PH: i Matteo Bosonetto
La teoria della storia fatta di corsi e ricorsi può essere affascinante, applicata alla vita di tutti i giorni, quella fatta da singoli individui, mette l’accento che ogni persona affronti dei periodi, più o meno lunghi a seconda delle situazioni, nel quale il tempo è in rapporto con la felicità o con la sua ricerca.
“Almeno per ora”, oltre a essere il titolo dell’album degli Elephant Brain, può essere l’accettare un momento o addirittura prendere un determinato evento come punto di partenza per andare oltre.
La band perugina mischia in questo nuovo lavoro la classica rabbia del mondo rock con un senso sia di gratitudine, e allo stesso tempo paura, verso ciò che sarà o che è stato.
I giorni, le stagioni e gli anni passano e passeranno sempre, il come dipende dalle nostre scelte e da come reagiamo agli eventi stessi. Non esiste un calendario nella vita delle persone con fasi prestabilite, anche se il sistema in cui siamo inseriti cerca di mettere delle scadenze, ogni giorno, continuamente. creando confusione e frenesia. Ma il tempo ha una sua importanza e logica, bisogna quindi trovare il coraggio di difenderlo, accettando la sua fugacità.
Tanto. Non troppo, nel senso che poi ogni progetto artistico ha bisogno del suo tempo, soprattutto aggiungendo il fatto che nessuna canzone esce da casa nostra senza che riesca a mettere d’accordo cinque teste, ma sicuramente è stato un processo lungo, iniziato quasi due anni fa e finito quando eravamo soddisfatti del lavoro fatto.
Diventare adulti è un processo, che ha un inizio non ben definito e totalmente deciso dalle vicissitudini della vita e che probabilmente non finisce mai. Imparare a gestire la propria routine è un passo importante, e a questo punto rispondiamo ad una domanda con una domanda: come fate a gestire la vostra routine?
Viviamo in società frenetica, in cui ogni secondo sembra “importante” e non va sprecato. Noi ci siamo presi del tempo per riflettere sul qui e ora, su quel singolo secondo. Fermarsi a volte fa bene, fa guardare le cose con un’ottica diversa.
Sempre nostalgici, nel senso più innocente e antifascista del termine. Sempre brindare alla nostalgia, a tutto ciò che ci ha riempito il cuore, cambiato in qualche modo, e che ora non c’é più.
Forse non è tanto la vita ad imporre un certo nichilismo, quanto il contesto socio-culturale in cui ci troviamo a vivere. è un periodo storico evidentemente difficile ed è sotto gli occhi di tutti. Noi facciamo parte della prima generazione statisticamente più povera di quella dei propri genitori, viviamo in un mondo in cui l’odio verso il diverso non solo è tollerato, ma è a tratti anche incentivato, in cui degli stati si arrogano il diritto di espandere la loro invasione di altri e tutte le varie amenità che sentiamo quotidianamente. In questo contesto è difficile mantenere un’attitudine costruttiva. Ma per fortuna abbiamo alcuni collanti di comunità fondamentali, e tra questi c’è la musica. Non siamo soli, mai.
Imparare di per sé non é che per noi abbia un qualche particolare significato, o quanto meno non diverso da quello che si può leggere in un comune dizionario.
La cosa interessante probabilmente é cosa succede dopo aver imparato. Osservare come quanto appreso, una volta riproposto, possa venir contaminato, evoluto e mutato dalle diverse situazioni della vita.
Non credo che valga lo stesso discorso valido per la celebre “attesa del piacere”. L’aspettativa è una proiezione creata da noi per noi. Una stanza inizialmente vuota poi arredata dalle nostre paure e speranze. Un concetto principalmente astratto che dice molto su di noi, ma poco sul momento che si prefigge di rappresentare.
Che sia stata grande, piccola, lussuosa o più spartana, sicuramente era un luogo dove ci costringevano a dormire troppo presto. Ora vale lo stesso ragionamento, però ci costringiamo da soli causa lavoro/minime responsabilità. La riteniamo comunque una sana routine perché è proprio in questi momenti, quelli in cui cerchi il sonno forzato, che poi scatta qualcosa.
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