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Costanzo Del Pinto: “Si rinasce da se stessi” | Intervista

“L’Ultima Sigaretta” non è solo una canzone di Costanzo Del Pinto: è un addio che sa di rinascita, una ferita che diventa forza, un’emozione che resta!

Non è mai facile guardare al futuro, rimanendo legato dentro meccanismi nel passato, perché in quel caso si rimane bloccati e invece di andare avanti, si sta fermi bloccati nel ricordo e nella malinconia. Ci vuole molto coraggio però per rompere con ciò che ci trattiene, andando oltre, senza sapere neanche cosa potrà succedere.

Per Costanzo Del Pinto questo nuovo brano segna una svolta, umana e artistica che lo porterà a pubblicare un album, accettando una nuova direzione musicale, alla quale si sente più legato.

Tra luci soffuse, fumo e malinconia, le sue parole bruciano come verità dette troppo tardi ma ancora necessari. C’è sempre una speranza, che nasce ed è nascosta dentro noi stessi.

INTERVISTANDO COSTANZO DEL PINTO

Ogni tanto si ha paura di festeggiare i propri traguardi. Che valore ha questo tuo nuovo brano?

Questo brano per me è una specie di tregua. Vengo da un periodo in cui ho spinto così tanto che non mi sono mai davvero concesso di guardare cosa avevo costruito. Finire il disco mi ha svuotato e riempito allo stesso tempo, e questo pezzo è il modo più sincero che ho trovato per riconoscere il mio percorso. È un piccolo traguardo che però pesa tantissimo, perché segna il momento in cui smetto di nascondermi e mi rimetto davvero in gioco.

Che momento artistico stai vivendo?

Mi sento in una fase di passaggio. È come se avessi chiuso un capitolo molto lungo, fatto di bei traguardi, soddisfazioni, ma anche di tentativi e tanta autodeterminazione, e ora invece stessi costruendo una nuova identità. Ho finito un disco che racconta tutto questo, è un momento fragile ma bellissimo.

Concedersi dei vizi è una strana forma di piacere?

Sì, ma credo che i veri vizi siano quelli che ti riportano a te stesso. Non parlo delle fughe, ma dei piccoli rituali che ti ricordano che sei vivo: un caffè da solo, una camminata, un momento in cui ti concedi di spegnere il mondo. In un periodo come quello che ho vissuto, imparare a concedermi qualcosa senza sentirmi in colpa è diventato un vero lusso.

PH: Ufficio stampa

Esiste un modo per sopportare l’attesa?

L’attesa si sopporta solo se ci credi per davvero. Io ho imparato a viverla lavorando: scrivendo, sistemando, migliorando. Se aspetti e basta, l’attesa diventa una tortura. Se la riempi, diventa una preparazione. È un muscolo che alleni, non un vuoto da subire.

Resilienza è un termine che ti piace?

Non mi fa impazzire, perché ormai è diventata una parola un po’ da slogan. Però il concetto sì: ho dovuto resistere più volte di quanto avrei voluto, e spesso l’ho fatto da solo. La resilienza non è eroismo: è scegliere ogni giorno di non mollare anche quando sarebbe più facile farlo.

PH: Ufficio Stampa

C’è un’ultima volta alla quale sei rimasto affezionato?

Sì, l’ultima volta che ho chiuso la porta dello studio dopo aver finito il disco. Era di sera, ero stanco morto, ma ho sentito come se avessi attraversato qualcosa di enorme. Quando ci penso, rivivo quella sensazione nello stesso modo.

Perché l’addio è associato spesso ad una rinuncia e non ad una possibilità?”

Perché fa paura. Dire addio significa lasciare andare qualcosa che conosci, anche se non ti fa più bene. Ma in realtà ogni addio contiene un inizio: lo capisci solo dopo. Nel mio caso, ho dovuto dire addio a tante aspettative, a persone, a modi di lavorare e tutte quelle rinunce, col tempo,sono diventate la mia possibilità di rinascere artisticamente.

Nicolò Granone

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