Mivergogno: “Happy è un mood, non una soluzione” | IndieTalks

PH: Ufficio Stampa

Mivergogno: “Happy è un mood, non una soluzione” | IndieTalks

La felicità è un qualcosa di cui è davvero difficile dare una definizione, soprattutto perché non esistono regole scritte per ottenerla o un posto dove si può comprarla. Usando il termine inglese Happy risulta  più semplice collegare la parola ad un idea.

MIVERGOGNO con il suo disco fa un qualcosa davvero indie, cioè canzoni tristi che esprimono gioia e viceversa, buttando fuori storie, emozioni e sentimenti senza filtri. Quello che succede è vero, vivo e molto intimo. Happy è una sensazione, un mood. Non un obiettivo, altrimenti tutto diventa più complicato.

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MIVERGOGNO X INDIE TALKS

Il nome Mivergogno è un po’ una provocazione a chi ha paura ad essere sempre se stesso?

In realtà Mivergogno nasce dal fatto che inizialmente mi vergognavo di cantare di fronte a qualcuno, poi il significato si è un po’ evoluto, non mi vergogno più di esibirmi ma mi vergogno un po’ di quello che scrivo, specie in “Happy” mi sono aperto quasi totalmente, come in una seduta di psicanalisi. Ho detto quello che prima avrei detto solo all’analista, probabilmente il filtro ironico rende tutto meno pesante.

Le persone spesso hanno paura di essere se stesse, quindi, più che una provocazione, potremmo fare che il mio nome è un invito “anch’io Mivergogno ma pazienza, voglio essere e cantare chi sono realmente, fallo anche tu!” Anche!

Si può essere Happy anche ascoltando canzoni indie tristi?

Ma sì dai, in fondo essere “Happy” significa accogliere la tristezza guardando a un domani di sole. 

Tra felici e contenti esiste una differenza?

Purtroppo sì, è un po’ l’argomento principale del mio album, posso essere contento grazie a un concerto andato bene, posso essere felice grazie a una carriera soddisfacente, la felicità è sicuramente qualcosa di più profondo e importante. Infatti, troppo spesso, ci si accontenta.

Farmaci e salute mentale. C’è un po’ d’ansia a tirare fuori questo tema?

Sì, infatti hai scritto “farmaci” e non “psicofarmaci” e mi rendo conto che anch’io quando ne parlo involontariamente preferisco utilizzare “farmaci”, è un tema delicato, chi ne soffre si sente in difetto, come se avesse quasi delle colpe. La società ci vuole “normali” quindi si tende a tenersi tutto dentro, sicuramente non esternare il malessere in maniera limpida è una delle caratteristiche della condizione patologica, ma sta di fatto che rimane ancora oggi un tabù, personalmente ci ho sempre convissuto e un po’ ho imparato a non farne più un segreto, sicuramente negli ultimi anni si sta sciogliendo questo nodo, ma c’è ancora tanto da fare.

Una chitarra rosa basta o serve altro in un piccolo monolocale?

Ah guarda, se hai LA chitarra rosa puoi vivere ovunque.

L’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re, però è importante seguire i propri desideri. Credi che dietro questo pensiero ci ha messo lo zampino il capitalismo?

Il capitalismo è un cazzo di tumore capace di creare metastasi ovunque, quindi bisogna sempre stare in guardia, per il resto posso dire che è importante seguire i propri desideri altrimenti non ha senso vivere, MA se seguire i propri desideri diventa un inseguirli e inevitabilmente sopravvivere, allora forse c’è di mezzo il gioco tossico del capitalismo.

Questo non vuol dire che al minimo sforzo bisogna mollare, vuol dire che se si rischia di perdere di vista il vero obiettivo, ovvero il bisogno e l’amore incondizionato di fare quella determinata cosa, allora lì sì che è un bel casino.

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Hai un mantra in cui credi?

No non ne ho uno, sono una persona molto impaziente e infantile.

La tua ultima follia che ti ha fatto ridere, ma anche riflettere sul senso della vita?

Sinceramente la mia vita è costellata di piccole follie, cose che faccio che in qualche modo escono dalla “normalita’ “, che quando poi le racconto effettivamente fanno ridere, però ogni volta mi riaprono gli occhi su quello che forse è il vero senso della vita, ovvero, fai sempre quello che realmente ti senti di fare senza pensare ai giudizi e a volte anche alle conseguenze, ovviamente senza invadere la libertà altrui.

Quello di Carlo Mazzone è stato un gesto rivoluzionario?

Ecco, Carletto in quel momento è stato se stesso e ha fatto quello che voleva senza pensare ai giudizi e alle conseguenze, più che rivoluzionario lo definirei un profondamente viscerale, liberatorio e soprattutto umano.