
New Indie Italia Music Week #245
‘Nta cuntrada e Munacheddi s’addumavanu li luci, i picurari aveunu lu cielu sutta e peri, tra li petri e ‘mmezzu all’erba, finu a sutta li sdirupi, iddi danzavunu filici. ’Nta ‘ddi notti senza luna u scuru nni manciava i passi e ‘ddi stidduzzi cu li ali arraccamavunu sinteri. ‘Nta ‘ddi notti senza luna, iu e me frati ‘mmenzu a campi sulitari nni sitevumu ranni. Amuri luci, ‘nta ‘ddi notti senza tempu, amuri luci, ’u’nni putìa firmari cchiù lu scantu, amuri luci, Giuvanni, isamula ‘sta vuci.
(Amuri luci – Carmen Consoli)
Tra i silenzi delle notti senza luna, quando il buio divora i passi e solo le stelle tracciano sentieri invisibili, nasce il bisogno di una voce che illumini. È lo stesso respiro che si avverte nelle contrade, dove i pastori danzavano felici sotto il cielo, trasformando la solitudine in canto e la paura in luce.
Eccoci con nuovo numero di New Indie Italia Music Week: un piccolo rito settimanale che accende lampade nel buio, raccoglie le note più sincere tra i nuovi brani e album usciti, e le offre come stelle da seguire. Perché nella musica, come in quelle notti antiche, ogni suono è un atto d’amore che rischiara il tempo e ci fa sentire, almeno per un istante, più grandi.
Pixel (Album)
“Arrivare è facile” ho letto in un commento, vieni, ti aspetto, vieni, ti aspetto. Così si apre il nuovo progetto di Ele A, che ci presenta il suo primo disco come un biglietto da visita: Pixel è un album variegato, multitematico, personale. Un progetto tanto atteso, in cui l’artista si espone per la prima volta a 360 gradi.
Dalle sue origini svizzere, sempre al centro della narrazione, per poi passare ai temi dell’amicizia, dell’amore, della consapevolezza di sé, l’artista ci trascina in un vortice di energia pura, in cui ogni parola e ogni rima vengono calibrate al millimetro. Non esistono considerazioni giuste o sbagliate, esiste soltanto la sua storia: quella di una ragazza giovane, che ha voglia di raccontarsi solo tramite la sua musica.
Lo sforzo musicale che c’è dietro quest’album è notevole: i featuring sono ricercati e particolari, spaziano da colleghi del mondo rap, come Guè, Promessa, Sayf e il rapper francese NeS, ad artisti di generi completamente diversi, come Gaia e Colapesce. Le produzioni sono curate, innovative e cucite alla perfezione sui testi.
Come già fatto in passato, l’artista ci tiene ad esprimersi nuovamente su un tema a lei vicino: l’essere donna in un genere musicale ancora controllato dagli uomini. Uomini armati più dei militari, ma quando c’è una donna, si sentono minacciati (da DDL). Ele A dimostra che per affermarsi in questo mondo non conta il genere: quando c’è talento, si può solo eccellere.
(Sara Vaccaro)
Ele A: 8,5
Talento
PUGNI dà voce a chi non trova spazio, a chi è rimasto ai margini, a chi si sente “fuori asse” rispetto al mondo. Talento è un canto per i fragili, per i reietti, per chi guarda la realtà con occhi diversi e per questo viene frainteso. È una riflessione tagliente e poetica insieme, una domanda che non smette di risuonare: e se non fossero i “diversi” a essere malati, ma la società incapace di comprenderli?
Su una produzione “di legno” costruita con Danny Bronzini e Peppe Petrelli al Sud-est Studio di Lecce, PUGNI unisce suono e parola in un equilibrio ruvido e autentico. La voce si muove tra dolcezza e rabbia, tra lucidità e tenerezza, raccontando il disagio di chi non riesce a stare dentro i confini, ma da quella frattura trova la propria forza. Talento è un brano che invita a ribaltare lo sguardo, a rimettere in discussione la normalità. Perché su un altro pianeta, forse, i “matti” sarebbero considerati persone di talento, sciamani, visionari, anime in ascolto del mondo. È una canzone che non consola, ma accompagna. Che non giudica, ma accoglie. Un piccolo atto di resistenza, che ricorda a tutti che anche nel disordine può nascere bellezza.
(Viola santoro)
PUGNI: 9
Dimmi che provi quello che provo io
Una confessione con il cuore in mano quella di Prima stanza a destra nel suo nuovo singolo Dimmi che provi quello che provo io. Con la sua voce delicata, ma struggente allo stesso tempo, l’artista ci racconta delle fasi iniziali di una storia d’amore, quando ci si rende conto per la prima volta di essere innamorati. La consapevolezza dei propri sentimenti, però, lascia spazio anche ai dubbi e alla speranza di essere ricambiati allo stesso modo: Fumo e guardo dal finestrino, mentre spero che non ci separi il destino. Il tono intimo e calmo ci invita ad accogliere queste emozioni, anche se fanno paura, perché è qui che l’amore trova la sua forma più pura.
(Sara Vaccaro)
Prima stanza a destra: 7,5
Il mio coinquilino vuole uccidermi
Narratore urbano è un progetto da sempre attento ai temi sociali, affrontati attraverso la musica rock come un urlo a pieni polmoni. Il nuovo pezzo Il mio coinquilino vuole uccidermi, pubblicato (non a caso) martedì 7 ottobre, pone il focus sul conflitto tra Israele e Palestina, rappresentato come la metafora di un grande condominio: Solo un tale con il suo cane sopravvisse allo sterminio, l’amministratore guardandomi disse che sarebbe diventato il mio coinquilino; E a nulla servì protestare, ribadire che in casa non avevo spazio, perchè il tipo si era fatto amico anche il più ricco del palazzo. La semplicità del testo permette a tutti di comprenderne il significato senza difficoltà, e di riflettere in termini più realistici sul disagio che vive, da decenni, il popolo palestinese. Il tono è potente e aggressivo da ogni punto di vista: voce, testo e base si uniscono con forza e rabbia, invitando a guardare in faccia la realtà e a condannare una situazione da tempo inaccettabile.
(Sara Vaccaro)
Narratore urbano: 8
Date un premio a quest’uomo
De Relitti firma una confessione lucida e spietata, una resa dei conti con sé stesso trattata però con ironia. Il nuovo singolo si muove come una suite psichedelica: arpeggi gentili che si scontrano con distorsioni viscerali, voci intrecciate e un basso che affonda come un’ancora nel mare in tempesta.
“Nessuno mi rovina come mi rovino io”, canta, e questo diventa il manifesto di un’autodistruzione quasi poetica, un paradosso raccontato con il sarcasmo elegante di chi ha imparato a ballare sulle proprie macerie. Tra la teatralità dei Baustelle e un immaginario da film di Sorrentino, De Relitti smonta e ricompone l’indie-pop italiano, trasformandolo in un alt-rock raffinato, disilluso, ma vivo.
“Date un premio a quest’uomo” (è proprio il caso di dirlo), perché riesce a far brillare il disastro come fosse arte.
(Ilaria Rapa)
De Relitti: 7,5
Mexican Sugar Dance (Album)
Dodici nuove tracce in cui la scrittura si fa urgente, contaminata; spogliata da strategie e mossa solo da un bisogno autentico. Il nuovo album dei Little Pieces Of Marmelade, Mexican Sugar Dance, parla chiaro al cuore dell’ascoltatore – e al suo orecchio, riportandolo al suo habitat naturale: il palco. Interamente scritto, composto, registrato e prodotto nel loro studio a Filottrano (Ancona), la ricerca sonora che abita questo nuovo progetto, non rincorre le mode ma prova a travolgerle, mescolando i generi a loro più cari: grunge, punk-blues, psichedelia. Dopo due anni di lavoro intenso, tra concerti, bozze e nuove vibrazioni, il duo ritorna con due track che anticipano questo grande lavoro: “Family Therapy” e “La Band”, viscerali e volutamente imperfette. Mexican Sugar Dance <<è forse il nostro lavoro più libero e più vero. Di solito, siamo maniacali in studio ma questa volta ci siamo fatti guidare dall’istinto, lasciandoci andare ad un divertimento raro. E’ uno di quei dischi nati senza piani precisi, ma dalle idee che arrivano a raffica e che si decide di inseguire – raccontano i LPOM -. La scelta dell’inglese è stata inevitabile: le melodie erano già lì, primordiali, e avevano dentro quella lingua. Non volevamo imporci limiti o etichette. Abbiamo seguito un flusso naturale che raramente ci è capitato di catturare>>. I suoni catturati sono infatti ruvidi, e poco dediti al compromesso ma in grado anche di regalarci atmosfere intime e solitarie come con “Love” o “Fame” dove l’uso della viola è paragonabile a un fiore appena sbocciato dopo giorni di non cure e disattenzioni.Tra street poetry e mondi urbani, l’esplosione di “Sonic Bloom” si fa diretta, quasi incidentale dove ogni verso è una lama che ti trafigge dolcemente. “Doomy”, “Sniffing Stars”, la psichedelica “Sadfunk”, riconoscono l’urgenza che sta alla base del disco fino ad arrivare all’omonima traccia che le offre il suo titolo: “Mexican Sugar Dance”, manifesto personalissimo in cui è ritratta l’epoca che viviamo; non tanto con le parole quanto con le innumerevoli distorsioni e con suoni intensi ed ipersensibili. “Quello che si ascolta – batteria, ronzio, lamenti – è pura corrente elettrica, distorta e annichilita. Non è un brano, è un collasso sonoro”.
(Mariangela Caputo)
Little Pieces Of Marmelade: 9
Un po’ di silenzio
Figlia della luna e dei suoi numerosi multiversi, Moly, (nome d’arte di Carlotta Camilla Maria Mascheroni) è una cantautrice di questo nuovo tempo; creativa e nebulosa come la sua Brianza. Piccolissima si avvicina al pianoforte ma è la scoperta di gruppi innovativi come i My Chemical Romance e le Bikini Kill che le fanno girare completamente la testa. Fare musica diventa per lei una necessità; una via di fuga contro l’ordinarietà delle cose. La sua scrittura centellinata di glitter, lacrime e vanità invita a soffermarsi, a rallentare; ad accogliere quel poco di silenzio, come preannunciato dal suo nuovo singolo, utile a far confluire i pensieri. Un po’ di silenzio, che vede la luce da pochissimi giorni, è un pezzo che mixa cantautorato, indie, musica pop con influenze elettro-sintetiche, capaci di restituirci quelle atmosfere vagamente oniriche attorno alle quali si appoggia il vero significato del testo. In un mondo fatto di stimoli esterni e parole confuse, la vera chiarezza, per l’artista; nasce e muore nel silenzio, unico strumento dedito al raccoglimento personale. Il testo, non banale, lascia spazio ad un’immaginazione a lungo termine, mentre la parte strumentale, accompagnata dal suo vulnerabile timbro vocale, genera sensazioni di sollievo amalgamate a malinconie di inizio autunno.
(Mariangela Caputo)
Moly: 7+
Antarctica/Neon lights
Marta Del Grandi è un’artista italiana, anche se a volte me lo dimentico. Voce elegante, eterea, nel 2012 si trasferisce in Belgio per completare i suoi studi musicali in canto jazz e da lì; animata dalla voglia di conoscere culture nuove, vola in Cina e in Nepal, stabilendosi a Kathmandu per tre lunghi anni. I luoghi, i viaggi, le mete raggiunte sono specchi entro i quali guardare, strumenti utili per conoscere al meglio la sua musica; una musica difficilmente incasellabile in un unico genere; che ama vibrare dolcemente tra influenze diverse – dalla wave dream pop alla musica sperimentale, fino ad arrivare all’elettronica artigianale, arricchita da numerose suggestioni provenienti dal mondo jazz e dal cantautorato internazionale. Dopo Until we fossilize (2021) e Selva (2023), album caratterizzati da atmosfere colte ed esotiche, nei quali la voce di Marta traccia infinite geometrie dell’anima – esaltando tematiche legate al mito, alla natura e alla letteratura, il 30 gennaio del 2026 uscirà il suo terzo lavoro discografico: Dream life, un concentrato unico di visioni oniriche e di consapevoli consapevolezze.
I singoli preannunciati, Antarctica e Neon lights, anticipano perfettamente quell’universo fatto di chiaroscuri e sagome dilatate in cui Marta ci sguazza dentro, senza necessità di chiedere il permesso. Antarctica, dal sapore funky parla una lingua decisa, calibrata. Il pezzo nacque durante una sessione serale – racconta Marta – ,<>. La chiave ironica rafforza il vero significato posto alla base dell’album: il futuro ci sfugge e non sempre i piani di vita vengono rispettati; tanto vale restare aggrappati al presente e ai suoi mutevoli cambiamenti. Il secondo estratto dell’album, Neon lights appare come una dichiarazione sussurrata; adotta uno schema libero con dense distorsioni, e nasce come le precedenti figlie, da un bisogno espressivo della parola. La sua voce ben si adatta alle visuals create che delineano spazi notturni sospesi, a tratti rarefatti. E’ un pezzo che esplora il tema dell’identità personale e che impara a comprendere le dinamiche che s’intrecciano tra noi e il mondo circostante.
(Mariangela Caputo)
Marta Del Grandi: 9
Mondo tragico quasi magico
È già il quarto ascolto! Mondo Tragico Quasi Magico è un disco che arriva con calma, ma quando butta giù la porta non esce più dalla stanza. È il ritratto di un’umanità fragile e bellissima, un viaggio attraverso i chiaroscuri dell’età adulta, tra sogni che resistono e paure che non si lasciano zittire. Cimini racconta tutto questo con una scrittura sincera, tagliente e delicata insieme, che parte dal personale per arrivare dritta all’universale.
Ci sono brani che restano, e non solo per la melodia. Ave Maria è una ferita lucida e necessaria, una preghiera laica per tempi confusi; L’Urlo è un gospel distorto, rabbioso e liberatorio; Puntino è pura emozione, una ballad che fa male ma fa bene. Poi ci sono Il mago, Myromantica, Lindacolei e Strappami il cuore, pezzi che abbiamo già consumato, ma che nel contesto del disco trovano una nuova luce, più consapevole, più matura. Cimini non perde i colori vivaci che da sempre accompagnano la sua musica, ma li sporca di ombre. Il suo mondo si fa più complesso, più vero: le canzoni bruciano di un’urgenza reale, quella di raccontarsi senza filtri, di mettere in musica le crepe, i dubbi, le contraddizioni. Mondo Tragico Quasi Magico è il passaggio verso qualcosa di nuovo. È la resa dolce e necessaria di chi ha smesso di fingere che vada tutto bene, ma continua a cercare un senso anche nel disincanto. Un disco che parla del presente, ma lo fa con uno sguardo intimo, empatico, profondamente umano. Alla fine, resta la sensazione di aver ascoltato qualcosa che ci riguarda. Un album che non consola, ma accompagna. Che ci ricorda che, anche quando il mondo sembra tragico, può ancora essere, per un attimo, quasi magico.
(Viola Santoro)
Cimini: 8
Almeno per ora (Album)
Un cielo grigio, la luce che cambia, una quiete che non consola ma accoglie: così si apre “Almeno per ora”, il nuovo album degli Elephant Brain.
Un lavoro che abbraccia la complessità del presente con lucidità e vulnerabilità, senza cercare rifugio nella nostalgia né scappatoie verso il futuro. Ogni brano è una tappa di un percorso che attraversa la fragilità e la forza del tempo, restituendo la sensazione di qualcosa che continua a muoversi anche quando sembra fermo.
La scrittura si fa più matura e raccolta: ogni canzone è costruita con una cura che lascia spazio al silenzio, come se dentro gli arrangiamenti si nascondesse il respiro stesso di chi suona. Le chitarre e le voci non esplodono, si intrecciano; la rabbia lascia il posto alla resa, e la resa diventa una forma di forza.
È un lavoro che trasforma la fragilità in presenza, che non chiede di capire ma di restare.
In “Almeno per ora” gli Elephant Brain trasformano la fragilità in un atto di coraggio, restituendo qualcosa di irrimediabilmente umano: l’ostinazione di chi continua a cercare senso anche quando il tempo sembra farsi più stretto.
(Serena Gerli)
Elephant Brain: 8,5
Tu, noi e altre storie (Album)
Synth morbidi e chitarre avvolgenti accompagnano “Tu, noi e altre storie”, un album sospeso tra perdita e affetto. Danielle non racconta soltanto l’addio: lo attraversa, lo respira, lo lascia vibrare insieme alla forza dei legami quotidiani.
Al centro del disco c’è “Innamorati persi”, un dialogo dolce e disarmato tra due persone travolte dall’innamoramento. La voce di Danielle accompagna con naturalezza questo viaggio tra paure, indecisioni e delicatezze, oscillando tra forza e intimità.
Musicalmente l’album si muove tra cantautorato italiano anni ’70 e ’80, grinta rock, contaminazioni pop internazionali e vibrazioni lo-fi e psichedeliche. Synth e chitarre creano un tappeto immersivo, dove ogni brano trova il proprio spazio per raccontarsi.
“Tu, noi e altre storie” non si limita a raccontare abbandoni e addii: è un invito a sentire, a lasciarsi attraversare dalle emozioni e a riconoscere la forza dei legami che ci tengono vivi.
(Serena Gerli)
Danielle: 8
Carusi
Carusi è il ritratto di chi torna a casa e, guardandosi allo specchio, fatica a riconoscersi. La provincia, che un tempo sembrava il nemico da cui fuggire, oggi diventa specchio di un conflitto più profondo, quello con se stessi. Le strade vuote, i centri commerciali, i muri imbrattati di Ragusa fanno da sfondo a una battaglia interiore: quella tra il passato e ciò che si diventa.
Vizzini racconta con lucidità e tenerezza lo smarrimento di una generazione che si sente sempre “fuori posto”: amici che cambiano rotta, amori che si spengono, fratelli simbolici con cui condividere disincanto e ironia. Dentro questo mondo sospeso convivono Nietzsche e Kierkegaard, Dio e il punk, in un dialogo continuo tra spiritualità e realtà, tra caos e ricerca di senso.
La collaborazione con Pollio aggiunge un nuovo strato emotivo: la sua voce, diretta e graffiante, si intreccia con quella di Vizzini creando un equilibrio perfetto tra intimità e rabbia, introspezione e catarsi.
Carusi è un viaggio rock ed esistenziale sul tema del cambiamento e dell’alienazione, un racconto generazionale che non cerca risposte ma verità. È la storia di chi, tornando nei propri luoghi, scopre che la distanza più difficile da colmare non è quella con gli altri, ma con sé stesso.
Con questo singolo, Lorenzo Vizzini conferma la sua capacità di unire profondità e immediatezza, trasformando la confusione, la nostalgia e la paura del tempo che passa in canzoni che restano addosso.
Un ritorno maturo, potente, autentico, di quelli che si ascoltano a volume alto, ma si sentono dentro.
(Viola Santoro)
Lorenzo Vizzini: 7,5
Ragazze
“Le ragazze crescono da sole e stanno bene”. Potrebbe essere una frase detta da adulti (forse maschi?) con noncuranza. O pronunciata dalla bocca di un’adolescente con un pizzico d’orgoglio. Le ragazze convivono col loro dover sempre imparare, il dover essere sempre apprendiste, a suon del mantra ripetuto sulla “paura di crescere” col rossore sulle guance, in un mix tra paura ed eccitazione. Così come la crescita va avanti. Leyla, allo stesso modo dei suoi ultimi lavori, vira le sue tematiche in un mood onirico, quasi esoterico e stregonesco. Ci parla del normale stando su un piano della realtà non visibile ma palpabile. Una nebbia nel bosco che gela le braccia ma seduce. Come in un film fantasy che abbiamo visto mentre crescevamo anche noi.
(Stefano Giannetti)
Leyla El Abiri: 8
Niente di particolare
La cosa brutta può essere l’enfasi esagerata che mettiamo noi alla fine di una storia, che continua a farci male per mesi. La cosa peggiore, molto più probabilmente, è rendersi conto che tutta quella poesia era solo nella nostra testa, che le cose finiscono come una scadenza che non ci era stata indicata. Che nella relazione non c’era “niente di particolare”, forse per uno dei due, forse per nessuno dei due. Ciò dovrebbe farci fare pace con noi stessi prima, o magari farci disperare e disilludere riguardo il futuro. Davanti a un amore che non esiste e se esiste non ha colonne sonore o versi poetici a ricamare due persone che hanno deciso di immolarsi in una nuova missione in due. Che magari di sensazionale non ha nulla. Non ha niente di particolare. Il che sembra un ossimoro di fronte ai postumi che poi combattiamo. Fulminacci è semplice, diretto, pulito, come il messaggio che vuol far passare. L’amore è bello, ma forse non è così in alto. È in qualche oggetto lasciato lì in camera che oggi siamo costretti a mettere a posto da soli, che magari avremmo sistemato da soli anche ieri, ma ci bastava sentire il rumore di altri passi per casa, un profumo che non era il nostro.
(Stefano Giannetti)
Fulminacci: 8
Non c’è tempo
“Tieniti stretta il tuo lavoro vero che a giocare non si cresce mai per davvero” è la frase finale di questa “quasi ballata” che fa da ossimoro alla frenesia che narra. Una conclusione spietata, che ci siamo sentiti dire tante volte dai genitori. Che si spera i genitori di domani ci penseranno due volte prima di farsela uscire. Chissà, magari qualcuno avrò sentito prima questa canzone. Che inizia con i suoni del cantiere, con le dichiarazioni di due disperati silenziosi, come tutti i proletari che corrono per pagare, per stare a malapena sopra la soglia della povertà. Il senso sarebbe farlo per un figlio, per qualcuno che abbiamo a casa, le cui braccia ci aspettano per consolarci, magari stanche come le nostre.
“Se la mia vita è solo il mio lavoro, sono già morto”, sembra una frase che racchiude il brano in un’arrendevolezza, ma in realtà non è così. È il desiderio stesso di volersi dedicare più agli affetti e di conseguenza a sé stessi, il segnale che non dormiamo, che possiamo ancora combattere.
(Stefano Giannetti)
Alice Caronna: 8,5
Amor Proprio
Che cos’è l’amor proprio? Una forma di amore che diamo agli altri, oppure la capacità di rivolgere lo sguardo su noi stessi con cura, ma anche con dolore ed onestà?
Proprio così Frah Quintale ritorna con il suo nuovo album, un viaggio tra luci e ombre, tra notti insonni e voglia di riscatto.
L’artista mette in scena un confronto con la solitudine, la rottura, la memoria e il desiderio di diventare architetti della propria vita; dichiarando che dietro l’album ci sono anni di vita vissuta con eventi emotivamente intensi.
Dal punto di vista sonoro troviamo un’evoluzione, Frah Quintale non si ripete, ma ricerca nuovi equilibri tra pop alternativo, urban e soul e anche la produzione è ben curata: si alternano momenti ricchi e altri minimal, che fanno respirare.
“Amor proprio” è un lavoro che ci colpisce come un’onda inattesa, tutti viviamo momenti di buio, ma questo buio è fatto per essere attraversato e mentre ascoltiamo le sue parole non dobbiamo limitarci ad essere spettatori passivi.
(Benedetta Rubini)
Frah Quintale: 8,5
Ungaretty
Già nella genesi del pezzo sta il suo valore simbolico: la collaborazione con Giancane, non è solo un featuring, ma atto di fiducia artistica e personale. “Ungaretty” oscilla fra rock emotivo e spoglia sincerità: chitarre ruvide che graffiano e accompagnano la voce, spingendo più con la tensione che con l’artificio digitale. Sembra voler fare due cose nello stesso tempo: parlare forte e restare intimo.
Il testo trasmette un messaggio semplice e potente: anche le piccole vittorie, in momenti difficili, hanno valore. Le parole parlano di amicizia, vulnerabilità, desiderio di condivisione quando l’anima pesa.
Il richiamo poetico sottolinea che il brano è consapevole del suo debito verso la tradizione poetica , ma non vuole restare imbrigliato: le parole sono prese in prestito, ridate con senso proprio.
“Si sta facendo giorno, intorno a te ci sono anche io, amico mio.” Quando stiamo male, ogni passo ci sembra difficile, ma se abbiamo qualcuno che ci resta vicino, quella persona diventa preziosa; perfino il giorno più piccolo può diventare una conquista.
(Benedetta Rubini)
Gattotoro feat. Giancane: 8,5
Mi Basti Tu
Il brano gioca tra indie-pop e sfumature alternative R&B, con una scrittura più matura che sa trasformare dettagli personali in immagini capaci di parlare a molti.
L’ispirazione nasce da un momento osservato nella piazza del suo paese in provincia di Varese: una scena apparentemente semplice: due ragazzi che si mostrano affetto in una piazza silenziosa, diventa spunto per un incipit potente: “siamo soli in una piazza” Sin dall’inizio si instaura una dimensione sospesa, una presenza nel vuoto.
Emerge una tensione affettiva, l’amore non è condizionato né dalla gioia né dal dolore, ma è una costante. “Mi basti tu” è un invito a rallentare, a farmaci un attimo per guardare meglio , a dare valore ai piccoli gesti, che tendiamo sempre di più a non considerare.
(Benedetta Rubini)
Luca Re: 8
Casa mia
Se mi perdo cercherò casa mia negli occhi tuoi.
Essere in luogo sicuro, in pace con se stessi, spesso è un emozione che viene associata allo stare al riparo e tranquilli dentro la propria abitazione. Chissà se per un certo istinto di sopravvivenza l’uomo cerca di provare un qualcosa di simile quando è costretto a vivere fuori dalle proprie quattro mura. Così si costruisce un riparo in un viaggio verso qualcosa di nuovo, con territori e ambienti a cui si cerca di rubare uno spazio famigliare o dentro le relazioni, modellando una sicurezza partendo dalle fondamenta.
La band piemontese Senza Coloranti Aggiunti dà vita ad un perfetto mix di energia e sentimento: alla distorsione delle chitarre elettriche si sovrappongono linee melodiche delicate ed accoglienti. Mostrare le proprie vulnerabilità è un mondo che può ferire o curare.
(Nicolò Granone)
Senza Coloranti Aggiunti: 7,5
Torino Senza Te
La colpa di non accettare di aver colpa, un loop infinito che rende la realtà più scura e disabitata. Il mondo esterno, la città di Torino in questo caso, diventa una prigione dentro la quale diventa difficile, se non impossibile perdonarsi il proprio dolore.
Naturamorta vive in prima persona questo disagio e non fa nulla per mascherare la sua rabbia, rendendo il pezzo in maniera viscerale e drammatica, con tutta la frustrazione che ne esce fuori. Interessante però che dentro questa violenza dell’assenza ci sia un richiamo interno al suo modo di percepire la realtà, esigenza che lo fa diventare sia vittima sia carnefice. Una situazione dove viene normale impazzire.
(Nicolò Granone)
Naturamorta: 7
Spopolamento al 60%
Quanto costa festeggiare la fine della guerra? Potrebbe essere un dubbio tra ragione e sentimento. La vita torna, però non si può fare finta che non sia successo nulla. E allora chi parte e se ne va, per disperazione, cosa immagina di ritrovare oltre le macerie, nei luoghi che ha dovuto abbandonare per la violenza delle circostanze?
Spopolamento al 60% di Simone Famiglietti è una canzone che non parla solo di Palestina, ma è il lamento di tutti quei giovani che devono abbandonare la propria terra per mancanza di opportunità emigrando lontano in cerca di nuove possibilità. Anche se le bombe non sono mai cadute su quelle strade, quale prezzo chiederà la memoria a chi, dopo anni chissà dove, sentirà il bisogno di ritornare alle origini, probabilmente anche per far pace con un addio fatto di lacrime ed esigenza. Si percepisce il calore dell’intimità del desiderio che si scontra con l’istinto di sopravvivenza.
(Nicolò Granone)
Simone Famiglietti: 8