprio dovremo rovinarci il fegato, sarà per bere dopo una data andata alla grande.

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Nicolò Granone

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