PH: Valentina Bobbi Cipriani
A cura di Filippo Micalizzi
I Cara Calma sono tutto ciò che c’è di più autentico all’interno di un’industria che sembra più legata ai numeri che all’arte e agli artisti stessi, e continuano a dimostrarcelo con “Itami”, il loro nuovo album. Un autentico viaggio interiore nella sofferenza, raccontato attraverso parole decise e sonorità che da sempre li contraddistinguono.
Questo viaggio lo abbiamo approfondito direttamente con loro in questa nuova intervista.
Onestamente, l’industria musicale non è cambiata, anzi, direi che è peggiorata. Oggi più che mai sembra che la musica sia ridotta a numeri e algoritmi, dove la passione e l’autenticità sono messe da parte in favore di logiche commerciali. Etichette, numeri e trend, tutto sembra girare intorno a quello. Nemmeno noi siamo cambiati, anzi, forse abbiamo preso ancora più coscienza di quanto la nostra musica continui a essere il nostro rifugio, lontano da queste meccaniche tossiche. Più ci si allontana dalla macchina, più sentiamo l’importanza di restare fedeli a noi stessi e ai nostri valori.
Le mode sono cicliche, lo sappiamo tutti. Le chitarre elettriche non sono mai davvero sparite, ma ora vediamo un ritorno forte. Che sia una tendenza passeggera o un vero punto di svolta, è difficile dirlo, ma sicuramente c’è un rinnovato desiderio di ascolti più grezzi e genuini. Come ogni cosa destinata a passare lo sarà anche questa ma pensiamo che siano sonorità che torneranno sotto altre vesti, in altre forme, e non finiranno mai per davvero.
Con il tempo che passa è aumentata la voglia di sperimentare e non aggrapparsi alle vecchie sonorità che abbiamo rodato ampiamente in passato, ma allo stesso tempo siamo rimasti fedeli alla voglia di fare rumore che ci caratterizza dal primo disco. Ogni album è stato uno step di crescita, e “Itami” riflette una maturità che non avevamo all’inizio. Per farla breve, la nostra testa si è evoluta ma dentro di noi c’è sempre quel vecchio cuore che batte.
Ognuno di noi vive dolore e sofferenza in modo diverso ed è questo è ciò che rende l’album così personale e variegato. Ogni traccia è come un frammento del nostro vissuto personale, delle storie individuali che si uniscono e da cui emerge un racconto collettivo, perché la sofferenza è un sentimento universale. Volevamo che ogni nota, ogni parola, fosse un modo per comunicare quella sensazione profonda, come se fosse qualcosa che appartiene a tutti, non solo a noi.
In tutta la nostra esperienza da band ci siamo sempre lasciati influenzare senza troppi limiti dai nostri ascolti personali; tra di noi c’è chi viene dal punk, chi dal metal e chi da qualcosa di più atmosferico. E’ sempre stato importante ascoltarci, esplorare non rimanere mai fermi su posizioni prese in partenza ma lasciarci guidare dal flusso della scrittura. In “S.O.S.”, ad esempio, si sente quel richiamo al grunge, ma ascoltando l’album nella sua interezza si percepisce quanto abbiamo voluto fondere tutte le nostre esperienze musicali, cercando di creare qualcosa di intenso e più stratificato
Come dicevo poco fa abbiamo gusti abbastanza diversi tra noi ma personalmente (Fabiano) credo che Venerdì possa diventare il mio pezzo preferito da portare in live perché ha una strofa molto veloce che si presta al pogo mentre il ritornello è assolutamente tutto da saltare. Menzione bonus per S.O.S perché spero possa far piangere tutti sotto al palco.
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