Il Festival di Sanremo ha ucciso l’Indie Italiano?

Cosa hanno in comune l’indie italiano  e il Festival di Sanremo? A giudicare dalle ultime edizioni della kermesse sono diversi i punti di congiunzione tra questi due mondi. 

Il temine “Indie Italia” rappresenta un genere dalle intenzioni artistiche alternative o comunque non nate per essere rivolte a un pubblico diffuso, che nasce e si sviluppa tramite artisti che si esibivano soprattutto nei circoli davanti ad un pubblico ristretto e ben specifico. Questo almeno per la prima parte di storia dell’indie, che va dagli anni novanta al 2010.

Da questo anno di svolta in poi, la scena indie si è ramificata in più direzioni, alcune molto più mainstream di altre, che hanno necessariamente mutato i caratteri specifici del genere.

Il Festival di Sanremo è invece l’evento più istituzionale del panorama musicale italiano e a primo impatto non esiste niente di più lontano da quello che invece è l’indie.

Nel corso degli anni queste due realtà si sono incontrate diverse volte

La prima addirittura nel 2009 con gli Afterhours di Manuel Agnelli. All’inizio però sono eventi isolati e poco significativi.

Per risultati più importanti si deve aspettare il 2018, anno in cui Lo Stato Sociale si classifica al secondo posto con il brano Una vita in vacanza

Un caso emblematico è Sanremo 2021, anno in cui sul palco dell’Ariston erano presenti almeno dieci artisti sui ventisei totali appartenenti o molto vicini alla scena musicale indie.

La settantunesima edizione del Festival è infatti una metafora, più che esaustiva, della naturale crescita ed evoluzione dell’indie italiano e del percorso che hanno seguito molti degli artisti che hanno segnato la storia di questo genere. 

Alla luce di tutto ciò, una domanda sorge spontanea:

Cosa succederà adesso all’indie? Siamo davanti alla sua morte o meno catastroficamente si tratta di un nuovo inizio?

Per rispondere a questa domanda si possono considerare innumerevoli aspetti. Un punto di partenza riguarda la ricezione da parte della società e i possibili cambiamenti per quanto concerne il target o le fanbase di determinati artisti. 

Il primo dato significativo proviene da Spotify.

Ho tracciato il numero di ascolti mensili rilevati dalla piattaforma in tre momenti: prima di Sanremo, subito dopo il Festival e sei mesi dopo.

È notevole come in soli sette giorni, gli ascoltatori di tutti gli artisti siano aumentati di minimo 200.000, con alcuni exploit come nel caso di Dimartino che è passato da 96.000 ascoltatori a 583.000.

La situazione a settembre vede, invece, due trend diversi: da un lato ancora Dimartino e Colapesce che hanno raggiunto e superato un milione di ascoltatori; dall’altro, alcuni artisti come Aiello o Gio Evan hanno visto addirittura diminuire i loro ascoltatori rispetto al pre-Festival, forse anche a causa di performance non particolarmente apprezzate durante il Festival (o il fatto che siano diventati una fonte inesauribile di meme).

Un discorso analogo può essere fatto tenendo in considerazione l’elemento social, nello specifico Instagram, soprattutto in relazione al mondo indie che deve gran parte della sua diffusione e successo proprio ai social network.

In questo caso i follower sono un buon indicatore per avere un’istantanea della situazione degli artisti.

Ancora una volta emblematici sono Colapesce e Dimartino che partivano da un numero relativamente basso (34.000 e 19.000), fino a raggiungere e superare i 100mila follower, rendendo chiaro come probabilmente siano loro i vincitori morali del Festival.

Un altro fattore importante è quello dei tour e dei live. Artisti come i Coma_Cose, che sono passati da esibirsi principalmente ai festival indie o in piccoli locali, mentre il Nostalgia tour del 2021 comprende location di spicco come il Carroponte a Milano o il Vittoriale a Gardone Riviera.

Ok, ma l’indie è davvero “morto”?

È interessante però considerare anche a livello più astratto cosa comporta l’eco del Festival. Sono anni che si è diffusa l’espressione “l’indie è morto”, frase che ha iniziato a circolare nel 2019, molto spesso associata ai Thegiornalisti, ma non solo. 

Artisti della scena indie che firmano con le major, ospitate in televisione e concerti nelle grandi arene; niente di più diverso da come si presentava quello che da molti viene considerato il più strano movimento musicale degli ultimi anni.

L’indie ha sempre avuto alla base un concetto assurdo se paragonato al funzionamento del mercato musicale: meno sei conosciuto, più sei indie.

A questo punto agli artisti si aprono due possibilità: continuare a rivendicare il proprio status di sconosciuto o affrontare il cambiamento, riuscendo con fatica ad abbattere le vecchie divisioni. 

Alla luce di queste considerazioni, è giusto affermare che l’indie sia effettivamente morto?

La sensazione è che sotto un certo punto di vista, l’indie sia già morto, o almeno l’indie che abbiamo conosciuto noi, universitari a cavallo tra il 2006 e il 2017.

È finito quando Calcutta ha pubblicato un album intitolato “Mainstream” o quando i Thegiornalisti hanno fatto il primo live tutto esaurito al Forum di Assago o al Palalottomatica.

C’è da tenere in presente anche un altro processo, ovvero quello che prevede un avvicinamento all’indie da parte di ciò che è da sempre considerato mainstream.

Un esempio lampante ci viene dato da alcune collaborazioni, sempre più frequenti negli ultimi anni, tra esponenti del pop italiano e fari della musica indie. Alcuni titoli rappresentativi sono ad esempio “Venere e Marte” che vede la collaborazione di Marco Mengoni e Frah Quintale, o andando indietro nel tempo “Se piovesse il tuo nome” di Calcutta e Elisa.

Il ruolo del Festival di Sanremo in questo più ampio disegno è utile invece per avallare un’altra teoria. 

Se l’indie è morto non è il Festival che l’ha ucciso.

Semplicemente, è stato un ulteriore passo verso il nuovo indie e verso una nuova consapevolezza che le cose stanno cambiando. 

Non è quindi una tragedia se col passare del tempo sempre più artisti della scena indie decideranno di partecipare al Festival, anzi non può che essere positivo per ampliare ulteriormente il range di pubblico e distruggere definitivamente alcune barriere sedimentate nell’opinione pubblica.

*Questo contenuto è tratto dalla tesi di laurea di Sara Pederzoli (Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità – IULM)