Daniente: “La realtà è fuori dal comune!” | Intervista

PH: Ufficio Stampa

Daniente: “La realtà è fuori dal comune!” | Intervista

“Signorine nel Metrò” è un brano che si canticchia volentieri, leggero solo all’apparenza perché il testo evidenzia la confusione che c’è nella società di oggi. Questi tempi moderni che appaiono sempre più scuri e complicati, ma la cultura pop trasforma tutto in meme, modificando anche la percezione stessa del momento.

Daniente con la sua attitudine anche un po’ punk prende in mano la situazione e sforna una potenziale hit che parla ai giovani, ma anche di se stessi, rimescolando tra le loro speranze ed insicurezze. Questo brano scanzonato fa divertire, ballare, e dopo una analisi più ragionata, mette in evidenza alcune pecche di questa maledettà contemporaneità, dove non è oro tutto ciò che luccica.

INTERVISTANDO DANIENTE

Nella tue canzoni c’è un filo sottile tra critica e ironia?

Sì, io credo che affrontare determinati temi sotto una luce ironica ti salvi dal non annegarci dentro e, anche quando racconto qualcosa di “difficile”, sento sempre la necessità di creare una sovrastruttura, non che addolcisca la pillola ma che la renda quantomeno più “bella” da mandar giù. Chi ascolta una canzone si rivede nelle parole e nelle tematiche che conosce ma, visto che non è mai semplice comunicare quello che pensi, per me il modo più efficace resta quello di “vestire” la scrittura con immagini nitide che si materializzano nella testa di chi le ascolta.

Le forme più alte di arte linguistica che abbiamo mai avuto in Italia avevano a disposizione solo quattordici versi endecasillabi e, nonostante questo, avevano una forza comunicativa molto più potente di un romanzo intero che, comunque, rimane l’opera massima a cui aspirare, come un album per un musicista.

Dal punto di vista del sound hai diverse influenze invece?

Ho ricevuto questa domanda tante volte ma, ancora, non so rispondere in maniera decisa. Mi ritengo estremamente fortunato ad essere passato attraverso anni della mia vita in cui ho divorato una quantità di generi, artisti, album e progetti così diversi tra loro da non riuscire ad affezionarmi ad un solo sound per troppo tempo. Il mio primo riferimento rimane quello con cui è nata la mia passione per la musica: le chitarre, da Santana ai Metallica; il pop-punk, dai Finley ai Good Charlotte; e, più avanti, ho definitivamente iniziato (e mai smesso) ad amare gli artisti che portano sul palco un progetto fatto da tanti musicisti e coristi, come Cremonini e Tropico. Col tempo mi sono avvicinato anche alla musica elettronica e ad alcuni sound tipici del rap, ma il fascino di mettere tutto questo insieme in un unico progetto rimane una costante nella mia visione.

Signorine nel metro è una scusa per raccontare le contraddizioni della tua generazione?

In realtà non è nata per questo motivo, ma a posteriori possiamo anche vederla così, in effetti. Io, come altre persone nate tra la fine degli ‘80 e l’inizio dei ‘90, mi sento parte di una generazione spartiacque che a volte non sa davvero da che parte voltarsi. Il significato più “primo” di Signorine Nel Metrò si trovava nel senso di inadeguatezza verso le convinzioni dei più grandi e le insicurezze dei più giovani, e nel non identificarmi in nessuno degli stereotipi che rappresentano il mondo moderno. Per me, poi, è inevitabile che questa narrazione vada a sfociare anche in contesti relazionali fino a pensare che, se non mi basta più quello che mi circonda, allora è nei posti più improbabili come una sala prove o un sexy-shop che penso di trovare la persona che cerco. Che forse, alla fine, neanche esiste.

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Che simboli ha la grande GenZ?

È una generazione molto vicina a me ma, nonostante questo, per riconoscere i suoi “simboli” ho dovuto studiarla e imparare a conoscerla. Se parliamo di simboli, mi vengono in mente lo smartphone, gli psicologi e i cortei.

I primi hanno fatto entrare una generazione in contatto con il mondo prima ancora che riuscisse a mettersi in contatto con sé stessa, ad una velocità che di fatto impedisce una costruzione solida di sé. La stabilità delle persone che non si guardano dentro è sempre a rischio di vacillare e quindi la Gen Z ha dovuto sdoganare la figura dello psicologo per salvarsi la vita e preservare quella resilienza che è insita nell’essere umano (e credo che gliene dobbiamo tutti merito, di questo). I cortei sono l’ultimo simbolo che mi viene in mente perché rappresentano quella voglia di alzarsi dalla sedia e dimostrare che le persone non devono essere necessariamente comparse inermi in un sistema gigante ma che possono, ognuna alla propria maniera, fare la differenza nel proprio mondo.

Quali ossessioni ha la società di oggi?

Ho sentito tanto parlare di FOMO. Questa paura di non esserci o di non essere mai abbastanza, io la vedo come il grande male degli anni Venti e credo molto francamente che sia un male più devastante di tanti altri. Ci fa credere che “far vedere” che ci sei è più importante di “esserci” davvero, e questo fa tutta la differenza del mondo in negativo: per un artista, in particolare, penso che non ci sia nulla di più distruttivo della pressione di dover pubblicare costantemente qualcosa per non “sparire”, rovinando l’essenza più pura dell’arte. L’altra faccia della medaglia, in senso positivo, è l’ossessione per la salute mentale che per me è qualcosa da perseguire con tutte le nostre forze; in questo senso, credo che tutti dovremmo essere ossessionati dall’idea di vivere appieno ogni cosa bella o spiacevole, ma sempre senza avvelenare la nostra anima quando le cose vanno male o gonfiarla oltre misura quando vanno bene. In alcuni contesti, io penso all’ossessione come qualcosa di positivo che ti può portare a realizzare la tua vita per come la desideri, ma devi sempre stare attento a non fartela sfuggire di mano. 

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Come ti poni con il mondo che ti circonda?

Ascolto, osservo, cerco di comprendere e molto, ma molto raramente giudico. Sono fermamente convinto che questo sia il modo migliore in cui ci si possa evolvere come esseri umani. Imparo qualcosa tutti i giorni dalle persone, dalle relazioni, dalle esperienze, e non perché io abbia eccezionali capacità di apprendimento ma perché non metto nessun tipo di filtro tra le mie idee e quelle del resto del mondo. Chiaramente questo non fa di me un liquido che si adatta a qualunque contenitore, anche io la penso alla mia maniera su tante cose, ma lo faccio sempre con un mantra che è quello di essere in grado in ogni situazione di metterti nei panni dell’altro, per conoscere e comprendere. Certo, forse senza coscienza e conoscenza si vive con più leggerezza, ed io mi chiedo sempre come sarebbe stato nascere “meno intelligente” e più “felice”. Ma questa è una cosa che non si può scegliere e va bene così, specialmente se tutto ciò posso anche portarlo dentro le mie canzoni.

L’amore è qualcosa di psichedelico?

Non saprei. Probabilmente questo è un aggettivo che si adatta più alla sfera dell’infatuazione o dell’innamoramento. È psichedelica per definizione una sostanza capace di alterare le percezioni psichiche di chi la assume e, secondo me, questo avviene più nei casi di totale adorazione e, già che ne parlavamo prima, di ossessione verso una persona al punto da farti uscire fuori da te stesso. Io sono da sempre convinto che l’amore nel senso più profondo sia capace, sì, di farti compiere azioni che senza amore non compiresti mai, ma ha la prerogativa di tenerti coi piedi poggiati su un terreno solido, sicuro di ciò che fai. “Psichedelica” è una canzone che ho scritto pochi giorni dopo una notte in cui ho davvero fatto un viaggio fuori da me stesso, in cui ho percepito di trovarmi in una dimensione astratta insieme ad un’altra persona. Ma non posso dire che non me ne dimenticherò mai. Nella mia vita sento di poter dire che ho provato anche l’amore “vero” e, quello no, non lo scorderò mai.