“Twenty-five years and my life is still
Trying to get up that great big hill of hope
For a destination
And so I wake in the morning
And I step outside
And I take a deep breath and I get real high
And I scream from the top of my lungs
What’s going on?
And I say, hey yeah yeah, hey yeah yeah
I said hey, what’s going on?”
(What’s up, 4 Non Blondes)
Ci sono momenti in cui la musica riesce a farsi specchio di qualcosa di più grande: il tempo che scorre, i sogni che si piegano, la voglia ostinata di dare un senso al caos. È lì che l’indie italiano trova la sua forza — nelle voci che non cercano risposte ma orizzonti, nei respiri profondi che diventano versi, nei piccoli gesti trasformati in canzoni. Le nuove uscite di questi giorni ne sono la prova: fragili, coraggiose, vive. Perché la musica indipendente continua a esistere proprio dove tutto sembra confuso, ma l’urgenza di dire resta più forte di qualsiasi dubbio.
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Con “Speriamo”, Venerus torna a fare della musica un luogo di fiducia e smarrimento, di desiderio e ricerca. Ogni brano sembra nascere da una domanda lasciata sospesa, da quella tensione che abita chi prova a restare umano in un tempo instabile. È un disco che respira, che si apre e si chiude come un battito, tra introspezione e istinto. Le radici psichedeliche di “Magica Musica” riaffiorano solo in parte: qui il suono si fa più terreno, carnale, attraversato da pulsazioni hip hop, linee jazz e momenti di pura elettronica. I synth convivono con chitarre sporche e casse profonde, restituendo un paesaggio sonoro in cui Venerus si muove con libertà totale, mescolando mondi senza mai forzare l’equilibrio.
Le collaborazioni, da Gemitaiz a Cosmo, da Jake La Furia a Marco Castello, ampliano lo spettro narrativo del disco, che si trasforma in un dialogo collettivo, un mosaico di voci e linguaggi che si inseguono dentro la stessa vibrazione emotiva. Nei testi, Venerus parla d’amore e di corpo, di perdita e di rinascita, con quella sincerità disarmante che lo distingue. C’è ironia, erotismo, malinconia, ma soprattutto c’è la sensazione che dietro ogni parola ci sia una vita vissuta, un istante che vale la pena ricordare. “Speriamo” è un atto di fiducia verso la possibilità che tutto possa ancora cambiare. Un album che non cerca risposte ma lascia aperte le porte del dubbio, illuminandolo con grazia e coraggio.
(Serena Gerli)
“Nuovo amore passato” è il titolo del nuovo album di Anna and Vulkan, ma anche un affascinante ossimoro, una frase specchio dell’amore che nasce e muore. È proprio l’amore, infatti, ad essere il centro del progetto, con le sue mille sfumature, le sue insidie e il suo essere amaro e dolce allo stesso tempo.
Nonostante sia il primo, si tratta di un album di conferme: conferma dell’unicità di Anna, della sua direzione artistica già ben focalizzata e la sua forte personalità. L’artista è in grado di alternare tracce dal ritmo più vivace a brani più lenti, ma ciò che non cambia è la sua impronta personale, sempre decisa, che si interseca tra sound, voce e testi. La fragilità è una virtù, e Anna ce lo dimostra scrivendo senza filtri i suoi sentimenti, mescolando stili e generi differenti, e alternando italiano e napoletano, un po’ come se fossero due lati di sé che hanno bisogno del proprio spazio per emergere.
Con “Nuovo amore passato”, Anna and Vulkan intraprende un cammino che parte con il piede giusto: un mix di identità, consapevolezza e sperimentazione che lascia intravedere un futuro brillante per la sua musica.
(Sara Vaccaro)
Cos’è un’abitudine? Nient’altro che un qualcosa che si ripete, in modo fisso e schematico, qualcosa che si dà praticamente per scontato. Può essere conforto e sicurezza, talvolta un rifugio dove andare quando non sappiamo dove sbattere la testa, perché sappiamo che lei sarà lì, sempre uguale, ad aspettarci. “Sai, non è facile cambiare un’abitudine” ci ricorda Matteo Crea nel suo nuovo singolo, che si chiama proprio “Abitudine”. Per quanto le abitudini possano rassicurarci, sono anche il motivo che ci frena dal cambiare, fare passi avanti e migliorarci, come individui e come società. Questo brano, nella sua leggerezza apparente, ci invita a compiere una riflessione più profonda: fino a che punto ci conviene rimanere uguali?
(Sara Vaccaro)
Soap arriva a Sanremo Giovani con “Buona vita”, un pezzo che segna un nuovo capitolo per la giovane artista, che si mostra per la prima volta in una delle vetrine più importanti per i giovani cantanti emergenti. E quale miglior modo di presentarsi se non con una canzone estremamente autentica e personale? “Buona vita” è un mix di emozioni vere, pure, legate all’amore; è allo stesso tempo passione e nostalgia, ricordo sbiadito del passato e un presente segnato da confusione e smarrimento.
Nonostante la giovane età, l’artista ci dimostra una maturità e una consapevolezza fuori dal comune: “Questo pezzo è nato nel momento in cui si è chiuso un cerchio, a volte serve lasciar andare per poter ripartire. A mie spese l’ho capito”. Attraverso immagini quotidiane e confessioni sussurrate, Soap ci mostra uno scorcio della sua realtà, lasciandoci un pezzo di sé. A volte ricominciare può sembrare impossibile, ma si rivela necessario. Allora, non ci resta che augurarci “buona vita”.
(Sara Vaccaro)
Un seme nasce, diventa pianta, cresce, dai i suoi frutti e poi tutto marcisce, i colori diventano più grigi prima di cadere a terra, inerme. Il ciclo della vita che evidenzia la fragilità della natura, con l’uomo che ha la convinzione di poter scappare per sempre da questo meccanismo cinico. In più oltre a questa durata temporale che inizia e termina con un pianto, nulla è mai lineare. Si vivono esperienze talmente diverse che possono essere rappresentate in maniera confusa e disordinata. Si può salire piano piano e crollare di colpo, arrivando a toccare il fondo, annegandoci dentro l’oscurità. AKA5HA sperimenta con suoni e parole, con l’augurio che il passato possa diventare energia per rifiorire nel presente.
(Nicolò Granone)
Acqua Distillata e Ribaltavapori, attraverso il nuovo disco “Volume Uno + Due”, chiudono un percorso comune scegliendo la dolcezza come forma di resistenza. Un doppio album che si oppone al rumore del presente e guarda agli anni Sessanta non per nostalgia, ma per ricordare che la delicatezza può ancora ferire, e che il sussurro può valere più di un urlo.
Solo strumenti acustici, arrangiamenti orchestrali e una voce che non forza mai, ma resta in ascolto del testo. L’influenza della canzone d’autore si intreccia con la musica sinfonica di fine Ottocento e con suggestioni morriconiane, in un dialogo continuo tra passato e presente che rende il suono caldo, organico e profondamente umano. Il disco è un concept sulla fragilità del mondo contemporaneo, tra inquinamento, spreco e alienazione, raccontato con grazia e lucidità. Ne nasce un’opera fuori dal tempo, che non pretende di cambiare il mondo ma ci ricorda, con pudore e verità, che “anche nel caos e nella brutalità che ci circondano, esiste un luogo sicuro, un rifugio fatto d’amore”.
(Serena Gerli)
“Montagne” di Scianni è un piccolo viaggio introspettivo, un tuffo nel riconoscersi tra errori, sconfitte e momenti di coraggio. La voce dell’artista si muove con naturalezza tra intime confessioni e melodie delicate, restituendo la sensazione di un dialogo con sé stessi più che con chi ascolta. La produzione mescola lo-fi, pop e ambient, con chitarra, piano e batteria registrati dal vivo per mantenere un senso di vicinanza e autenticità. Il risultato è un suono caldo e avvolgente, capace di creare spazi in cui le emozioni possono respirare.
Il brano è un invito a guardarsi dentro e riconoscere la propria vulnerabilità come primo atto d’amore verso sé stessi. Tra riflessione e respiro emotivo, “Montagne” trasforma la consapevolezza dei propri sbagli in energia vitale, raccontando che anche le cime più impervie possono essere scalate.
(Serena Gerli)
A Marco Giudici piace potersi muovere a passo lento nella penombra della sua musica. Non artista dai mille lustrini, non ricerca la luce dei riflettori perché ha il potere di farla fiorire attorno a sé: in camere piccole, in letti stretti illuminati da schermi appannati e memorie consapevoli. Non c’è dramma nella sua musica; solo una velata inquietudine che si arrampica su scale elettroniche e confessionali. Nel suo mondo, ogni suono è una parola trattenuta, ogni pausa una carezza mancata. Giudici costruisce i suoi brani come si costruiscono i ricordi: con attenzione, con pudore, con quella calma che appartiene solo a chi sa aspettare. Nel suo ultimo brano, “Abitudini di vita”, la malinconia si fa calibrata, adulta. La sua forza è visibile tutta in quel sussurro che resta, che si fa suono immediato abbracciando forme di luce particolare.
(Mariangela Caputo)
Dietro lo pseudonimo di Valentina Luiu, si nasconde un progetto che unisce introspezione, elettronica e visione visiva in un unico linguaggio. Non è solo un suono: è un mondo piccolo ma completo, dove ogni dettaglio — dal testo al video, dalla copertina al beat — è scelto con cura e meticolosità. Valucre ingloba dentro si sé influenze pop e arie sospese mantenendo fede a quella coerenza stilistica che la contraddistingue. Parla di relazioni, drammi, crescite e di come provare a rimanere aggrappati a questo grande mondo. Il suo nuovo singolo, L’acqua lava via, affronta la necessità di rigenerarsi, come suggerito dal titolo; di fare i conti con ciò che è stato, e con ciò che può realmente essere. Un invito a scorrere, continuamente.
(Mariangela Caputo)
Ci sono amori che non sanno fermarsi, che hanno bisogno di correre e di nascondersi. Si muovono come videogiochi impazziti, tra ostacoli e respawn continui, tra baci che scoppiano e silenzi che bruciano. “Crash Bandicoot” è l’istantanea di una relazione così: giovane, nervosa, affamata di contatto, dove ogni gesto è un colpo di scena e ogni addio dura sempre un po’ troppo poco.
I KAUFMAN raccontano l’amore contemporaneo nella sua forma più fragile e istintiva, quella fatta di scuse per rivedersi, chiamate perse, messaggi non inviati e tentazioni di fuga. È una canzone che vive in equilibrio precario tra lucidità e caos, tra la voglia di capire e quella di perdersi del tutto.
Una scossa da tequila: sale, ti brucia, e poi ti lascia un retrogusto dolce che non passa più. Dentro le strofe si intrecciano immagini pop e cinematografiche: Scooby-Doo, Lou Reed, Halloween, Yoko e John. È un universo quotidiano e poetico, dove le coppie si trasformano in piccole mitologie metropolitane, sospese tra il desiderio di restare e la paura di crollare. Il suono è quello tipico dei KAUFMAN: diretto, sincero, pulsante. Chitarre che si sporcano di synth, voci che oscillano tra intimità e urgenza, testi che sanno parlare a chi vive l’amore come una corsa a ostacoli, tra gelo e febbre, tra promesse e screenshot salvati nel rullino.
“Crash Bandicoot” è una canzone che ti entra sottopelle perché è vera: parla di noi, di tutti quelli che si sono amati troppo e capiti a metà, che hanno sbagliato orari, parole, ma non intenzioni.
È la colonna sonora perfetta per chi vive con il cuore in tilt e non ha paura di premere ancora “start”.
(Viola santoro)
“Sistemi lineari” è un EP che parla di connessioni e distanze, di persone che si sfiorano e poi si perdono, come linee che si incontrano solo per un istante.
I Te quiero Euridice tornano con un lavoro che sembra muoversi dentro la vita vera: piena di pause, contraddizioni, incastri che non tornano ma che, proprio per questo, diventano poesia.
Le cinque tracce scorrono come piccoli frammenti di quotidiano, tra pop malinconico e intuizioni elettroniche, con una scrittura limpida e piena di immagini. Ogni canzone è una traiettoria emotiva: parole che si toccano appena e poi si allontanano, melodie che sembrano sospese ma non si spezzano mai. Il titolo, ispirato alla matematica, diventa una metafora bellissima del vivere insieme: non sempre c’è una soluzione, a volte non ce n’è nessuna, altre volte infinite. E in quel caos, i Te quiero Euridice trovano un equilibrio fragile ma sincero, fatto di incontri, attriti e piccole coincidenze perfette.
Il suono è maturo, elegante, a tratti ipnotico; costruito insieme a Matteo Domenichelli e Francesco Brianzi, che disegnano uno spazio sonoro intimo ma vibrante.
Le voci si incastrano, si sfiorano, si perdono, come due orbite che non smettono di cercarsi. “Sistemi lineari” non cerca di spiegare, ma di sentire. È un disco che ti attraversa piano, come la luce che filtra da una finestra in un pomeriggio qualunque.Un invito a lasciarsi muovere dalle connessioni, anche da quelle che durano un secondo. Sul palco, a partire dal tour autunnale, i Te quiero Euridice porteranno questo nuovo mondo fatto di linee e respiri, dove la matematica dell’anima non torna mai del tutto ma resta comunque bellissima da provare a risolvere.
(Viola Santoro)
L’album si muove con consapevolezza tra generi: si passa da intrecci elettronici a sonorità alt-rock fino a toni urbani ed il risultato è un lavoro “poliedrico”, che ha però un filo conduttore: la consapevolezza e l’insicurezza del vivere contemporaneo.
“Ma come fai a scrivere canzoni se ascoltan tutti musica di merda..” Abbiamo una frustrazione radicale, è lo sguardo di chi è critico nei confronti della musica, l’artista poi si interroga su se stesso e sul mondo che lo circonda.
Il disincanto viene trasformato in forza creativa, Novamerica mette in campo la propria maturità sia nella scrittura che nell’adattamento del suono alle tematiche.
È un album che va ascoltato con attenzione, non in maniera frettolosa, l’artista ci invita a interrogarci sul nostro stare al mondo e a non vivere tanto per vivere.
(Benedetta Rubini)
L’EP scorre rapido ma lascia tracce: sintetizzatori ruvidi, vocoder, campionamenti vocali casuali, riff elettronici che oscillano tra alt-pop e indie-electronic.
Ciò che colpisce è la tensione tra vulnerabilità e movimento: l’artista canta della solitudine e dell’insicurezza e lo fa su basi che invitano a muoversi, non semplicemente ad ascoltare. Il punto centrale è proprio il contrasto tra ballo e introspezione.
“La solitudine fa fare cose stupide di cui mi pento e poi ci penso e non ne esco.” Queste parole parlano da sé: il senso della solitudine che ci spinge ad agire impulsivamente e che porta molti rimpianti e ad un loop mentale che si autoalimenta. “Hola mari” è un EP che vuole farci capire che la vulnerabilità non è debolezza e bhadmari mostra di saper mettere a nudo le proprie crepe, le canta, le balla, le trasforma. Il suono è coerente con questa volontà: non perfetto, non confezionato, ma vivo.
(Benedetta Rubini)
Abbiamo un nuovo tassello nel percorso del cantautore siciliano, la sua voce resta in primo piano, sostenuta da arrangiamenti che lasciano respirare. L’ambientazione è specifica e allo stesso tempo simbolica: si parla della città, del mare piatto, dell’acqua ghiacciata, della riappropriazione degli spazi.
“E impareremo ancora a fare cose con le mani…finalmente meno artisti e più artigiani.” Fa una critica al mondo dell’arte/spettacolo, che spesso si separa dalla realtà quotidiana e c’è un richiamo alla concretezza del fare.
La produzione e l’interpretazione lasciano spazio ad un ascolto riflessivo, lanciando un messaggio di riappropriazione, attraverso un linguaggio fortemente simbolico.
Marco Castello sfida l’omologazione culturale con eleganza e radicamento.
(Benedetta Rubini)
Le urla dell’immobilità. La condizione peggiore perché la più incompresa. Quella dei giovani per (speriamo di no) sempre. Inibiti in ogni iniziativa dalla società che ci accusa di essere pigri lamentosi, la stessa che ci ha tolto ogni stimolo a provarci e a privarci della possibilità di sbagliare. Circondati da una giostra vorticosa e velocissima, che offre giri a chi è capace. E forse, con questa scusa, non offre niente. Greta è la voce interiore dei nostri Sto bene detti a quei conoscenti che incrociamo per strada. È quel messaggio che dovrebbe arrivare a tutti. Se a qualcuno interessa ancora come sarà il mondo domani, sappia che resterà in mano a persone a cui, se stanno male, non è concesso nemmeno di dirlo. Un indie-rock chiaro, senza metafore, pulito e ficcante.
(Stefano Giannetti)
Un viaggio nostalgico sia di luoghi che di stile. Sfumature di Battiato e Matia Bazar in questo gioiello che piange per Berlino e di Milano. A stare dietro il suo ritmo ci sembra di stare dentro un videoclip, in mezzo alle luci notturne, tra frame velocissimi. Una carrellata visiva e uditiva di dettagli che raccontano anni interi, un Lost in Translation più vero del reale.
Una poesia metropolitana, amabilmente pop. Francamente ha uno stile che può ricordare sì il vecchio cantautorato italiano, ma traccia una strada tutta sua. Unica, non incasellabile. Destinata a distinguersi.
(Stefano Giannetti)
Canzone contro i bambini è la prima traccia di GattoToro che insieme alle altre compone il disco “Quanti amori che ho, nessuno che capisce un accidente”. Questo particolare però sintetizza un po’ il mood del disco: che fastidio diventare grandi, provare a capire i sentimenti invece di viverli direttamente e tutti quei ricordi del passato prima o poi spariranno, nulla dura per sempre.
Però si sa, i più piccoli corrono e cadono. Si fanno male, piangono anche se solo per paura del dolore e poi, come se nulla fosse ritornano a correre ancora più veloce, anche nella stessa direzione. Innamorarsi è un po’ la stessa cosa, solo che crescendo qualcuno sceglie di smettere o quanto meno di fare finta di nulla, mentre altri, quelli più incoscienti, sono pronti a rialzarsi anche quando ormai tutte le ossa sono rotte o addirittura non ci sono manco più le gambe.
Queste canzoni fanno venire voglia di provare certe sensazioni, riuscendo in contemporanea a far apprezzare il dolore per possibili mancanze, probabilmente anche orientate al futuro.
(Nicolò Granone)
Immaginare è diverso da vivere davvero le esperienze così come sono, e in alcune situazioni si rimane sospesi in una sorta di limbo dove non si riesce a capire se è meglio avere paura o se questa posizione permette di sentirsi al sicuro. Il brano “A luci spente” dei Veava è etereo, vibra creando una sorta di bolla che però potrebbe esplodere da un momento all’altro, generando una confusione talmente forte da spostare la realtà.
Ci sono momenti che sembrano essere cristallizzati, immobili nel tempo, anche se tutte le particelle intorno a noi si muovo, soprattutto quando non le vediamo. Ecco, forse in queste situazioni bisognerebbe essere bravi a osservare, lasciandosi cullare dalle emozioni, senza la fretta dell’azione.
(Nicolò Granone)
Ulisse è il brano con cui The Niro anticipa l’uscita del disco La nascita, scegliendo proprio questa canzone perché racconta di un viaggio, errante, con una destinazione precisa che però lascia libero il percorso. È una cartina nella quale l’ascoltatore si può perdere, fermandosi pure ad ammirare il paesaggio, prima di scegliere dove spostare il suo sguardo, rimanendo trascinando dal suono e dall’emozioni generate dall’ascolto testo
Per trovare il proprio porto sicuro si tende ad affidarsi all’amore, o alla sua ricerca se si vuole essere più romantici, ma in fondo è la speranza che ci tiene in vita. Quando, dopo essersi persi, si torna a casa, si ha la sensazione di aver raggiunto un rifugio, con la consapevolezza, spesso sottovalutata, che per fare questo si è imparata l’arte del coraggio.
(Nicolò Granone)
Immaginate di scandagliare la materia viva del suono e della parola: è proprio quello che fa Umberto Maria Giardini col suo nuovo singolo. È un brano che parla di mutazione, di attrito, di quel momento preciso in cui il vecchio e il nuovo si sfiorano e producono scintille, fuoco e dunque… ”Energia”. Una forza invisibile eppure palpabile, che si manifesta come rinascita lenta, come un “rinascimento a fuoco lento”, per usare le parole dell’artista. Giardini non descrive semplicemente il cambiamento: lo attraversa, lo fa vibrare dentro una scrittura sempre più essenziale e viscerale, capace di dare peso a ogni sillaba. L’elettricità del brano non sta solo nei suoni, ma nella tensione poetica che lo attraversa, nel modo in cui ogni immagine diventa un frammento di esperienza di vita. Ancora una volta, un maestro nel ricordarci che la poesia può essere anche una scossa elettrica.
(Ilaria Rapa)
“Nuova Era Oscura vol.2” è la luce in fondo al tunnel quando tutto sembra andare in frantumi. Rispetto all’omonimo volume 1, questo è un disco che seppure non consola nel senso stretto del termine, dona quella speranza inaspettata. Quattordici brani che proseguono il viaggio iniziato con il Vol. 1, componendo un’opera doppia che attraversa buio e luce, estasi e disorientamento, yin e yang. Pop, kraut, cosmic jazz, fuzz stoner e sperimentazioni rumoristiche si fondono in un linguaggio che è quello distintivo dei C+C, dove la forma canzone si disfa per rinascere in altre forme. “Nuova Era Oscura – Vol. 2” è una celebrazione del caos come possibilità di rinascita, un disco che trasforma la perdita di senso in rivelazione. Dopo ogni notte, il sole sorge sempre.
(Ilaria Rapa)
Un singolo che fonde pop, sarcasmo e critica sociale in un mix ipnotico e ballabile: sono tornate LE CANZONI GIUSTE e con loro brani intelligenti e sarcastici, come “Sushi 3000”.
Il featuring con Davide Borri amplifica il tono satirico del brano, che diventa un manifesto del nostro tempo iperconnesso e iperconsumista. Tra guerre lontane ma non troppo e la bulimia del benessere, il singolo racconta la frenesia del “tutto e subito” con ritmo incalzante e sorriso amaro. È pop che si diverte a essere corrosivo, musica leggera solo in apparenza, capace di trasformare la riflessione in groove e la disillusione in danza. Un piccolo atto di ribellione travestito da hit: una risata consapevole contro l’omologazione, un invito a restare sé stessi anche quando tutto intorno corre troppo veloce.
(Ilaria Rapa)
Sayf torna con un nuovissimo brano, “MONEY”, che vede il featuring di due pesi massimi della scena rap italiana, Artie 5ive e Guè, e che sarà disponibile da questo venerdì, 7 novembre, su tutte le piattaforme digitali. La collaborazione, nata in modo spontaneo dalla stima e dal rispetto reciproco, sottolinea il lato più rap di Sayf, che dimostra di saper reggere il confronto con due fuoriclasse del genere, su una produzione dal sapore senza tempo, tappeto sonoro perfetto per il mix incredibile tra barre d’impatto e un ritornello che rimane in testa sin dal primo ascolto.
Il brano è stato anticipato da diversi spoiler andati virali sui social e dalla comparsa improvvisa di Guè e Artie 5ive nel canale broadcast di Sayf, irruzione che ha da subito acceso la curiosità dei fan. “MONEY” rappresenta un vero incontro tra generazioni, un brano che unisce in maniera unica tre visioni diverse del rap. In questo singolo il mondo di Sayf si unisce alle sonorità della nuova trap di Artie 5ive e alle barre di Guè, icona del mondo urban capace come nessun altro di muoversi tra classicità e modernità.
Per Sayf “MONEY” feat. Artie 5ive e Guè arriva dopo la pubblicazione di “UNA CAN”, prodotto da DIBLA e Jiz, che ha debuttato in Top200 Spotify, e dopo le collaborazioni con Marco Mengoni, Rkomi, Ele A e Sick Luke. Il 7 febbraio 2025 ha pubblicato il suo primo EP “Se Dio Vuole”, con cui ha attirato grande attenzione da parte di pubblico e addetti ai lavori.
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