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Es Nova: “La nostra è una ribellione creativa” | Intervista

Il Collettivo sammarinese Es Nova nasce nel 2016 da un’idea di Nicola Rosti, Erica Agostini e Alice Drudi. Il gruppo vuole sperimentare attraverso la musica di ricerca, la sound art e le arti visive un dialogo in tempo reale, sia dal vivo che in studio di registrazione. Le influenze musicali spaziano dal minimalismo, alle avanguardie elettroacustiche, prendendo spunti dal jazz, dal rock progressive e dal blues. Le opere degli Es Nova nascono e si sviluppano a partire da un tema, una parola, un’immagine, per poi lasciare alla pura improvvisazione il processo tramite il quale l’opera, aperta, prende forma.

La musica, talvolta rischia la tendenza di dare più importanza al risultato finale piuttosto al processo che nasce durante la creazione. L’arte non è per forza un tentativo di piacere al pubblico a tutti costi, usando stratagemmi creati a tavolino. Quella degli Es Nova è quindi una ribellione, che riporta questa forma di cultura alla sua forma migliore e più originale.

INTERVISTANDO ES NOVA

Che cos’è Es Nova?

Ci piace definire Es Nova un collettivo artistico multidisciplinare. Fin dall’inizio abbiamo instaurato collaborazioni con pittori, attori, performer, visual artist e scultori, con l’intenzione di  parlare insieme unendo le varie arti. Il filo conduttore è sempre stato quello legato al dialogo e all’interazione, cercando di portare in scena un registro espressivo diverso da quello della semplice performance. Eravamo stanchi di riproporre la formula legata alla riproduzione e alla performance di materiali già composti. Volevamo ritrovare una dimensione più vitale, immediata e gestuale del fare musica, meno legata a schemi e generi musicali. Insomma, volevamo ricominciare a giocare e a ritrovare il piacere di sperimentare, sapendo solo in ultimo quale sarebbe stato il risultato finale. Crediamo più nella composizione come schizzo, come bozzetto in fieri che come opera compiuta e definita. In tutto questo c’è stata comunque una lunga acquisizione di modelli e di strutture musicali pregresse. Il terreno della composizione estemporanea, unito alla sound art, termine quanto mai eterogeneo, ci è sembrato sin dall’inizio il linguaggio più affine al nostro modo di fare e di sentire le cose musicalmente. E così abbiamo cominciato questo viaggio.

Che sforzo è fare cultura in Italia?

Tutto dipende da cosa si intende per “fare cultura”. Come per altri ambiti, ci sono vari registri del discorso culturale: dall’intrattenimento alla ricerca, passando per quello ricreativo. È sempre cultura, ma comporta difficoltà e responsabilità differenti. Con Es Nova abbiamo impostato naturalmente il discorso in termini di comunità di lavoro e ricerca, senza aspettarci nulla. La difficoltà è più che altro connessa al comunicare cosa sia questa idea, quali siano le finalità, cercando di definire qualcosa che per sua natura è di difficile definizione. La domanda: “ma quindi che cosa fate?” ci ha sempre accompagnato. Ci interessa fare le cose a modo nostro, proponendole a persone interessate e ricettive a questo modo di comunicare, anche e soprattutto al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Tutto qui. Abbiamo fatto e continuiamo a fare molti sacrifici, ma fino ad ora la risposta è stata buona. Finanziamo interamente i nostri lavori e questo ci permette di esserne i referenti ultimi e i responsabili. Lo sforzo non è un valore assoluto, ma è sempre relativo alla quota di motivazione presente. Finché resteremo motivati, finché troveremo qualcosa di sensato sullo sfondo, lo sforzo sarà comunque minimo. Quando si è allineati a ciò che si vuole fare veramente, la fatica c’è, ma passa in secondo piano, si attenua. Quando invece si esce dal proprio allineamento, dal proprio stato di flow, allora tutto diventa inceppato e faticoso. È il segnale che qualcosa non va e che bisogna tornare a guardare dove si è e dove si vuole andare.

PH: Ufficio Stampa

La creatività è la libertà dell’arte?

Fatico a pensare all’arte senza creatività. Che poi la libertà sia l’unica cifra della creatività è un interrogativo del tutto aperto. La libertà creativa è ciò a cui di solito si ambisce, un limite al quale si tende senza arrivare mai. Il solo fatto di aver ereditato matrici e modelli estetici e di lavoro impedisce di parlare di creatività in senso assoluto. Dal canto nostro, ci impegniamo a mantenere quanto più alto possibile il nostro livello di libertà espressiva, che è una cosa diversa. Significa avere il minor numero di disallineamenti possibile fra intenzione ed espressione, fra idea e fatto concreto. Cerchiamo di giocare con consapevolezza, di divertirci seriamente. Il modello estemporaneo permette senz’altro di essere più creativi rispetto ad altri modelli, di sorprendersi, di sfidare i modelli predittivi con soluzioni aperte. Abbiamo l’opportunità di fondere insieme elementi distanti, di cambiare fronte in ogni momento, di lasciar apparire ogni volta qualcosa di inusuale, di non provato prima e che per questo ci risulta affascinante.

Che rapporto esiste tra l’“Io” e il “Noi”?

Esiste un rapporto di reciproca interazione dialettica. Non c’è l’uno senza l’altro. Non si può essere un “noi” senza essere un “io” e viceversa. Il “signor nessuno” non può portare alcuna “quota capitale” all’interno di un gruppo e, pertanto, la sua presenza sarebbe del tutto ininfluente. Se d’altra parte esistesse solo l’“io”, il “noi” si destrutturerebbe, portandosi dietro anche l’“io” stesso. Che cosa sia poi questo “io”, dopo Freud e Lacan, è una faccenda tutt’altro che conclusa. Siamo in questa continua, ambigua tensione fra esigenze di libertà ed esigenze di appartenenza. Non solo in musica ma in ogni altro ambito della nostra vita. Per armonizzare questo conflitto, dobbiamo poter uscire dalle categorie bivalenti che impongono un aut-aut fra queste due istanze. È necessario articolare continuamente singolare e universale. Non possiamo perderci nell’universale né ridurci al solo individuale, pena lo smarrimento. Per noi significa dialogare, accogliere la complessità, stare dentro i movimenti e gli urti tra gli opposti senza cercare scorciatoie. Questa tensione attraversa da sempre il pensiero, da Platone a Hegel fino a Lacan, e continua a essere terreno vivo anche nella nostra pratica. Abbiamo tentato di parlarne proprio nel nostro ultimo lavoro, che si chiama appunto “Noi” e che tratta di questa doppia prospettiva, fra molteplicità e unità, individualità e collettività. Ognuno cerca poi a suo modo di trovare una soluzione efficace a questo complesso problema esistenziale.

Quando si pensa al viaggio si ha l’idea che sia un modo di vedere il mondo con occhi diversi, trascurando forse l’idea che sia anche un processo utile a conoscersi. Il brano “Scala Santa” nasce anche da questa voglia che l’essere umano ha di capire chi è?

“Scala Santa” è una performance estemporanea realizzata in occasione dell’inaugurazione della Galleria Nazionale di San Marino. È una nostra personale lettura in musica del lavoro omonimo di Enzo Cucchi, esponente di spicco della transavanguardia, che abbiamo poi conosciuto personalmente. Sì, il viaggio è il fine, potremmo dire, perché è il portatore dell’esperienza. L’esperienza è ciò che si vive, è corpo ed è sempre accompagnato sullo sfondo da una narrazione simbolica. Il viaggio deve essere motivato da uno scopo, altrimenti diventa un errare. Anche qui, per procedere, dobbiamo fronteggiare un procedimento dialettico e continui rovesciamenti di fronte, di enantiodromie direbbe Jung. Troviamo una sintesi stabile, poi gli eventi ci costringono a capitolare di nuovo nella frammentazione, nello smarrimento. Siamo chiamati ad accomodare le cose, modificando noi stessi in virtù di nuove acquisizioni d’esperienza e nuovi eventi interni. Contemporaneamente si sale verso livelli di consapevolezza sempre nuovi. Nello sguardo retrospettivo si è comunque proceduto con continuità, salendo i gradini di una scala simbolica.

I social hanno preso il privato e lo hanno trasformato in pubblico. Che sensazione vi provoca questo modo di comunicare?

Direi che è il privato ad essersi messo sui social, sperando di diventare virale, illudendoci che a qualcuno possa interessare realmente cosa abbiamo mangiato o dove siamo stati in vacanza. I social sono una faccenda molto complessa che tocca livelli sia collettivi che individuali. È una rivoluzione ancora in corso, di cui pochi, forse, hanno già una visione completa. Dal canto nostro, sappiamo di proporre qualcosa che non è poi così diverso. Nell’improvvisazione, fotografiamo un momento creativo, privato, e lo rendiamo pubblico. Non qualcosa di composto altrove e poi riprodotto. È una forma di “pornografia” anche questa, come ormai quasi tutto. Ma nessuno ci costringe a pubblicare nulla. Ne siamo consapevoli e ci va bene così.

Avete già pianificato il prossimo futuro o preferite improvvisare?

Siamo orientati al nostro scopo, che è fare la nostra musica e condividerla con le persone. Pianifichiamo come poter continuare a farlo. Possiamo tuttavia pianificare le azioni, ma non le reazioni. Queste non dipendono da noi e possiamo solo lasciare che le cose accadano.

Nicolò Granone

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