New Indie Italia Music #240

New Indie Italia Music #240

Non so bene cosa cerco. Ma la notte non mi perdo mai


Io negli occhi ho
Chitarre distorte. Mi sento più forte
Non mi lascia mai

Io non venero la fama. Chi taglia la strada con la fretta cadrà. Qui la voce è la mia arma.

Vendila puta e santa in coro lo griderò
La musica è il mio tempio. E dentro mi difendo dai pensieri del mondo
E mentre ballo
Con la mia libertà


(Allucinazione – Joan Thiele)

Non serve sapere esattamente cosa si sta cercando, quando la direzione è guidata dal suono. Nell’indie italiano di questa settimana c’è chi cammina con le chitarre negli occhi e la libertà sotto i piedi, chi trasforma ogni strofa in un’arma gentile contro il rumore del mondo.

Qui non si corre dietro alla fama: si costruiscono templi interiori, fatti di parole storte e melodie sincere. È una musica che non chiede approvazione, ma pretende ascolto. E mentre tutto intorno prova a incasellarci, questi brani scelgono di ballare – fragili, fieri – sulla propria libertà.

Seh vabbè

Sarà l’estate che chiama la leggerezza. Saremo noi che chiamiamo le estati. I momenti in cui arrenderci è giustificato. Le estati della vita. E il “seh, vabbè” finalmente ci fa ammettere di non essere in grado di recuperare quella storia d’amore. Siamo lì, di fronte alla realtà. A fare spallucce davanti al dolore con Ciliari. Paragoniamo l’assurdità del recupero di quella relazione alle spacconate da bar, alle grandi cazzate: “vinco i mondiali, faccio i miliardi”.
Necessaria, come tutte le pause.
(Stefano Giannetti)

Ciliari: 7,5

Fragile

Spezzata, eterea, intensa. Sembra la colonna sonora di un film, o la sigla di chiusura che interrompe il finale intenso dell’episodio di una serie.
“Fragile” è come siamo noi, di fronte all’immenso turbinio dato dall’unione di sensi e sensazioni, emozioni e sentimenti. Dualismo di stati d’animo reso dalla doppia identità che Giorgia assume nel brano. Delicata e intensa, quasi in un pianto prima; in uno sfogo parlato e spiazzante, poi, senza più lacrime. Con gli occhi neri e la gola arida.
Arrabbiato, arreso, triste, un luogo per l’anima.
(Stefano Giannetti)

Giorgia Faraone: 8

Comete

“Seduta sul divano, a leggermi la mano, in cerca di risposte”. La realtà si rifiuta, la realtà cambia, quando una relazione finisce. L’esempio etereo/esoterico calza a pennello. Tanto il mondo ci sembra irreale dopo una storia che un universo tangibile ce l’aveva dato. Il tempo ce lo scandiva. E ora restiamo sospesi, “distesi immobili”. Non ci accorgiamo della vita che ci scorre attorno, perché la nostra pare esserci stata tolta. Marla è soave, di una disperazione delicata. Fa una matura dichiarazione di dolore.
È una resa dell’anima, che forse quel briciolo di forza lo trova proprio nell’affermazione della propria presenza, seppur annichilita. Noi la immaginiamo, ci immaginiamo sul fiume del dolore. Come l’Ophelia dipinta da Millais. Inerme e magnifica.
(Stefano Giannetti)

Marla: 8

L’ombra

A volte non serve il silenzio per sentirsi osservati. Basta quella strana sensazione di avere accanto una presenza che non puoi vedere, ma che conosce ogni tuo respiro. Con “L’Ombra”, Nularse mette in musica proprio questo: l’inquietudine di convivere con una parte di sé che sfugge alla comprensione, un alter ego che ti segue ovunque e che non puoi scrollarti di dosso.
C’è qualcosa di inquieto e magnetico in questo brano. Il suono pulsa, si distorce, prende forme che non riesci ad afferrare del tutto. È come un minerale scuro: affascinante, ma da maneggiare con cautela. Nularse non costruisce un rifugio, ma uno specchio nero in cui guardare le proprie paure, i ricordi, le persone che non ci sono più e che tornano a vivere nelle pieghe della memoria.
«Sole, tieni lontano l’Ombra che mi insegue…» canta, come se stesse sussurrando a un confidente invisibile. L’alternanza tra luce e buio non è solo una metafora: è la struttura stessa del brano, che si muove tra tensione e apertura, tra oscurità e bagliori improvvisi. Perché l’ombra non è mai solo assenza di luce: è tutto ciò che non vogliamo vedere di noi stessi, ma che resta lì, silenziosa e paziente.
“L’Ombra” non è un brano da ascoltare distrattamente. È una sfida sottovoce che ti invita a restare fermo, ad ascoltare davvero, a chiederti: com’è fatta la mia ombra?
(Viola Santoro)

Nularse: 7,5

EXIT

Ci sono momenti in cui l’unica via d’uscita è smettere di correre e ascoltare il rumore che hai dentro. “EXIT”, il nuovo EP di IRBIS, è questo: un punto di rottura, un cambio di direzione, un respiro profondo prima di ricominciare. Non è un progetto che cerca di compiacere, ma un lavoro che mostra l’artista milanese in transizione, con una scrittura più istintiva e un suono che si apre a nuove contaminazioni.
Hip hop, black music, echi elettronici e folk si intrecciano per costruire uno spazio emotivo che ha l’aria densa di un temporale in arrivo. Qui la malinconia non è debolezza, ma una forza che spinge a guardarsi in faccia. Brano dopo brano, IRBIS esplora la rabbia, la solitudine, le crepe che diventano possibilità di trasformazione.
Le collaborazioni con Frah Quintale e Tony Boy aggiungono sfumature diverse, come voci amiche in un percorso che resta profondamente personale. C’è urgenza, c’è delicatezza, c’è quel bisogno di uscire da qualcosa che ti tiene fermo ma anche la consapevolezza che il cambiamento richiede tempo.
“EXIT” non offre scorciatoie. È un EP che ti accompagna fin dove puoi arrivare se trovi il coraggio di affrontare la parte più scomoda di te. E forse proprio per questo resta addosso: perché non parla solo di fuga, ma anche di ritorno.
(Viola Santoro)

Irbis :8

Desert(o)

L’essenza del brano si sviluppa così: suoni distorti e urgenti, trasformati in un’ossessione sonora fatta di rabbia, malinconia e pathos.
Desert(o) è un pugno nello stomaco post-punk, la voce calda di Alpi contrasta con l’ambiente ostile creato dagli strumenti ed è proprio questa che dà al pezzo la sua frenesia caratteristica.
Il brano è un’esortazione alla resa alla vita così com’è, non dobbiamo controllare sempre tutto, a volte dobbiamo smettere di piangersi addosso.
Un manifesto post-punk che recupera quel rifiuto dell’ipocrisia tipico del genere, scenari notturni in cui la ribellione è presa di coscienza, non solo rumore.
(Benedetta Rubini)

Di Notte: 8

Il sesso, L’alcool, L’altra marea(Emily)

C’è una Venezia nascosta dietro le maschere di cartapesta e riflessi dorati dei palazzi sul Canal Grande. Una Venezia che odora di pioggia stagnante, sigarette e silenzi non detti, ed è proprio in questi vicoli umidi che Novamerica fa prendere vita al suo suono singolo.
È una favolo crepuscolare travestita da racconto urbano in cui la protagonista è Emily, una ragazza madre, fragile ma feroce, che vive tra relazioni incasinate, dipendenze e atti di resistenza.
Il testo è crudo e poetico allo stesso tempo, Emily è quel personaggio che potrebbe passarci accanto ogni giorno, potremmo essere perfino noi, invisibile ma reale.
Novamerica racconta il disagio contemporaneo senza filtri, ci propone una fiaba senza morale, dove il lieto fine non è garantito, ma il desiderio di amore è sempre vivo.
(Benedetta Rubini)

Novamerica: 8

Hooligans

Con “Hooligans” Sissi chiude con eleganza il cerchio emozionale iniziato con l’EP “XS”, qui fa una riflessione sulla fine, ma è anche una rinascita sonora.
Il titolo è volutamente provocatorio, ci descrive la fine di un amore come fosse un match: rumorosa, intensa e solitaria, non ci sono cori da stadio, ma cuori sfiancati.
Il registro è quello di una ballata urbana malinconica e a tratti disperata, ma è sempre guidata da una maturità sentimentale che parla di crescita e consapevolezza.
Sissi si muove tra amarezza e speranza: “Che strano essere felice senza te, è come ballare in un club senza sete.” Quando finisce un amore è necessaria la riconciliazione con se stessi, dobbiamo tutti prenderci cura del nostro cuore rotto, piú che essere arrabbiati Sissi ci suggerisce di essere happy alone e di ritrovare l’equilibrio interiore.
(Benedetta Rubini)

Sissi: 7,5

Sauvage Romantico

Edoardo Florio di Grazia ed Edouard Bielle si incontrano a metà strada tra due lingue, due culture, due sensibilità. “Sauvage Romantico” è il risultato di questa convergenza: una canzone che non forza il contrasto, ma lo trasforma in armonia leggera, elegante, fuori dal tempo.
Cantata in italiano e francese, si muove con passo morbido tra chitarre vintage, cori anni ’70 e una scrittura che ha il tono dimesso delle confidenze sincere. Non cerca effetti: affida tutto all’equilibrio tra spontaneità e misura, tra slancio e malinconia.
La produzione, calda e ariosa, lascia respirare ogni dettaglio. La voce non sovrasta, accompagna. E dentro questa semplicità solo apparente si apre uno spazio in cui selvatichezza e romanticismo non si contraddicono, ma si tengono stretti.
“Sauvage Romantico” è una dichiarazione di libertà fatta senza rumore. Una canzone che non ha bisogno di inseguire il presente perché riesce a renderlo, per un attimo, eterno.
(Serena Gerli)

Edoardo Florio di Grazia & Edouard Bielle: 8

Titoli di coda

Con “Titoli di coda”, Iperiixo non racconta una fine: la attraversa. Non c’è filtro, non c’è distanza di sicurezza, solo la lama viva delle parole che si aprono un varco tra dolore e lucidità. È una confessione che brucia ancora, come una stanza in cui si è appena smesso di urlare.
Il brano tiene insieme la rabbia e la fragilità, la voglia di dimenticare e quella, ancora più forte, di restare aggrappati a ciò che fa male. La voce di Iperiixo non si limita ad interpretare ma prende vita: ogni verso è un colpo sferrato senza compiacimento, ogni pausa un respiro trattenuto troppo a lungo.
Il brano si muove tra silenzi pesanti e impennate emotive, alternando rabbia e fragilità con una scrittura affilata, che non cerca mai riparo. La produzione di Sam è essenziale e precisa, ma mai sterile. Non asciuga il dolore, lo lascia vibrare, come se tra i suoni ci fosse ancora l’eco di qualcosa che si è rotto.

Ma anche nel punto esatto in cui tutto sembra crollare, “Titoli di coda” non cerca il dramma: resta umana, terrena, cruda.
Non consola né protegge, ma resta lì, come una ferita che smette di sanguinare solo quando la guardi in faccia
(Serena Gerli)

Iperiixo: 8

Ultimo Quarto (Album)

“Ultimo quarto” è un viaggio in un territorio intimo, un luogo sospeso tra la fragilità e la forza di un’anima che si scopre a pezzi e intera allo stesso tempo. Brida costruisce con cura un album che si muove tra ombre e luci soffuse, tra stanze dove il tempo rallenta e si fa spazio per l’accettazione.
Il gioco linguistico tra italiano e portoghese non è un vezzo, ma un modo per raccontare una doppia appartenenza, un dialogo delicato tra radici e orizzonti lontani che si fondono senza forzature. In questo intreccio sonoro, la voce di Brida si fa corpo che respira, che accoglie ogni sfumatura della propria femminilità, senza maschere né compromessi.
Non è un album di certezze, ma di trasformazioni continue, di abbracci con la propria imperfezione e con le parti più nascoste di sé. “Ultimo quarto” non cerca applausi fragorosi, ma si fa spazio con una grazia silenziosa, restando con chi ascolta anche dopo che la musica si è spenta.
Un lavoro che è insieme delicato e coraggioso, una testimonianza di libertà autentica e di evoluzione, un invito a riconoscersi nella propria complessità.
(Serena Gerli)

ma dove corri

La confusione genera fretta, anzi sarebbe più corretto dire che la velocità in cui viaggia l’uomo è inferiore a quella in cui ti spinge il mondo. Ognuno di noi, ogni giorno, si sveglia, probabilmente già in ritardo, in bilico costante tra l’essere e il dover essere. I PLZ esorcizzano questo mantra illusorio e vorace, lasciandosi sedurre da un vortice musicale che riporta alla giostra di quando si era bambini e invece di scendere appena aumenta il ritmo, conviene tenersi stretti, guardando la realtà da un altro punto di vista, in maniera più cinica e meno coinvolgente.

C’è bisogno di consapevolezza, di rivalutare tempo e spazio in una maniera più personale e meno totalizzante, il suo di questa lotta ha come colonna sonora il brano “ma dove corri”. La chiamata a perdersi, per ricostruirsi altrove. C’è sempre la possibilità di una nuova possibilità, ricordiamocelo!

(Nicolò Granone)

PLZ: 7

Fiori di Camomilla

Voglio innamorarmi innamorarmi innamorarmi innamorami di te

Piccoli gesti, grandi ricordi che nascono da momenti unici. Però, per fare accadere certe situazioni e lasciarsi affondare dentro le onde dell’amore bisogna avere anche molto coraggio, per lasciarsi andare, abbandonando la spiaggia della ragione, lasciandosi sedure dalle promesse delle sirene, consapevoli che molte volte quando si solca la terraferma si può nuotare o affondare a testa in giù, con il mondo sottosopra e senza nessun appiglio.

MANCHA con questo brano vuole fare una promessa che sa di vita, ma allo stesso tempo può essere qualcosa di cosi forte che può essere una condanna. L’invito è quello di tuffarsi, occhio però anche agli scogli o al navigare dentro sentimenti che non si conoscono e non si riescono più a gestire.

(Nicolò Granone)

MANCHA: 7,5

TORRE DI BABELE

Quando comunichiamo con noi stessi usiamo un determinato codice, mentre se si parla con altre persone bisogna trovare una modalità che sia comprensibile da entrambe le parti. Fa molto effetto, o meglio  brucia dentro la consapevolezza del rendersi conto, che l’amore toglie il senso del pudore, che dopo un po’ si parla lingue straniere e diventa inevitabile scoprire che Dio è crudele sulla torre di Babele.

Si perde poi l’ispirazione e la pazienza, con il cuore che si trasforma in un terreno arido sul quale sarà davvero difficile seminare qualcosa di nuovo, finché non saranno rimarginate le vecchie ferite.

E un estate fa è la metafora di un tempo che scorre, modificando prospettive e punti di vista, con un tradimento che diventa goccia utile non solo a far traboccare il vaso, bensì crepa nelle sicurezze di un rapporto che inevitabilmente era destinato ad esplodere.

Paolo Santo la prende con filosofia e la giusta rabbia, provando però  a ballarci su!

(Nicolò Granone)

Paolo Santo:8

Crevacuore

La  nostalgia è una cartolina che si può mandare a qualcuno che c’è anche se non esiste più. Oppure diventa un sentiero per tornare alla ricerca di se stessi, esplorando luoghi che non si riesce a dimenticare. Crevacuore è un posto che sa di casa, anche se in realtà sta a centinaia di km da dove siamo o dove andremo prossimamente, che richiama Pavese e la sua passione per le lettere.

Le parole diventano così fotografia non solo di momento, ma anche di sentimenti che rivivono tra carta e inchiostro, ovviamente tutto in rigoroso analogico per essere più veri e reali. In questo viaggio sarebbe curioso dare appuntamento a noi stessi e capire davvero chi siamo, mescolando le nostre storie che nascono nel passato e moriranno nel futuro.

Dove ti aspetto da un po’, quel finale aperto a infinite possibilità e alla speranza di trovare qualcuno dall’altra parte che sappia davvero riconoscere il nostro valore, senza dimenticare che molte volte capita persino a noi di essere nostri nemici.

(Nicolò Granone)

Barriera: 7,5

Masamasa

Dopo la pubblicazione di ALTA FEDELTA, l’ultimo album, progetto che aveva proposto la rivisitazione contemporanea delle sonorità vibranti e mediterranee che hanno caratterizzato il panorama musicale campano negli anni d’oro dell’Italo Funk e l’uscita di Venire, che ha aggiunto un’ulteriore sfumatura al progetto, il cantautore torna con un brano che è una riflessione sul diventare adulti, sul senso di responsabilità e sulla tensione tra libertà e dovere.

Prodotto da Marco MaioleIl guardiano racconta il momento in cui ci si accorge di essere diventati “il guardiano” di sé stessi, dei propri sogni e, talvolta, anche degli altri. Un cambiamento sottile ma radicale, narrato con l’ironia leggera e la poetica disillusa che da sempre caratterizzano la sua scrittura.

“Il guardiano è uno dei brani in cui provo ad essere un adulto: passare dall’essere un ragazzino senza responsabilità ad un guardiano è veramente difficile! Più cresco, più divento responsabile e premuroso e non mi dispiace per niente. Sto diventando il guardiano”

Il guardiano: 7.5

Danni

Con una scrittura sincera, diretta, senza pose, la giovane promessa della scena urban si mette a nudo attraverso lo sguardo di chi ha visto un amico perdersi, senza riuscire a salvarlo.
Alla produzione, ancora una volta, Lester Nowhere, che con un beat dallo stile chillhop/lo‑fi lascia spazio al racconto di Westcross senza forzare mai.
“danni” racconta com’è crescere guardando le persone cambiare, sbagliare, perdersi. E arrivare al punto in cui non si sa più se tendere la mano o lasciarle andare.
La nuova traccia segna un nuovo passo nel conscious rap di Westcross e si inserisce con naturalezza nel percorso già avviato con “+facts – rancore”. Due brani che non gridano, ma lasciano il segno: lo stile è infatti immediato, ma stratificato. Dietro l’apparente semplicità si nasconde un lavoro di equilibrio preciso tra forma e sostanza, dove ogni parola è pensata per restare.
Il sound, curato nei dettagli e coerente con l’immaginario visivo, conferma un’identità che non ha bisogno di sovrastrutture o scorciatoie: Westcross colpisce perché sa esattamente cosa vuole dire e come dirlo. E ha portato questo mondo anche sul palco, al Nameless Festival e allo Sherwood Festival come opening act di Ghali.

Westcross: 7