Categories: New Music Friday

New Indie Italia Music Week #253

“You’re no one, going nowhere
We’re all nothing in the end
We’re weightless, floating endlessly
We’ll be dust again in the end”

(Depeche Mode – In the end)

La nuova musica arriva come un soffio inebriante. Canzoni nate da stanze minuscole, da pensieri che forse non hanno un posto preciso nel mondo. Sembrano gocce destinate a disperdersi, perse in un cielo troppo grande. Eppure, proprio per questo, attirano fino a confluire del mare dei brani che ci mettono l’anima in subbuglio.

Quando ascoltiamo la musica che ci piace, il peso delle cose scompare e restano solo le sensazioni: una voce che si spegne, un synth che galleggia, chitarre che non vogliono toccare terra. Musica che accetta l’incertezza, la fragilità, l’idea di essere un attimo appena, destinato a evaporare.

Scopri le migliori uscite indie della settimana con le recensioni della redaz!

Facciamo a Metà

Con questo singolo si chiude il cerchio di “L’amore è tutto”, completando un percorso narrativo lungo tre anni. È una piccola dichiarazione d’amore che sceglie la via della delicatezza, l’amore è un’equazione imperfetta: i dolori si dividono, le gioie si moltiplicano.

Il testo è un inventario autoironico e tenero di ciò che siamo e ciò che non saremo mai, il ritornello è centrale: “Non so cos’è la felicità, ma se vuoi facciamo a metà.” Una frase semplice, immediata, ma potentissima, la felicità non è garantita, ma può essere divisa. Musicalmente abbiamo un arrangiamento fresco, ritmiche leggere e una struttura che invita all’ascolto collettivo.
“Facciamo a metà” non pretende di spaccare il mondo, ma riesce a parlare d’amore senza risultare banale, è una canzone che sta benissimo nel loro progetto musicale e chiude il cerchio con con fuochi d’artificio, ma con un abbraccio.

(Benedetta Rubini)

Eugenio in Via di Gioia: 8,5

Memorie di un Uomo Qualunque

La canzone segna l’incontro tra due sensibilità diverse, la scrittura chirurgica e letteraria di Gianluca De Rubentis e il tocco riconoscibile di Morgan. Il risultato è un brano che non grida, ma si insinua lentamente, facendoci attraversare le diverse stagioni dell’esistenza. L’infanzia che immagina il futuro, la maturità che fa i conti con il presente e la vecchiaia che guarda al passato, le età sono qui come vene comunicanti, strade che si intrecciano in un’unica mappa emotiva.

L’elemento centrale del brano è la carezza, che appare come un gesto universale, è fragile ma è l’unico gesto che può davvero attraversare le nostre zone d’ombra.
La lentezza viene preferita alla velocità, le armonie sono morbide e gli strumenti musicali non competono tra loro, ma costruiscono un’armonia.
Il brano riesce a parlare a tutti: è la storia di un uomo, ma è anche la storia di tutti noi, il qualunque infatti indica l’umanità.

(Benedetta Rubini)

Gianluca De Rubentis feat. Morgan : 8

Due Porte/Due Chiavi

Un brano intimo e simbolico, dove elettronica rarefatta e cantautorato emotivo si mescolano, creando una sonorità sospesa e delicata. Si scava nel modo in cui due persone imparano lentamente a riconoscerci, c’è una danza continua tra distanza e vicinanza, tra desiderio di fondersi e paura di mostrarsi vulnerabili. L’immagine centrale è potentissima: “ Siamo due porte che si sono dare rispettivamente le chiavi della propria serratura.” É un’immagine di apertura e di fiducia reciproca, Carnazza descrive l’amore come un luogo di transito, dove le due persone devono trovare il coraggio di usare quelle chiavi, per conoscersi veramente.

Tutti noi viviamo questo tipo di amore, un cammino che passa attraverso ombre, riflessi e paure, che ci fa sentire vulnerabili. Forse è proprio questo il punto di forza: l’ammissione di questa fragilità condivisa, infatti amare significa esporsi, attendere e aprire la porta quando si è pronti.

(Benedetta Rubini)

Carnazza:8

Undici

Di nuovo onirica, quasi da film. Forse stavolta la malinconia la tiene più a terra, mentre osserva la vita e ne disquisisce dal finestrino di un mezzo pubblico. E il divario tra realtà e immaginazione, rispetto a Fantasmi, si fa più netto e pare venir messo in chiaro da subito (“Non ho mai creduto in Dio ma mi piacciono le chiese”). Per il resto Marta gioca con le piccole cose e ci fa un mix di analisi e voli pindarici (che poi non è il connubio che forma la sostanza della mente umana?), e con una melodia ad accompagnare e a vestire la sua voce scandaglia un rapporto difficile con una persona e coi luoghi d’appartenenza. Parla di un tempo passato ma in un tempo sospeso. Come lo sembra quello tra una fermata e l’altra di un autobus di linea.

(Stefano Giannetti)

Marta Guidoboni: 8,5

Tuttelesere

Un pop trascinante, un ritornello intenso. Che si fa risentire in loop mentre si guida o a letto. Tuttelesere è il resoconto di una rottura, anche se solo nell’intimo, come ci evidenzia il deliziosamente colloquiale “e se magari ci pensi mai, perché magari non ci pensi mai, alle cose che hai perso che se non mi trovi tu cercami lì in mezzo”. Ci siamo trovati tutti così. A desiderare di buttare altra rabbia addosso all’ex, all’ammettere o meno di voler solo tornare tra le sue braccia e vedere cosa succede. Sperare in cosa succede. Consci che, banale ma intramontabile verità, è sbagliato anche solo mandargli/le un messaggio. Così le grida restano solo interiori, e quelle di Martina si fanno nostre.

(Stefano Giannetti)

Martina Grillo: 7,5

Astronave

“Astronave” è il nuovo singolo con cui Ottobre apre un varco tutto suo nel cielo come fa il mese che porta il suo nome: un tempo di transizione, di verità che affiorano, di cicli in continuo movimento. Sonorità cupe ma intimamente umane fanno da sfondo a questo nuovo tassello artistico che contribuisce a rendere maggiormente identitario l’orizzonte entro il quale la cantautrice si muove. Vi è un’inclinazione cantautorale che abbraccia a più riprese la sfera pop-metal che la contraddistingue permettendo la creazione di continue scariche elettriche. Il ritornello sporco fa da perimetro a quel territorio liminale tra esplosione e ritiro. L’artista non cerca giustificazioni, né chiede permessi per poter entrare – anzi, preferisce volare all’interno della sua astronave dove riesce a isolarsi e a salvarsi contemporaneamente.

(Mariangela Caputo)

Ottobre: 7

Voce

La voce calibrata e sospesa dell’artista accompagna questo nuovo pezzo intitolato “Voce” dove si rincorrono note delicate e insieme vibranti capaci di raccontare il suo viaggio emotivo fatto di luci, ombre, momenti di estrema consapevolezza. La sua scrittura incisiva dimostra una sensibilità particolarmente umana: non si seguono mode né scorciatoie; il brano resta autentico allontanandosi dalla categoria di canzoni usa e getta. Studia canto e suona il piano sin da giovanissima, plus che le permette di potenziare al massimo il suo rapporto con la musica. Mada appare, oggi, un artista emergente del panorama pop contemporaneo capace di reinventarsi continuamente parlando in maniera semplice ed evocativa di tutto quello che vive e che incontra lungo la sua strada.

(Mariangela Caputo)

Mada: 7,5

Vespro: Carne/Demonio

Terrena, spirituale e a tratti demoniaca, Jungle Julia si presenta al mondo senza particolari fronzoli né estetiche patinate ma solo ed esclusivamente con quello che è il suo marchio di fabbrica: una voce che proviene da multiversi immaginifici fatti di pelle, silenzi, battiti accelerati. Con “Vespro”, primo dei tre episodi che anticipa il suo disco d’esordio previsto per il prossimo anno, l’artista riesce a captare quel desiderio narrativo autentico che gira intorno al suo progetto. “Vespro” richiama quella particolare ora del giorno dedita alla recita delle preghiere che lentamente si distribuiscono nel buio della sera appena calata. Ed è in quel momento esatto che nasce il concept di questo primo capitolo composto da due canzoni: “Carne” e “Demonio”” afferma l’artista. Il primo esplode di urgenza fisica; il suo pulsare ci ricorda quanto il corpo è elemento facilmente infiammabile, la seconda track invece è l’altra faccia della medaglia: vi è autosabotaggio e voglia di silenzio sparato ad aria compressa. E’ un pop un po’ ruvido, irregolare intrappolato in un pulviscolo sonoro che non attende altro che la notte.

(Mariangela Caputo)

Jungle Julia: 8

Il Primo Grande Disco di Lumiero

Il Primo Grande Disco di Lumiero non è soltanto un esordio: è un biglietto scritto a mano, una confessione lasciata sul comodino della città, un diario musicale che trasforma Milano e la sua periferia in un teatro sentimentale dove ogni emozione trova una scena tutta per sé. Lumiero arriva con passo elegante ma deciso, portando con sé la malinconia degli amori che sfuggono tra le dita e l’ironia di chi ha imparato a riderci sopra senza smettere di crederci. Prodotto da Marquis, il disco si muove come una collana di piccole cartoline poetiche, ognuna con un suo odore, un suo colore, una sua temperatura emotiva. È un viaggio dentro l’amore in tutte le sue posture: quelle scomposte dei flirt improvvisati, quelle tese dei desideri che non si confessano, quelle stanche ma forti di chi trova il coraggio di dire basta. Lumiero non punta mai a idealizzare il romanticismo; lo guarda invece nella sua verità quotidiana, lì dove brillano gli errori, le esitazioni, le promesse che a volte fanno più male che bene.

Nelle sue canzoni convivono la chanson, la tradizione cantautorale italiana e un’esotica che profuma di valzer notturni e di teatri di periferia. La Barona diventa un microcosmo di sguardi, di passi lenti, di strade che trattengono i segreti degli amanti. Le sue notti estive, calde e fragili, fanno da cornice a storie che sembrano piccole ma che, nel modo in cui vengono raccontate, diventano universali. Ogni brano è una scheggia di vita. La Tua Amica Più Cara apre come una lettera non spedita, Non Sono Tua prende il coraggio tra i denti, mentre Un Letto Per Tre gioca con l’irriverenza delle relazioni in bilico. Semi Nel Vento e Io Sono Il Vento portano invece un respiro più ampio, quasi naturale, come se l’amore potesse germogliare anche nelle crepe del cemento. In Corteggiamento Lento la dolcezza si mescola alla tensione, Impermeabile parla delle tempeste da attraversare, e Come Fossi Estate chiude il disco come un ricordo che scalda anche quando non c’è più.

Lumiero osserva il cuore umano come un casinò emotivo in cui si punta tutto ogni volta, sapendo che si può perdere, sapendo che si può vincere, ma soprattutto sapendo che non giocare non è mai un’opzione. L’amore, nelle sue mani, è un rischio poetico: un seme che sogna di diventare foresta, un gesto minuscolo che cambia la traiettoria di un giorno intero, una danza che segue leggi misteriose e inevitabili.

E quando arriva la fine, perché in ogni disco d’amore, da qualche parte, c’è sempre una fine; ciò che resta non è il vuoto, ma la nostalgia luminosa di un’estate che guariva tutto. È da lì che nasce la speranza, quella che ricomincia silenziosa e infinita, come una canzone che non smette di cercare chi la ascolterà davvero.
Con questo album, Lumiero firma un debutto che sa di libertà, di storie vissute, di desideri che bruciano piano. Un disco che accompagna, che consola, che sorride. Un disco che, come l’amore, non finisce mai del tutto: cambia forma, torna, si rinnova. E continua a battere.

(Viola Santoro)

Lumiero: 8

7 Minuti

Godersi il momento sembra essere diventato un vizio in un mondo dove la frenesia condiziona ogni istante e tutto passa e va oltre. L’attesa diventa qualcosa d’insostenibile, nutrendo una forma d’aspettativa che pretende, senza dare nulla in cambio.

7 minuti bastano per auto sabotarsi e dare sfogo a tutti quei pensieri che parlano di guerre interiori e giudizi scomodo che nascono dalle parole peggiori che abbiamo in testa. Si cerca di fuggire dalla felicità per la paura che tutto prima o poi finisce, ci si spaventa dell’intimità condivisa nel quale l’io si trasforma nel noi. Kuzu, montag, wism creano un flusso di coscienza intriso di tutte le fragilità dell’uomo, protagonista di un tempo con la fretta di vivere e l’ansia di non essere in grado.

(Nicolò Granone)

Kuzu, montag, wism: 7,5

Piangere

Piangere è un verbo che indica il dolore, la rabbia e la tristezza. Nella nostra società ci sono dei preconcetti che regolano i giudizi, ogni tanto però è giusto anche prendere il tutto e ribaltarlo. Questo brano dei Gin Sonic  stravolge le regole nel gioco della contrapposizione, cantando una filastrocca che può essere un lamento felicissimo. Una canzone da ballare seguendo il ritmo della vita, e pazienza se poi sono tutti cavoli… tuoi!

Non esiste un segreto o una regola da applicare giorno per giorno, tutto può cambiare. Accettarlo è un modo per crescere, senza però essere obbligati a quella spensieratezza tipica dei bambini, che spesso non sanno bene il perché delle cose che fanno, riuscendo però ad agire senza essere spaventati dalle conseguenze.

(Nicolò Granone)

Gin Sonic: 7

Ricordi

Capita di ricordare la fine, l’ultimo bacio o quell’istante passato insieme, senza razionalizzare tutto quello che c’è stato prima.  I pro e i contro sono una lista di valori messi in discussione nel momento stesso del bilancio, ma il tempo da più importanza alle sensazioni più recenti.

E quando si vivono tempi incerti si chiudono gli occhi, ripesando al passato, isolandosi dal mondo in maniera disinteressata, entrando in un letargo emotivo dove l’ombra entra dentro, divorando ogni frammento di luce. Viene da chiedersi dove va a finire tutto il bene che ci siamo dati, rispondendo è che è più facile rimanere legati al dolore, nonostante faccia male.

(Nicolò Granone)

Atlante: 7,5

MI MANIFESTO (Album)

MI MANIFESTO non è semplicemente un album: è una porta socchiusa, un invito gentile e spiazzante a entrare nel mondo interiore di Pan Dan, a patto di farlo scalzi, senza difese, senza pretese. La scelta di pubblicarlo solo su Bandcamp, un gesto controcorrente, quasi militante; racconta già molto: qui l’arte torna ad essere un luogo sacro, fragile e potente, dove il rapporto tra artista e ascoltatore è diretto, pulito, privo di mediazioni. È un manifesto, sì, ma scritto con l’inchiostro della sincerità e dell’appartenenza. Cotto a fuoco lento, “praticamente su un fiammifero”, come dice lei, MI MANIFESTO è un disco che ha il ritmo della vita reale: procede a scatti, improvvise accensioni, pause che sembrano silenzi ma in realtà sono respiri. Non corre per arrivare, si lascia accadere. Ogni traccia è un piccolo atto quotidiano che Pan Dan trasforma in racconto, un gesto banale che diventa rivelazione, un’espressione del suo modo unico di stare al mondo. È come se ti dicesse: “Se entri, preparati. Non è un posto neutro. Può spaventarti o può cambiarti.”

La sua voce danza tra ironia e vulnerabilità, tra lo schiaffo e la carezza. Nei brani c’è l’imprevedibilità delle emozioni autentiche, quelle che non chiedono permesso. Il tempo qui non è un contenitore, ma un elemento vivo, che pulsa e si modella attorno alle parole. È il tempo preciso in cui “succedono le cose”, quel frammento in cui la verità si manifesta senza avvertire.
Ascoltare MI MANIFESTO significa accettare di essere spettatori e partecipanti allo stesso tempo. È un disco che non ti accompagna: ti sfida. Ti sbatte addosso un treno di parole, di immagini, di intuizioni. Ma se resti, se davvero entri; ti ritrovi in un’intimità rara, quella che non ha bisogno di essere spiegata. Pan Dan ti lascia lì, con le scarpe in mano e il cuore un po’ più scoperto, dentro un mondo che forse non è per tutti, ma per chi ci resta diventa immediatamente casa.

(Viola santoro)

Pan Dan: 7,5

Lupo

L’oscurità la troviamo fuori come dentro. Un bosco di notte non è più oscuro di un’anima, così ce lo spiega Chiello, con una base sporca e incalzante, ma al tempo stesso dotata di un potere evocativo che ci trasporta nel più spaventoso scenario dell’orrore. Non esistono più confini: odio e amore si intrecciano, così come la natura umana e quella mostruosa, l’interiorità feroce dell’uomo e il mondo esterno che, impotente, l’accoglie. Non c’è respiro, e se in parte proviamo solo un profondo senso di rimorso di fronte alle nostre azioni più crude e irrazionali, dall’altra non possiamo fare altro che accettare la nostra indole più oscura. In fondo, l’uomo non è così superiore ad un animale. Non è così diverso da un lupo.

(Sara Vaccaro)

Chiello: 8

Nessuna (EP)

Una raccolta dolce, delicata, sospesa tra ciò che è reale e ciò che si può fantasticare. Sette canzoni presentate come sette capitoli, ognuno dei quali ci racconta un pezzo di storia dell’artista, una parte della propria interiorità e dei propri sentimenti. Altea è sempre delicata nel parlare a chi l’ascolta: il progetto è un viaggio che culla dolcemente con la sua musicalità eterea e la sua voce sensibile, ma allo stesso tempo mette i brividi per l’intensità dei testi, per l’emozione che suscita parlando semplicemente di vita vera. Una sensibilità fuori dal comune, un desiderio incessante di condivisione della propria anima, nella speranza di trovarne di altre affini pronte a partecipare insieme ad un’esperienza così intima e personale.
Qui non si parla solo di musica: “Nessuna” è un flusso di pensieri che si unisce quasi per gioco nel raccontarsi al mondo. Un’esplosione di senso che arriva all’improvviso, ma che è in grado di restare, lasciare un segno a chi decide di abbracciarla.

(Sara Vaccaro)

Altea: 9-

VELENO

“Veleno” non è solo un disco: è una liturgia emotiva che ribatte sul dolore condiviso. Gli Amore Audio costruiscono un album che non cerca di edulcorare nulla, anzi: vuole esporre la tossicità e le delusioni mettendole su tela (vedi tutte le copertine che somigliano alle tessere di un puzzle). Un racconto diviso in atti, pensato come una grande danza che attraversa il periodo peggiore delle nostre vite, trasformandolo in un rituale pop, sudato e lucidissimo. L’idea di fondo è semplice e brutale: curare con precisione ogni dettaglio, perché ogni dettaglio appartiene al trauma. Lo si sente nella scelta delle strutture, nei bpm che cercano di portare chi ascolta esattamente dentro lo stesso respiro affannato che ha generato il disco. Come se la musica potesse farsi antidoto e veleno allo stesso tempo.

(Ilaria Rapa)

AMORE AUDIO: 8,5

Torre Velasca

“Torre Velasca” arriva finalmente anche in digitale, completando il mosaico di “FIVE EGGS” con uno dei suoi tasselli più narrativi. Dumbo Gets Mad trasforma Milano in un microcosmo psichedelico, dove mode, contraddizioni e rituali cittadini diventano scena e pretesto per un racconto personale, ironico e un po’ disilluso. Il brano oscilla tra elettronica morbida e un’attitudine cantautorale che osserva senza giudicare davvero: mette in luce le dinamiche della “vita milanese”, quelle che tutti criticano e di cui, inevitabilmente, finiamo per essere parte. Il brano si muove tra leggerezza, autoanalisi, e quello sguardo sospeso di chi vive la città da dentro ma la guarda come fosse un film un po’ distorto.

Con il suo groove rilassato e una scrittura che scorre come un flusso di pensieri, “Torre Velasca” aggiunge uno strato essenziale all’immaginario del disco: un pezzo che parla di identità, di movimento, di distanze che si creano e si richiudono, mantenendo intatta la cifra psichedelica e narrativa di Dumbo Gets Mad. Un’uscita digitale che rende finalmente completo il percorso di FIVE EGGS.

(Serena Gerli)

Dumbo Gets Mad:8+

piccola ostrica

Nel silenzio ovattato del fondale marino prende forma “piccola ostrica”, il nuovo singolo di ATARDE. Un ritorno discografico che sorprende per delicatezza e profondità. Il brano si muove come una creatura degli abissi: lento, curioso, capace di cambiare direzione senza perdere mai il proprio centro emotivo.

La storia è ambientata nel profondo del mare, uno spazio simbolico e reale insieme, dove la luce arriva filtrata e ogni movimento ha un peso diverso. L’ostrica diventa immagine di fragilità e protezione, di chi sceglie di chiudersi per difendersi ma custodisce qualcosa di prezioso al suo interno. È da questa tensione che nasce il racconto: un viaggio intimo che parla di sentimenti taciuti, di silenzi carichi di significato, di quella parte di noi che resta nascosta finché non trova il coraggio di aprirsi.

Musicalmente, ATARDE costruisce un equilibrio raffinato tra opposti. L’impianto è acustico, essenziale, quasi confidenziale, ma attraversato da influenze e richiami evidenti alla musica elettronica contemporanea, che affiorano come correnti sotterranee. I suoni sembrano respirare, espandersi e ritrarsi, accompagnando una narrazione che alterna momenti sognanti e malinconici ad altri più leggeri, ironici e spensierati. È proprio in questo cambio di tono che il brano sorprende, mostrando una scrittura capace di prendersi sul serio senza diventare pesante.

“piccola ostrica” è un brano che ha iniziato il suo percorso dal vivo: è stato infatti presentato in anteprima durante il “RISACCA TOUR”, il mini tour acustico con cui ATARDE ha scelto di condividere le nuove canzoni del disco in uscita nel 2026 ancora in una fase di movimento, raccogliendo impressioni e feedback direttamente dal pubblico.

“piccola ostrica” è una canzone che non resta mai in superficie: cattura l’ascoltatore e lo invita a lasciarsi andare, portandolo lontano, fino all’abisso più profondo.

Atarde: 7

Ancora vivi (Album)

“Ancora Vivi” è il nuovo album di Gianni Bismark.

Si apre così una nuova fase nel percorso artistico dell’artista romano, all’anagrafe Tiziano Menghi, più matura ma fedele alle proprie radici. Tra periferia, memoria, legami e quotidianità, la scrittura rimane cruda, sincera, profondamente umana.

A introdurre il progetto sono stati i singoli “Stai alla larga” e “Piove Piove” feat. Giuliano Sangiorgi, già disponibile in digitale e in rotazione radiofonica. Un brano intenso, in cui la scrittura ruvida e diretta di Gianni Bismark si intreccia con la delicatezza poetica di Sangiorgi, dando vita a una collaborazione inedita e sorprendente. Nell’album trovano spazio anche altre collaborazioni importanti: Massimo Pericolo in “Certezza” e Franco126 in “Quante ce ne siamo dette”, featuring che rafforzano l’identità del progetto, che resta fedele alla sua natura romana ma aperto al dialogo con altri linguaggi della scena contemporanea.

Con “Ancora Vivi”, Gianni Bismark raccoglie anni di percorso, crescita e appartenenza. È un album che non tradisce la sua impronta: strada, realtà, nostalgia, relazioni, orgoglio e fragilità convivono in un racconto che resta vicino alle persone e lontano dalle mode. Il titolo diventa un’affermazione e una sintesi: siamo ancora qui — presenti, imperfetti, vivi.

Gianni Bismark: 7

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