PH: Andrea Rocca
“Questa non è casa mia ma me la farò bastare
Questa non è casa mia ma me la farò andar bene”: Buona Miseria
“Dici quel libro mi ha cambiato la vita, Ma poi non mi ha mai cambiato lavoro” : La vita immaginata
Negli ultimi due singoli Brenneke ammette una certa rassegnazione, probabilmente perché oggi non è un buon momento per la cultura in Italia, ma allo stesso tempo sembra provare ad alimentare una piccola fiammella di speranza.
Vi è mai capitato d’iniziare a leggere un libro, che all’inizio non vi convince granché, ma che ad un certo punto, con una svolta narrativa, fa di tutto per non farsi staccare gli occhi da dosso. Ecco anche la vita può provocare queste emozioni, bisogna solamente aspettare di girare la pagina giusta.
Brenneke ci porta nel suo circolo letterario fatto di lettori, emozioni e parole da condividere con il suo pubblico, in un brainstorming collettivo per scegliere la trama di questa nuova versione dell’artista, ritornato sulla scena dopo un periodo passato nascosto tra le righe.
Buongiorno amici cari. Per questa e una manciata di altre domande mi sono affidato anche al punto di vista di alcuni FAN sull’Instagram. Che splendida invenzione, i fan. Ergo, non perdiamoci in sproloqui e approfondiamo il loro pensiero. Le prime risposte vanno dalla conferma con “Tempi granitici”, “Durissimi”, alla rassegnazione con “quale cultura?”. Interpretata letteralmente, questa pone una questione del tutto centrale. E infatti ecco il dubbio, “Dipende cosa si intende per cultura. Per la cultura popolare no, non credo” e un illuminante “No, what about parlare in corsivo?”. Nell’ultima risposta, una tibetana accettazione: “Non sono mai tempi duri per la cultura, essa è quella che è”. Una prospettiva che apre la porta per la consapevolezza definitiva. Oggi siamo nella cultura dell’oggi. Per questa cultura va tutto alla grande direi. Domani non andrà così bene per la cultura dell’oggi. Il campione di italiani da me interpellato (per quanto immensamente migliore della media) mi pare molto ragionevole sul tema. Qui si fa l’Italia o si muore, disse Gary Barlow.
Una volta vidi “L’arte della guerra” di Sun Tzu all’autogrill. Pensai che acquistandolo sarei potuto divenire un celebre condottiero cinese. Fallii. Ma grazie alle tecniche di strategia militare imparate dal testo entrai nel giro dell’editoria indipendente italiana e in pochi anni creammo una rivoluzione europea grazie ad un libro che in seguito ad una restrizione giudiziaria non posso citare. Arrivarono montagne di soldi, qualcuno perse il controllo della barca e giunsero anche i guai. La pressione mediatica era troppo forte, presi la mia parte e cambiai aria per un po’. Fuggii in una sperduta isola del Portogallo, inizia a leggere l’Etica di Spinoza, i racconti di Hemingway e molti libri di Ian McEwan. Ispirato da queste letture scrissi le mie prime canzoni, che fissai con un registratore analogico multitraccia. Quindi sì, posso dire che la mia vita fu cambiata dai libri.
Qualche anno dopo in un bar di Bogotà conobbi un ambasciatore francese, che dopo due drink al mirtillo mi disse: “Mon amì nessun libro mi ha cambiato la vita, ma mi hanno tutti promesso di farlo”. Una lezione che non ho mai dimenticato.
Anche in questo caso i miei affezionati hanno suggerito molte cose interessanti, le riporto con miei commenti:
Ne aggiungo poi alcune anche io:
A questo punto il popolo di Brenneke si fa serioso. “Perché abbiamo smesso di prenderci il giusto tempo per fare le cose”, “Perché, nella nostra cultura, ora le immagini hanno un’importanza diversa”, ”Perché ci sono troppe immagini”, “Perché i video sono più facili”. Tempo, immagini e fruizione.
Non so perché si legga meno, ma unendo tutte queste suggestioni posso azzardare ad un atto di resistenza: un nuovo prodotto editoriale, che fonda il cinema e i libri. Cioè intrattenimento da fruire come serie TV ma al posto delle immagini solo scritte con animazioni e musiche bellissime. Immaginate L’Idiota di Dostoevskij in versione Lyric video. Li chiamerò Movie Book. Sublime.
Qui c’è una certa uniformità di visione.
“It could be both, really”, da leggere con l’accento londinese.
“La facilita a dismisura rispetto ai contenuti, ma ne complica la stesura per la metrica”, una faccenda intricata. E il più misterioso di tutti: “A volte sì, a volte no”.
Lascio rispondere a un fan d’eccezione, Keith Richards: «Il bello di una canzone è che non è un’opera di lavoro intellettuale». Non credo effettivamente che le parole di una canzone si scrivano. Di fatto, si suonano.
Non credo sia mai successo perché presuppone che qualcuno le abbia effettivamente giudicate. Penso che il giudizio oggi sia un lusso che si possano concedere in pochi. Forse c’è spazio giusto per il parere.
Se nessuno mi ha ancora giudicato dalla copertina significa che non sono riuscito ad interpretare la regola principale dell’umanità, cioè che l’abito fa il monaco. E questo forse testimonia che sono uno sprovveduto.
Mi azzardo a dire che essere giudicato dalla copertina potrebbe essere il mio più grande obbiettivo: sarebbe fantastico venire realmente, sonoramente frainteso, se non finanche odiato. Quale miglior manifestazione di esistenza.
Mi suggeriscono tante belle cose. “Romanzo di formazione”, un giovane Holden immaginato. “Saggio sociologico”, una carriera universitaria immaginata. Qualcuno specifica “Credo che la musica pop in generale sia un genere letterario a parte”, qualcuno propone anche “Neo melodic indie pop”, che sembra un genere musicale ma forse non lo è.
Io credo che sia un giallo ambientato nel nord Europa, con un tocco di fantasy. L’assassino è svelato nella prima riga ma poi lo vuoi leggere lo stesso.
Ma tanto poi si scopre che era stato tutto un sogno.
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