New Indie Italia Music Week #252
“Non rispondo ai numeri italiani sullo schermo. Non posso tornare da voi, mi spaventa
Essere me stessa laggiù è una violenza. Io voglio baciarla senza avere fretta
New York mi abbandona, ma almeno mi accetta. Eppure mi distrugge stare qui
Lo so, dovrei soltanto chiedermi. Perché finisco sempre così”
(Little Rat – Birthh)
Ci sono canzoni che sembrano scritte sul vetro appannato di un treno che non sai se vuoi davvero prendere. Parlano di fughe improvvisate verso città che ti promettono libertà e poi ti spezzano, di ritorni che fanno più paura della partenza, di identità che si piegano sotto il giudizio degli altri. Raccontano notti in cui ti nascondi nei neon lontani solo per respirare, mattine in cui accetti di essere fragile, e amori che chiedono tempo quando tu, il tempo, non sai mai dove metterlo.
Eppure, dentro quelle stesse crepe, c’è sempre un filo di luce. Una frase che ti sorprende, un accordo che apre un varco, un ritornello che ti rimette in piedi anche solo di un centimetro. Perché la malinconia dell’Indie non è mai abisso puro: è un modo per capire da dove ripartire.
CEMENTO
“Ti tengo nella testa e occupo le labbra con un’altra sigaretta”. È un autoincoraggiamento mascherato da supplica all’altra persona, forse un cammino verso l’accettazione della fine. Mentre si continua a lottare, chissà, forse per dovere di coscienza, per un amore che amore non è più.
LeUltimeParoleFamose stavolta è senza enfasi, né dolce né arrabbiata, ma di una asetticità chirurgica. E forse non c’era altro modo per narrare il blocco, quella discesa che sembra un tasto pausa. “Dimmi quanto tempo serve” è la domanda che riassume tutto, e che resta. Come tutto il brano, che col suo ritmo e la sua voce nuda dovrebbe spogliare noi davanti alla realtà, qualora ci trovassimo ad affrontare una situazione simile.
(Stefano Giannetti)
LeUltimeParoleFamose: 8
Torino
Una notte umida, di quelle che scoraggiano. Dove Torino sembra troppo grande per combatterci dentro. O troppo piccola, come certi vicoli che incrociano le vie principali, per contenere quello che vorremmo tirar fuori. L’urban-rock di “Torino” è un grido che s’innalza mentre il gelo della notte, delle notti della vita, appesantisce le spalle. È un darsi forza tra anime perse, che scrivono sui muri, lasciano segni nell’ambiente all’apparenza ostile in cui vivono, ma pur sempre il loro mondo, casa e campo di battaglia. Dove solo gli strumenti come armi, le voci che urlano e lo stare insieme può far arrivare ogni volta a vedere l’alba. Ruvido e puro al tempo stesso.
(Stefano Giannetti)
Senza Coloranti Aggiunti: 8
Claymore +15
“Ci toccherà ingoiare il mondo come un medicinale”. Perché lottare a volte sembra impossibile. Il nemico appare imbattibile, come uno di quelli in Dark Souls. Più facile arrendersi che riprovarci con una Claymore portata a +15. Il rock del brano sembra disperato ma non lo è. Parla della disperazione ma vuole curarla. È un inno alla vita. Non quella dove tutto prima o poi va per il meglio, ma quella dove ci salva solo la connessione tra noi. Solo il voler salvare qualcuno, o avere qualcuno che ci salva. Claymore +15 parla di cicatrici, di ferite ancora aperte e fa l’elogio di chi le porta. Ed è la forma di amore più grande. È di presa facile, Claymore +15. Ti strappa il cuore e ti fa prendere il cellulare e chiamare qualcuno a cui non chiedi da un po’ come sta.
(Stefano Giannetti)
Candra: 8,5
ATTORI ATTRICI FEROCI MOTORI
Un brano di denuncia che gioca con i codici del pop per raccontare, con ironia e lucidità, le contraddizioni della contemporaneità. Al centro del singolo c’è il “magnifico big boy”, figura-tipo odierna: sempre in movimento, sempre in mostra, continuamente diviso tra aperitivi, circoli e sport di branco. Un personaggio iperattivo e scintillante, perfetto simbolo di una società costruita sull’apparenza. KARAKAZ lo provoca, lo punzecchia, ne sottolinea i punti più fragili, facendone un ritratto ironico e feroce.
Tutto questo si muove su un ritmo volutamente pop, leggero e dal tono beffardo: una satira musicale che colpisce anche una certa estetica patinata delle nuove popstar. Ma dietro l’ironia c’è anche uno sguardo rivolto verso sé: KARAKAZ si mette in gioco in prima persona, oscillando tra carnefice e vittima, schiavista e schiavo, problema e cura.
Il brano diventa così un confronto continuo tra due parti della stessa anima, tra chi scatena il conflitto e chi cerca di contenerlo, tra corpo e intelletto. Un equilibrio instabile che attraversa da sempre la sua ricerca artistica e che qui trova una delle sue espressioni più nude e affilate.
Karakaz: 7
Ritmo Lento
Fermarsi per capire e diventare qualcos’altro. Rallentare per ascoltare. Da qui nasce “Ritmo Lento”, un polmone sonore diviso in due parti: sei brani impetuosi, sei brani sospesi, che raccontano la doppia natura dei Leatherette, viscerale e fragile, brutale e sognante. L’album rompe con il punk degli esordi, abbraccia il caos creativo, accetta le lentezze e oscilla tra rock elettrico, jazz spettrale e psichedelia lo-fi.
La scrittura sembra semplice, ma apre stanze segrete, i testi tutti in inglese contengono frasi ripetute come mantra ed immagini criptiche. Il disco si apre con una confessione: “I saw things I can’t describe, you saw me see them.” È un brano che parla di visioni, forse mistiche, forse mentali e della fragilità di non essere creduti. Nell’album il mondo è un posto strano, ingestibile e spesso non resta che chiedere scusa, a sé stessi e agli altri, inoltre i Leatherette affrontano anche l’incapacità di amare e la crisi d’ansia contemporanea. La lentezza del disco diventa una forma di ribellione, il punk non è solo distorsione, è anche libertà e tutti dobbiamo avere il coraggio di cambiare pelle.
(Benedetta Rubini)
Leatherette: 8,5
Sancu
Nico Arezzo ritorna con un singolo che vibra di urgenza primordiale, è una pulsazione, una dichiarazione d’identità. La canzone è costruita come un rituale, una danza che sembra provenire da molto lontano, le percussioni sono ruvide, l’elettronica minimale e la sua voce è rituale, più carnale che melodica. È una fusione magnetica dove la tradizione musicale siciliana incontra l’Est e così nasce un linguaggio nuovo, creando una musica da battito.
Il tema centrale è già espresso nel titolo: “sancu”, ovvero il sangue, l’artista lo descrive come il sangue in tutte le sue forme, come un animale che respira.
Le due persone protagoniste della storia si cercano, si sfiorano ma poi si respingono, come se il contatto fosse di troppo; il sangue diventa simbolo di ciò che ci rende vivi, di ciò che ci fa rischiare e di ciò che non possiamo negare. Grazie anche alla voce di Nico Arezzo più diretta e graffiante, ascoltando “Sancu”, abbiamo la sensazione di partecipare davvero ad un rituale, come se anche noi stessimo danzando nella polvere.
(Benedetta Rubini)
Nico Arezzo: 8
Come ortiche nel cemento
Ceneri aggiunge un nuovo capitolo, trasformando la propria vulnerabilità in piccoli sussurri e crepe che bucano il selciato.
Questo EP è insieme un diario, una confessione e un campo minato: un luogo dove l’emotività cresce come una piante capace di attecchire nel cemento di una città che la accoglie ma al tempo stesso la soffoca. Musicalmente si muove tra elettronica morbida, synth, pianoforte e incastri vocali, rimandando all’alt-pop iberico. L’immagine delle ortiche nel cemento racconta perfettamente il conflitto che attraversa tutto l’EP: la fragilità che si scontra con le pressioni sociali, la natura che si contrappone alla città.
“Nata di nascosto tra l’erba alta…che cosa ci faccio in un posto che non ha bisogno di me?” Qui esplode il tema centrale: sentirsi fuori luogo, la città non ha bisogno di lei, la natura sì.
Questo EP ci vuole dire che non c’è niente di sbagliato nell’essere delicati, perché possiamo tutti fiorire anche tra l’asfalto.
(Benedetta Rubini)
Ceneri: 7,5
Giorno No
Con “Giorno No” Yof anticipa l’EP “Philia”, facendoci ascoltare un autotritratto scritto nei giorni no, quelli in cui tutto sembra andare storto. Il punto di forza del brano sta nel suo sguardo, non si lamenta, semplicemente descrive quei momenti in cui anche le piccole cose pesano, in cui la bussola emotiva perde il nord. La frase chiave “ogni vita va, anche dopo un giorno no”, è una specie di piccolo mantra, non vuole risolvere niente, ma ci vuole suggerire di fare almeno un piccolo passo avanti. Musicalmente si forma un equilibrio tra un morbido groove R&B e un accenno di ritmica latina, dove predominano linee melodiche semplici. È un brano intimo, diretto e vulnerabile, fotografa un’emozione che tutti conosciamo.
(Benedetta Rubini)
Yof: 7
BLUFF (Album)
Di canzoni d’amore è pieno il mondo. Eppure De Relitti riesce a costruire un disco che parla d’amore senza mai nominarlo davvero. BLUFF è un album quasi accademico, in cui l’artista frammenta il sentimento nelle sue parti più scomode e profondamente umane. Un tema abusato, che qui diventa quasi irritante: un percorso lucido e disturbante dentro emozioni che, per una volta, non cercano di essere addolcite. Il sound è minuzioso senza arroganza, in equilibrio costante tra tensione e sottrazione: chitarre che graffiano e poi si ritirano, spazi vuoti tenuti insieme solo dalla voce.
La scrittura conserva la sua ironia tagliente, quella malinconia laterale fatta di disillusione e nostalgia, mostrando però una maturità capace di evitare ogni prevedibilità. De Relitti firma un album sofisticato ma privo di compiacimento, non adatto al mercato di oggi, ma forse anche per questo magnetico, capace di stregarti ad ogni ascolto e scavarti nell’anima silenziosamente BLUFF affronta uno dei temi più inflazionati della musica, ma per farlo sceglie la strada meno accattivante e più brutalmente sincera che si possa immaginare.
(Serena Gerli)
8,5
Chemmifai
“Chemmifai” cattura subito con la sua spontaneità: un brano che nasce dall’istinto e si trasforma in un dialogo a due voci, dove attrazione e distanza si rincorrono senza trovare mai un punto di equilibrio. Il testo racconta un amore giovane vissuto a cuore aperto, fatto di gesti, notti lunghe e silenzi che parlano più delle parole. Il pop si mescola all’indie rock in un ritmo uptempo che sostiene la conversazione tra le due voci, lasciando respirare il testo senza mai appesantire. Chitarre incisive e spazi sonori calibrati restituiscono le contraddizioni del sentimento: il desiderio che spinge avanti, la ragione che trattiene, la leggerezza che coesiste con il caos.
“Chemmifai” è uno specchio generazionale: racconta un amore immediato e imperfetto, fatto di emozioni forti e contrasti, con una scrittura sincera che rende tangibile ciò che spesso resta invisibile. Tommy Indaco e daria huber trasformano un momento comune in un piccolo racconto musicale in cui molti possono riconoscersi.
(Serena Gerli)
Daria Huber e Tommy Indaco:8
Via lattea
“Via lattea” prodotta da MACE, rappresenta un posto lontano, quasi perfetto, quasi magico. L’eroina di Centomilacarie è l’incarnazione di una netta dicotomia, un po’ forte e invincibile, un po’ fragile e confusa dal suo stesso mondo: mondo in cui l’amore è imperfetto, complicato, caotico. I suoi poteri le permettono di librarsi nell’aria, di volare con leggerezza tra le nuvole, di sentirsi invincibile. Allo stesso tempo è in grado di provare i più puri sentimenti umani: la paura legata all’amore, la vergogna che indossa come un vestito, la voglia di scappare da tutti e tutto, perché incompresa e avvolta da un mistero che non è pronta a rivelare.
L’amore è qualcosa che sembra troppo anche per chi ha poteri ben più grandi, è un qualcosa che spaventa perché costringe a mostrarsi davvero, senza mantelli né superpoteri. Ed è proprio lì, in quella vulnerabilità nascosta, che il brano trova tutta la sua verità.
(Sara Vaccaro)
Centomilacarie: 8,5
Serpentine
Una chitarra leggermente scordata e una grande voglia di raccontarsi: “questo testo ha dato forma a pensieri e immagini che riecheggiavano nella mia quotidianità”, racconta l’artista, “qualcosa che si avvolge e contorce su se stesso”. “Serpentine” nasce dall’incontro tra Generic Animal, Devin Yü e Fight Pausa, tre sensibilità artistiche che si intrecciano dando vita a un’atmosfera sospesa, quasi magica, in cui a parlare sono i ricordi e le speranze che navigano nella mente come una barchetta di carta. Le loro voci e gli arrangiamenti dialogano tra loro come fossero parte di un’unica immagine, fluida e in continuo movimento. Un viaggio bellissimo, che per un po’ si assesterà; “questa sarà l’ultima canzone per un po’” ci annuncia l’artista: un avviso di godersi a pieno queste emozioni e questa leggerezza, prima di voltare pagina.
(Sara Vaccaro)
Generic Animal: 7,5
Sentire
Due anime pure che si incontrano sulla stessa traccia: Venerus e Angelina Mango sembrano fatti per raccontarsi insieme. “Sentire” è una collaborazione emotivamente intensa, ma allo stesso tempo colpisce per la sua semplicità, per il suo modo di arrivare al pubblico nella maniera più pura e cristallina. Le emozioni sono raccontate con la naturalezza di chi le prova in prima persona, con immagini quotidiane: un caffè, un graffio, una finestra da aprire. La sensazione di non sentirsi né speciali né immortali: un invito ad accettarci per la nostra semplice umanità.
(Sara Vaccaro)
Venerus, Angelina Mango: 8
Tutto è inutile
I Narcadian sputano addosso al presente tutta la loro disillusione, senza filtri né tregua: “Tutto è inutile”, il loro nuovo singolo è irruento e non chiede permesso. La band riminese porta avanti il proprio manifesto: niente ammiccamenti, niente leggerezza consolatoria. Solo un alternative rock contaminato da industrial e big beat, che rosicchia i bordi dell’alienazione contemporanea.
Il brano è un grido per tutti quelli che non vogliono arrendersi, che cercano di recuperare le forze anche quando tutto sembra perduto, un lampo di resistenza nel bel mezzo del nichilismo. I Narcadian si scagliano contro l’ennesimo crollo di senso dentro un mondo di idoli-spazzatura e sovrastimolazione.
(Ilaria Rapa)
Narcadian: 7,5
non sapevo cosa dire
La confidenza è una possibilità tra il non detto e la sincerità. La paura invece è qualcosa di arcaico che da bambini si sfida volentieri inconsapevolmente, mentre da adulti diventa una scelta con la quale confrontarsi. In una relazione si sceglie di rimettersi in gioco e di affrontare tutto quello che succederà insieme, andando incontro aspettative e progetti vari. Le insicurezze di uno possono mettere in dubbio le sicurezze dell’altro e viceversa.
Schianta descrive l’uscita di questo brano con l’idea di necessario, come uno sfogo per mettersi a nudo davanti agli altri, riuscendo a raggiungere la consapevolezza artistica per mostrarsi con il proprio stile e sentirsi meno solo. Con questa canzone ha saputo dire quello che sentiva, dimostrando che in certe situazioni è più facile capire quello che succede, piuttosto che pensare a cosa si dovrebbe fare.
(Nicolò Granone)
Schianta: 8,5
Arrivo
L’arrivo è l’attesa di un momento migliore, nel quale sentirsi al sicuro anche in un posto nuovo.
Il brano, dalle sonorità alternative nu soul con forti sfumature cantautorali, si sviluppa come un rito: la voce, inizialmente fragile in primo piano, si intreccia passo dopo passo a pianoforte e sassofono, trasformando una struttura all’apparenza tradizionale in un arrangiamento moderno.
La strada percorsa conduce verso nuovi scenari che si possono scoprire pian piano, metafora di una vita che si può aprire a nuovi scenari, se si ha la forza di affidarsi alla speranza e scegliere di andare avanti, nonostante tutto. Bellezza chiama bellezza e così, il futuro diventa la realtà del domani.
(Nicolò Granone)
Livrea: 7,5
Emisfero
Ogni coppia funziona solamente quando riesce a creare un modo unico che nasce dalla fusione dei due pianeti. Presi singolarmente le persone hanno pregi e difetti, se devono entrare in una relazione mantengono il loro carattere con anche i punti oscuri, però fanno lo sforzo di trovare compromessi e una stabilità che può generare passione e amore.
Lucia ha scritto questo brano da dedicare al suo futuro marito con tutta la felicità di un sentimento che arriva ad esaltare la bellezza della condivisione, una canzone che si sconta dalle dinamiche di sofferenza e malessere che spesso emergono da quei brani che nascono non all’inizio o durante una storia, ma alla fine quando giunge il momento di raccogliere i cocci e provare a ricostruirsi altrove.
(Nicolò Granone)
Lucia: 7,5
occhi depressi
“Lo condivido nella speranza che possa aiutare qualcuno.
Nel caso contrario, lo condivido nella speranza che possa continuare ad aiutare me.”
Così Dollsaway racconta il suo EP occhi depressi, un progetto che parla di periodi bui che arrivano, vanno via e poi ritornano, il tutto in un grande ciclo della vita. Porta sul palco una sensibilità che deriva dall’esperienza, modificata da quello che è stato e dalle aspettative che hanno l’etichetta di futuro.
Alla fine tutto andrà bene è l’invito ad andare avanti, anche quando il mondo sembra avere uno sguardo soffocante su di noi e continua a fissarci con sospetto, provando anche a ingannarci.
Nell’ultima traccia Limbo, l’artista prova a razionalizzare il dolore, precisando che nulla è specifico di uno spazio o di una sensazione. Esistono imperfezioni da esaltare e momenti di gioia da dimenticare in fretta. Una chiusura teatrale, che sposta l’attenzione sul fatto che ogni persona è protagonista della sua storia, deve scegliere che vestiti indossare e quali regalare agli altri.
(Nicolò Granone)