Tripolare: “La mia vacanza ora è il tour!” | Intervista

PH: Ufficio Stampa

Tripolare: “La mia vacanza ora è il tour!” | Intervista

Con i primi freddi l’idea di vacanza è qualcosa che si rimanda, bisogna fare il cambio armadi o informarsi sui concertini che si fanno anche quando il sole tramonta prima delle 5 di pomeriggio. Uno degli artisti in tour in questo periodo è Tripolare, che porterà in giro il suo ultimo disco.

La vacanza è nato dall’esigenza di scoprire un qualcosa di nuovo, che nell’atto stesso dell’andare via è diventata una fuga dalla realtà del quotidiano, e anche da se stessi. Il senso del viaggio diventa la possibilità di stabilire il proprio tempo, riuscendo a settarsi senza impegni imposti. Undici tracce che si muovono tra desiderio, perdita, ironia e voglia di leggerezza, un invito a prendersi il proprio tempo e a lasciarsi andare.

C’è qualcosa di puro e grezzo nella musica di Tripolare, che cerca di rincorrere il presente senza mai dimenticare di esplorarlo, di passare a nuovi umori senza mai temere di provare nuove emozioni. Ogni pezzo è un’istantanea, un attimo congelato, un presente vissuto, ma anche rincorso, in una ricerca continua del proprio obiettivo e della propria identità.

Cerco la vacanza e non trovo la pace”. Ci racconti il mood di questo disco?

È l’adrenalina esplorativa di chi mosso dall’agitazione si ritrova troppo in là: quando prevale lo slancio adrenalinico… spesso quando finisce non resta che il vuoto o il desiderio di tornare alle origini.

Che posto è il mondo?

È un posto che sta lì per caso e subisce tutti i battibecchi dell’essere umano, quando può regala bei paesaggi e conforto a chi sa fermarsi. Può illuminare le menti disposte a semplificare il proprio modo di vivere, aggiungerei.

PH: Ufficio Stampa

Dentro le tue canzoni hai messo le coordinate di alcuni luoghi?

Sinceramente no, ma mi avete dato un’idea (tnx).

Come mai è così facile riconoscere gli italiani all’estero?

Forse perché gli italiani sembrano non riuscire a rinunciare al ruolo di main character: hanno un modo di fare espressivo, sempre un po’ sopra le righe. D’altra parte, in alcuni paesi prevale un’impostazione più rigorosa e il passato storico ha un peso diverso. Oppure, semplicemente, si riconoscono per l’aspetto e lo stile.

Ti senti più vivo in mezzo al mare o sulla cima d’una montagna?

Decisamente montagna, sogno di scrivere un disco in Abruzzo… ci vado da quando sono piccolo quindi ho un legame particolare. Il mare l’ho voluto conoscere e scoprire negli ultimi 4 anni, ma a vacanza finita confesso che mi ha stufato un po’.

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Hai mai provato la sensazione di essere liberato di certi pensieri?

Il disco è stato principalmente questo. È stato un viaggio alla ricerca della leggerezza, liberandomi anche un po’ di tutti i pesi gravosi che avevo portato allo stremo, è stato quasi catartico per me. Mi ha permesso di ritornare, adesso, su quello che ho dentro con maggiore lucidità e ispirazione.

Crescendo cambia anche il modo di scoprire cose nuove?

Sono arrivato al punto in cui la ricerca principale sta proprio nel capire come si scoprono cose nuove quando non ti si presentano davanti spontaneamente. Secondo me è una cosa che si impara crescendo. Richiede coraggio, inevitabilmente i tempi vanno dilatati quando si esplora, c’è un tempo per assorbire e un tempo per analizzare, più è distante da te il tema e più ci vuole tempo.

Perché gli addii fanno così paura?

Non sempre fanno paura. È vero però che siamo dotati di fantasia e spesso subentrano pensieri come “avremmo potuto fare questo”, oppure “e se non trovassi mai più una persona come lei/lui?”. Ci facciamo delle proiezioni stimolanti che spesso si infrangono. Superata una certa soglia di delusioni il cervello modifica queste proiezioni per farle calzare sulla previsione di addii imminenti. Dunque la paura se si è particolarmente sensibili non solo è molto frequente, ma intristisce gli animi ancor prima che ce ne sia bisogno.