New Indie Italia Music Week #254

New Indie Italia Music Week #254

“(Vivo) Senza riprendere fiato, tutto in un tiro
Anche se in mezzo al traffico facciamo un giro (Vivo)
Ho fatto mille foto, ho fatto mille video
Che puoi puntarci poco, crederci un casino (Vivo)
Anche se sembra un gioco, anche se appeso a un filo
Giuro mi darei fuoco solo per sentirmi (Vivo)”

(Vivo – Fabri Fibra, Andrea Laszlo De Simone)

Si corre, si gira a vuoto, si accumulano immagini come prove di esistenza mentre tutto intorno sembra instabile. Non è incoscienza, è necessità: credere forte anche quando le possibilità sono poche, andare avanti anche se ogni istante sembra appeso a un filo. In questo spazio teso e rumoroso la musica diventa un gesto fisico, una scintilla che attraversa il corpo. Non serve spiegare troppo: basta sentire qualcosa che accende, che spinge, che ti ricorda che sei ancora qui, ancora acceso, ancora vivo.

Scopriamo i migliori brani e album #IndieItalia della settimana per sentici un po’ più vivi!

Quaglia Sovversiva (Album)

Con Quaglia sovversiva Marco Castello firma il disco più ambizioso e inquieto della sua carriera, un lavoro che mantiene intatta la sua eleganza melodica ma la attraversa con una nuova urgenza espressiva. La scrittura resta luminosa e colta, sospesa tra dialetto e italiano, e trasforma il quotidiano siciliano in una narrazione simbolica e stratificata. I brani scorrono con naturalezza, sostenuti da arrangiamenti raffinati in cui jazz, funk e cantautorato convivono senza mai appesantire l’ascolto. Sotto questa superficie solare si muove però una tensione politica costante, fatta di immagini, allusioni e prese di posizione mai urlate.

Castello riesce a far ballare anche quando il messaggio è scomodo, dimostrando che la forma può essere seducente senza perdere profondità. È un disco che non cerca slogan ma lascia sedimentare le sue idee, colpendo con intelligenza più che con forza. La cura maniacale dei suoni accompagna un flusso continuo di pensieri e visioni, tenuti insieme da un equilibrio raro. Quaglia sovversiva è un album che chiede attenzione, ma ripaga con una ricchezza emotiva e musicale fuori dal comune. Una rivolta gentile, consapevole e profondamente mediterranea.

Marco Castello: 8.5

I fatti miei

È un mix di lucidità e disperazione. Dualismo simboleggiato dalla differenza tra strofe e ritornello. Quest’ultimo introdotto la prima volta da quel “non è tutto ok” emesso da un filo di voce, per poi gridare subito dopo. È ormai risaputo che Svegliaginevra sia una maestra nel farci trovare le emozioni, mettere ordine nel caos che provocano, trovar loro un posto. Negli oggetti della nostra camera, nell’odore tra le lenzuola che la mattina sembra diverso e la punta del naso si fredda di più, dalle parole che sentiamo dire dagli altri. E così, anche questa volta, in un brano pop morbido che fa male e bene insieme, ci racconta quella situazione che chissà quante volte abbiamo già affrontato, dopo una storia importante. Eppure è una fase nuova e vecchia. Una cosa a cui dovremmo essere preparati ma non lo siamo. O non vogliamo esserlo.

(Stefano Giannetti)

Svegliaginevra: 8

Un piatto di pasta

“Ti ho ancora un po’ sulle labbra, tu pensa che svista incontrarsi in qualche vita passata”. Un lavoro dolce, malinconico, semplice ma di stile. Una lite amorosa che sembra d’altri tempi. La delicatezza nell’incontro tra le due voci è quasi in ossimoro rispetto a ciò che si dicono in alcuni versi, quando si accusano a vicenda. Ma le riflessioni sono profonde, si accostano all’esempio più piccolo per elevarsi a riflettere su come certi amori vanno. A come spesso la vita ci regala estati che chissà, magari potevano diventare anche autunni, inverni e primavere. E invece abbiamo scelto noi, solo noi, di lasciarle lì al mare. E ce ne accorgiamo quando ci si ripresentano.

(Stefano Giannetti)

Mazzoli feat. Millealice: 8

Padrone

“La vita a volte mi vuole spento”. Un alternative rock che si interroga su ciò che non ci chiediamo mai abbastanza. Mai abbastanza da ribellarci. Siamo fedeli come i cani, disposti a vivere delle regole del nostro padrone, che ci tiene a cuccia col biscottino del salario di tutto ciò che possiamo avere pagandolo con calma? Vogliamo continuare ad alimentare un sistema che ci terrà sempre in un recinto? Da quanto dura questo modo di vivere? È ancestrale l’esistenza di due classi?

I Tundra lanciano un grido arrabbiato contro tutti gli schemi, anche contro chi vorrebbe bollare come anarchici chi si ribella, quando invece sta solo cercando la vita che gli viene negata. Una vita libera, di chi ha amici e non padroni. Come un gatto. Meglio lasciare tutto e rischiare di morire di fame? La posta troppo alta è da sempre il nostro ricatto. Il tentativo di impedirci di scegliere.

(Stefano Giannetti)

Tundra: 8

404DEI (Errore degli Dei)

Nato da un momento di frattura personale e artistica, i Little Pieces of Marmelade tornano con un nuovo disco in cui li sentiamo per la prima volta cantare in italiano: ogni brano è una ferita aperta che non cerca di rimarginarsi in fretta. Qui l’introspezione convive con un’energia straripante, le tinte cupe si alternano a esplosioni di volume e nervi scoperti, in un equilibrio sempre instabile ma profondamente vitale.

Registrato completamente in presa diretta si sente perfettamente che il suono è grezzo, imperfetto, vivo. Dall’introduzione spoglia di Poppy (intro) alla furia hardcore della title track, passando per episodi come Daniel J, La Band, MTV o Funeral, il disco attraversa vulnerabilità, rabbia, denuncia e bisogno di connessione. Le influenze si intrecciano – rock contemporaneo, pop/noise, new punk, blues e psichedelia – ma senza mai diventare stile vuoto: ogni scelta serve a fissare una sensazione.

(Ilaria Rapa)

Little Pieces of Marmelade: 8,5

Something is changing at home

Nel panorama odierno dell’industria discografica, dove l’urgenza spesso si confonde con la posa, la musica di Gaia Rollo si prende del tempo per costruire un discorso, osservando e raccontando da vicino, il cambiamento che l’attraversa. Cantautrice, compositrice, musicista, si laurea nel 2023 in canto jazz presso il conservatorio “Nino Rota” di Monopoli, ambito che le darà la possibilità di lavorare al fianco di artisti del settore e di partecipare anche a realtà come il Locomotive Jazz Festival. Il suo primo EP, Something is changing at home, sprofonda con passo deciso in paesaggi sonori contemplati da riflessioni sincere ed atmosfere contemplative.

Le 7 tracce protagoniste toccano sonorità organiche, moderne: si passa da un cantautorato contemporaneo ad un pop più alternativo. Gli arrangiamenti intimisti, curati nel minimo dettaglio, lasciano respirare le canzoni, sostenendo una scrittura che accelera e favorisce un’azione catalizzatrice nei confronti della musica. Nella track regina Remember to eat, la Rollo tesse quelle che sono le sue abitudini quotidiane, cadendo volontariamente nel gioco dei ricordi che la invita ad osservare meglio tutto ciò che resta in superficie.

(Mariangela Caputo)

Gaia Rollo: 8

I primi della lista

Il lavoro artistico di De.Stradis si muove da sempre in una zona scomoda, laterale; un territorio in cui la scrittura sembra non consolare ma funzionare come una vera e propria lente d’ingrandimento. Tutto ciò che resta apparentemente in superficie, è per l’artista, materiale da spogliare, scorticare fino all’osso. Le sue canzoni non cercano contatti immediati; chiedono piuttosto presenze attive che accettino la tensione e che lascino barlumi di speranza nelle cose non dette, nei silenzi assordanti. In “I primi della lista”, ultimo giro di valzer prima dell’avvento del disco, tale attitudine è particolarmente forte.

Cadono i veli, la musica si fa più diretta, quasi sensoriale. I suoni asciutti e minimali sorreggono l’importanza delle cose che vengono espresse: sembra l’inizio di un film o di quel concerto al quale non volevi assolutamente rinunciare. Tutto è al suo posto: i dettagli parlano, le assenze si ridefiniscono dimostrando quanto l’artista sia capace di raccontare ciò che normalmente sfugge.

(Mariangela Caputo)

De.Stradis: 8

Una vita a tre

Le origini sono coordinate geografiche che ognuno si porta dentro, anche se talvolta si cerca comunque di cambiare strada, rinnegando il passato per sfuggire al dolore o come presa di coscienza verso un domani tutto da scrivere. “Una vita a tre” è un brano intimo attraverso il quale i Couscous a colazione portano il peso emotivo del lutto e degli adii in tutte le relazioni a due che creano gli esseri umani per rimanere a galla, senza sprofondare nella tragedia del per sempre, intesa come consapevolezza che prima o poi tutto sparirà. La nostra vita è un puntino microscopico nella storia dell’universo, però tutti questi segni praticamente invisibili messi a confronto con l’infinito spazio del tempo, servono a costruire la nostra mappa di ricordi ed esperienze.

(Nicolò Granone)

Couscous a colazione: 7,5

Boy Scout

Volevo stare lontano, invece è così lontana casa e allora dimmi come mai sto bene. Da ragazzini quando si sta qualche giorno fuori casa prova una certa nostalgia, a volte addirittura paura perché fuori dalla propria stanza il mondo sembra essere più grande di quello che è davvero. Poi ci si adatta al cambiamento, anzi a volte ci si picchia addosso con tutta l’irruenza del dover andare avanti, buttando via barriere e superando ostacoli. Cala Cala vuole essere un boyscout, chiedendosi davvero dove sia la felicità e perché non esista un guida stile giovani marmotte che renda tutto più semplice.

(Nicolò Granone)

Cala Cala: 7

Nati Inciampati (Album)

Bisogna accettare la realtà, gli sbagli, le cadute e soprattutto tutte quelle imperfezioni e scelte che ci rendono unici, spostando il focus dal globale all’individuale. Nati Inciampati è il manifesto di una generazione che si vergogna inizialmente del futuro, vedendola come una imposizione di chi c’è stato prima, e solo con la rabbia e il coraggio, in un secondo momento, riesce a diventare protagonista, abbandonando quel ruolo di comparsa nel quale si era sempre identificato. L’ultima traccia, “Crescere” è un pugno nello stomaco perché è una fotografia cinica dell’esistenza umana, nel quale ognuno può essere il suo peggior nemico finché non riesce ad accettare le proprie peculiarità, che serviranno ad amarsi e rispettarsi.

(Nicolò Granone)

Speakeasy: 8,5

Kalimera (Album)

Una storia raccontata in cinque brani: Emili Kasa torna con il suo primo EP “Kalimera”, dopo i singoli “Elodie” e “Pita gyros”. Il titolo è il primo di una serie di rimandi alle proprie origini: “kalimera” è un’espressione greca che significa “buongiorno”, e Emili sceglie di presentare la sua prima raccolta proprio come un saluto, quasi a segnare il suo ingresso nel mondo della musica, chiedendo spazio per emergere. I brani sono pensieri a tratti non filtrati, scritti senza mezzi termini e senza doppie intenzioni. Il desiderio è quello di arrivare in modo diretto e autentico, creando un ponte tra la sua mente e il mondo esterno, dove il flusso di coscienza possa muoversi libero, senza interruzioni.

(Sara Vaccaro)

Emili Kasa: 8

Amica sopra al tavolo

La forma più pura di amore, a volte, sta nella vera amicizia. Nella figura della “sister” non troviamo solo un’amica, ma una vera e propria ancora di salvezza: un rifugio sicuro, un cuore condiviso. Un modo per affrontare i problemi con più leggerezza, anche quando diventano un peso troppo grande da sopportare.

Lorenzza e Abby 6ix raccontano questo e molto altro nel loro nuovo feat “Amica sopra il tavolo”. Il brano tocca temi complessi come la violenza, l’introspezione e il passato, tutti filtrati attraverso le relazioni interpersonali e il loro doppio volto: possono essere marce e distruttive, ma anche profondamente salvifiche. Qui l’amicizia diventa fondamentale per sopravvivere: fatta di bar, errori, silenzi e scelte sbagliate, non è mai rose e fiori, ma resta sempre un punto fermo. D’altronde, dal “bar al baratro”, dallo “spettro allo spettacolo”, l’amica vera è al nostro fianco tanto nelle cadute quanto nella voglia di tornare a galla.

(Sara Vaccaro)

Lorenzza: 8

Non stiamo bene da soli

Sonorità pop freschissime accompagnano un testo sicuramente più profondo, ma che vuole rimanere leggero, canticchiabile, fisso in testa. Questa è “Non stiamo bene da soli”, nuovo pezzo di Florinda, che torna a farci emozionare dopo i singoli “Ma che vuò” e “Vorrei odiarti”. Il tema dell’amore che va e viene, tra ciò che diciamo e ciò che teniamo nascosto, è in stretta relazione con lo sfondo della città: Napoli fa da perfetto background, in tutta la sua grandezza e contraddizione, dimostrando di conoscere a fondo i sentimenti dei suoi abitanti, forse più di quanto non li conoscano (e capiscano) loro stessi. “Questa città di notte è un’altra città, è piena di buche, sembra conoscerci”: è proprio qui che troviamo un perfetto equilibrio tra luoghi e sentimenti, il punto in cui non si riesce più a distinguere la linea che separa il legame tra lo spazio interno ed esterno. L’amore sembra qualcosa di complicato, ma in realtà non lo è affatto: tra notti che passano e sentimenti che travolgono, resta solo il desiderio di avere qualcuno accanto.

(Sara Vaccaro)

Florinda: 8,5

Don’t Crai

I Legno tornano a colpire con uno di quei brani che sembrano leggeri solo in superficie, questa volta la fine di un amore non avviene in un luogo simbolico o romantico, ma tra le corsie di un supermercato: uno spazio qualunque, proprio per questo potentissimo. La scelta dell’ambientazione è il vero colpo di genio del singolo, il supermercato diventa una lente attraverso cui osservare ciò che resta dopo la rottura: un carrello vuoto, prodotti con una scadenza, surgelati che anticipano l’inverno.

Musicalmente, “Dont’ Crai” si muove su coordinate pop immediate, sostenute da una produzione pulita che lascia spazio alle parole. La melodia accompagna il racconto senza sovrastarlo, rendendo il brano facilmente memorabile ma mai superficiale. I Legno dimostrano ancora una volta di saper raccontare l’amore quando finisce senza retorica né dramma eccessivo, trovando poesia nei luoghi più banali e verità nei gesti più piccoli.

(Benedetta Rubini)

Legno: 8

Se Finisse l’Amore

Mecna parte da una domanda tanto semplice quanto destabilizzante: cosa succederebbe se l’amore venisse meno? Non solo sul piano sentimentale, ma nella vita di tutti i giorni, nei gesti minimi, nelle abitudini che diamo per scontate. L’amore, qui, non è raccontato come un’idea astratta o idealizzata, ma come una struttura invisibile che regge il caos dell’esistenza. Uno dei nuclei più interessanti del testo è l’idea che, senza amore, verrebbero meno anche le categorie morali ed emotive: “Non esisterebbe più nessuna prigione / Nessun crimine avrebbe un nome”.
Qui l’amore diventa una sorta di bussola etica: non elimina il dolore, ma gli dà un senso.

In “Se finisse l’amore”, Mecna non racconta una separazione, ma l’impossibilità di un mondo senza legami. L’amore è fragile, caotico, a rischio continuo, ma è anche ciò che rende il dolore sopportabile, la tristezza riconoscibile, l’identità possibile. È una canzone che colpisce gli ascoltatori.

(Benedetta Rubini)

Mecna: 8

La ragazza di Vittorio

Con “La ragazza di Vittorio”, Tutti Fenomeni continua il percorso riaperto da Piazzale degli Eroi, spingendosi ancora più a fondo dentro le contraddizioni emotive e culturali del presente. La musica sembra voler abbassare le difese, mentre le parole fanno l’esatto opposto. Il risultato è una tensione costante, un cortocircuito che rispecchia il mondo raccontato: morbido in superficie, ma attraversato da fratture profonde. Al centro della canzone c’è il tema del corpo e del desiderio, filtrati attraverso una società che tende a trasformare ogni esperienza in prodotto, ogni relazione in prestazione, ogni incontro in simulazione.

“La ragazza di Vittorio” non è una canzone moralista, né nostalgica. È piuttosto una riflessione inquieta su quanto siamo ancora capaci di sentire davvero. In questo senso, l’amore non viene idealizzato: è fragile, contraddittorio, spesso inadeguato. Eppure resta l’unico elemento che sembra opporsi allo svuotamento generale.

(Benedetta Rubini)

Tutti Fenomeni: 7,5

Dreamworks

“Dreamworks”, il nuovo brano di Leo Fulcro, racconta chi resta ai margini della narrazione dominante, chi non corre per salire sul podio ma prova a immaginare un’altra idea di successo, più condivisa e meno rumorosa. Il brano si muove con passo misurato, lasciando spazio alle parole senza forzarle. La scrittura è diretta ma non didascalica, sostenuta da una produzione che accompagna con discrezione, evitando l’enfasi e preferendo un equilibrio sobrio, quasi etereo, coerente con il messaggio che porta avanti. La voce si inserisce come parte di un insieme, mai sopra, mai contro.

“Dreamworks” è una riflessione sul rifiuto della competizione come unica forma di valore. Una canzone che immagina la vita come un racconto corale, dove nessuno vince da solo e il senso nasce nel movimento comune, non nell’affermazione individuale.

(Serena Gerli)

Leo Fulcro: 7+

Gran Finale

“Gran finale” prende vita in quell’istante sospeso in cui passato e futuro si guardano senza ostilità, e anche gli addii assumono una luce nuova. Il brano racconta una separazione che non cancella, ma conserva. Due persone che si lasciano senza negare ciò che sono state, senza rinnegare l’intimità condivisa. La scrittura di Jacopo si muove con delicatezza tra gratitudine e consapevolezza, evitando il dramma e scegliendo invece la sincerità emotiva di chi accetta che alcune storie finiscono senza smettere di significare qualcosa.

Musicalmente “Gran finale” si muove tra sottrazione e apertura: parte raccolta, quasi fragile, e si espande poco alla volta, seguendo un andamento emotivo che accompagna il passaggio dall’insicurezza alla maturità. È un brano che parla di legami, di identità e di come certe presenze continuino a definirci anche quando non ci sono più. “Gran finale” non è una chiusura netta, ma un gesto di cura verso ciò che è stato: un modo per andare avanti senza perdere nulla per strada.

(Serena Gerli)

Jacopo Sol: 8

Eroi

I Galassia Club tornano con il loro progetto ad esplorare campagne venete familiari fatte di linguaggi psichedelici, contaminazioni sonore urbane, sonorità indie-pop liriche. L’iniziale trittico di canzoni, confezionato recentemente dall’uscita di “Eroi”, traccia che anticipa l’uscita del loro EP – previsto per il 9 gennaio del 2026 – parla forte al cuore dell’ascoltatore. Le tracce pubblicate sembrano lettere lasciate ai posteri, piccoli frammenti di vita in cui si illuminano insicurezze, desideri di rivincita e attimi di introspezione dei protagonisti. Quattro pezzi e già ti senti sospeso: è la prova che la forza del loro lavoro non sta negli effetti o nell’ampiezza sonora ma nella capacità di raccontare l’ordinarietà della vita con una profondità necessaria, capace di far risuonare ogni emozione anche nelle pause più silenziose.

(Mariangela Caputo)

Galassia Club: 7