Lena: “Malammore tra sangue e spine” | Intervista

PH: Ufficio Stampa

Lena: “Malammore tra sangue e spine” | Intervista

Lena, cantautrice di origini palermitana, sceglie le rose come simbolo dell’amore per la bellezza e il pericolo di ferirsi se si prendono senza fare attenzione o sbagliando la presa.  In più queste fiore può crescere su terreni inospitali o superfici non troppo accoglienti, e nonostante le difficoltà, riesce a raggiungere la massima bellezza.

Questo brano urban pop descrive con forza e sentimento il lato oscuro di una relazione, con tutto quello che c’è dopo, senza cadere però nella malinconia e nella tristezza di un addio. Viene evidenziato un conflitto emotivo tra sogni e ragione, un bisogno naturale di condivisione che si scontra con l’amarezza del disincanto.

Viene da chiedersi quindi come si gestisce tutta questa confusione che nasce da uno sguardo con un perfetto sconosciuto. La spensieratezza di Malammore con un intrinseca voglia di ballare,  diventa una maniera sana per ricucire e nascondere le cicatrici del cuore.

INTERVISTANDO LENA

Partiamo con la domanda più difficile: Ma l’amore dov’è?

Credo che l’amore non abbia mai un unico posto. A volte è nel ricordo di qualcuno che ci ha fatto del male, perché anche quel dolore è una prova che abbiamo sentito davvero qualcosa. Altre volte è in un abbraccio di un’amica, in un dettaglio minuscolo che ti salva la giornata. Io l’amore lo sto ancora cercando: non inteso come “persona giusta”, ma come equilibrio dentro di me. Sembra banale dirlo, ma è un percorso difficile: imparare a volersi bene significa anche riconoscere quando una relazione o una persona non ti fa stare bene e avere il coraggio di mettere un confine.

Per il nuovo singolo hai scelto sonorità da club e urban per ballare sopra le lacrime versate?

Sì, perché non volevo fare l’ennesimo pezzo malinconico, pieno di lentezza e tristezza. Mettere un beat incalzante, urban e da club, significa dire “ok, soffro, ma non resto ferma qui”. È un po’ come andare a ballare dopo una rottura: piangi in bagno, poi torni in pista e ti muovi finché il dolore si scioglie un po’.

L’assenza ha un suo peso specifico?

Direi che è più pesante della presenza. Una presenza sbagliata comunque la senti, ti confronti, litighi… ma l’assenza ti lascia sola con i tuoi pensieri, senza possibilità di dialogo. Io nelle assenze ho trovato le domande peggiori, quelle che ti fai solo a te stessa: “Perché non sono bastata?”, “Perché non ha parlato?”, “Cosa ho sbagliato?”.

Ma allo stesso tempo, l’assenza ti obbliga a guardarti allo specchio, e forse proprio lì ho trovato le risposte che non arrivavano dall’altra parte.

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Questo brano nasce dai dubbi di una relazione?

Nasce da una relazione, ma non solo. Nasce dall’esperienza di dare tanto e ricevere pochissimo in cambio, soprattutto in termini di sincerità e ascolto. L’assenza di comunicazione è qualcosa che fa davvero male: ti senti invisibile, e col tempo finisci per pensare che sia normale ma non lo è.

Malamore e “Tutte le volte” potremmo definirle quindi il lato A e il lato B di una storia che ha lasciato delle ferite?

Assolutamente sì. “Tutte le volte” era la parte più fragile, la difficoltà a lasciare andare qualcuno anche quando sai che non è giusto per te. “Malamore” invece è il momento in cui prendi coscienza e decidi di liberarti, anche se fa male. Sono due fasi dello stesso percorso: prima ti aggrappi, poi impari a lasciar andare. E credo che siano esperienze comuni a chiunque abbia vissuto una relazione disfunzionale: si resta, si resiste, e poi arriva un punto in cui capisci che devi andartene.

Sei pronta a rischiare di sanguinare di nuovo con le spine di una rosa?

Credo che amare significhi anche accettare che ci sia sempre il rischio di farsi male. Ma, nonostante tutto, non potrei mai rinunciare all’idea di sentire qualcosa di vero e intenso, anche se so che potrei soffrire.
La differenza è che forse oggi ho più consapevolezza: per tanto tempo ho stretto la rosa senza pensare alle spine, ora invece ho imparato che posso godermi la sua bellezza senza lasciarmi ferire.
È un cambiamento che nasce da un percorso di cura personale, dal capire che non devo più sacrificarmi o mettere sempre gli altri al primo posto per sentirmi amata.

Amarsi, in fondo, significa anche imparare a proteggersi.

Quali sono i semi che hanno dato vita al tuo progetto musicale?

La musica ha sempre fatto parte della mia vita. Ho deciso di mettere tutto in pausa per completare gli studi universitari. È stato un periodo di crescita personale, ma sentivo che una parte di me era rimasta sospesa.
Dopo la laurea, grazie anche a un incontro che mi ha incoraggiata a rimettermi in gioco, ho deciso di prendere in mano il mio percorso artistico. Da lì è nato un progetto nuovo, più maturo e consapevole, costruito insieme a un team di persone che condividono la mia stessa visione.

Tra queste ci sono Carlo Bolacchi, co-autore del brano, con cui abbiamo dato vita a tante idee cariche di emozione e autenticità e Defurias, produttore del brano.

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