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Volevo essere un duro | Indie Tales

Bologna, una notte qualunque. La stazione brulicava di vita segreta: pendolari insonni, viaggiatori distratti, personaggi che sembravano usciti da un film. Lucio era lì, nascosto nell’ombra di una colonna, il cappuccio della felpa tirato su, le mani nelle tasche come se stringessero qualcosa di importante. Ma non c’era nulla. Era solo un ragazzo con troppi pensieri e nessun piano.

Aveva sempre voluto essere un duro. Uno di quelli che non si guardano mai indietro, che non hanno paura del buio, che prendono a pugni il destino senza abbassare lo sguardo. Ma lui non era così. Era nato senza la faccia da duro. Ogni volta che faceva a botte, le prendeva. E la paura lo seguiva ovunque, appostata tra i lampioni spenti o dietro le porte chiuse.

Quella sera, mentre le voci dei senzatetto si confondevano con gli annunci del tabellone elettronico, Lucio vide qualcosa di surreale: un lottatore di sumo stava inseguendo uno spacciatore. Non uno qualunque, ma un uomo magro, nervoso, con un cane lupo al guinzaglio che abbaiava furioso. La scena sembrava uscita da un sogno strano, di quelli che fai quando sei mezzo sveglio e la realtà si mescola con la fantasia. Il lottatore correva goffamente, i suoi passi pesanti facevano vibrare il marciapiede, mentre lo spacciatore zigzagava tra i binari come un fantasma in fuga.

Lucio si sentì piccolo di fronte a quella scena. Non era nessuno, non aveva mai vinto una rissa, non era un eroe né un ribelle. Guardava tutto con gli occhi sgranati, e dentro sentiva quel solito vuoto che gli ricordava quanto fosse fragile. “Volevo essere un duro”, si disse tra sé e sé, “ma non sono altro che Lucio.”

Più in là, una gazza ladra rubava qualcosa dalle mani di un viaggiatore distratto. Non una fede nuziale, non una collana, ma un piccolo oggetto dorato. La gazza volò via, nascondendo il suo bottino tra i rami di un albero che cresceva vicino ai binari. E lì, proprio tra le foglie, Lucio notò qualcosa di incredibile: un nido con due uova d’oro. Gli parvero così assurde da sembrare finte. Ma in quel momento, una si schiuse, e da dentro emerse un piccolo robot. Non un automa minaccioso, non una macchina perfetta, ma un cosino buffo, con occhi luminosi e una bocca che sputava con la precisione di un campione olimpico. Il primo sputo centrò in pieno lo spacciatore in fuga, che inciampò e cadde. Il lottatore di sumo gli si lanciò addosso, immobilizzandolo con il suo peso.

Lucio si mise a ridere. Per la prima volta dopo tanto tempo, rise davvero. Forse il mondo era più strano e assurdo di quanto avesse mai immaginato. Forse non serviva essere un duro per farne parte.

Mentre si allontanava, Lucio incrociò lo sguardo di una ragazza con grandi occhiali da vista. Sembrava un girasole che, invece di rivolgersi al sole, si era voltato dall’altra parte per paura di essere bruciato. Anche lei cercava di nascondersi. Forse non era così diversa da lui.

“Vivere la vita è un gioco da ragazzi”, gli aveva sempre detto sua madre, ma lui, come sempre, era caduto giù dagli alberi. Eppure, forse, valeva ancora la pena risalire. Anche senza essere un duro.

RACCONTO ISPIRATO AL BRANO “VOLEVO ESSERE UN DURO” DI LUCIO CORSI

Salvatore Giannavola

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