Manu: “Canto un brano scritto da me per sentirmi libero” | Intervista
Manu è un artista emergente di ventitré anni che vive in provincia di Torino. “No one in the room” è il nome del suo primo singolo, pubblicato il 2 Aprile 2021 ufficialmente su tutti gli store. In verità, più che il suo debutto, è il debutto di Manu come cantante poiché di musica già ne ha fatta tanta, ma nella veste di produttore e arrangiatore.
“No one in the room” è stata scritta, prodotta e cantata da Manu ad Aprile del 2020, in un periodo particolare della sua vita. Non è l’unico brano scritto in quel momento, nonostante il periodo che stiamo vivendo sia apparentemente privo di stimoli. Il brano racconta di una persona che si trova a ballare ad una festa come se non ci fosse nessuno attorno, noncurante dell’ambiente circostante, del giudizio altrui, libera di muoversi secondo il proprio istinto.
A volte lasciarsi andare è importante, cavalcare le proprie emozioni e sensazioni. Nei suoi brani Manu racconta solitamente di eventi vissuti in prima persona, situazioni reali che in qualche modo lo abbiano colpito, stupito. C’è un fondo di verità in tutto quello che dice, con un po’ di immaginazione in più. Questa idea di narrazione di eventi è il fil rouge che collega tutti i lavori di Manu fino ad ora.
Intervistando Manu
Dopo aver prodotto ed arrangiato tanto, hai deciso di cantare per la prima volta un brano scritto da te. Cosa ti ha spinto a farlo?
In realtà ci sono diverse motivazioni che mi hanno spinto a fare questo salto. Innanzitutto, dopo aver prodotto e scritto tanti brani interpretati poi da altri cantanti, ho avvertito la necessità di fare qualcosa di completamente mio, in cui avessi la possibilità di gestire tutto da solo. Forse quando si tratta di questioni così personali non mi piace il gioco di squadra. Alla fine l’interprete, per quanto possa essere bravo a cantare e per quanto tu possa essere capace di trasmettergli cosa hai in testa, difficilmente riesce a riprodurre esattamente ciò che vorresti, nel modo in cui lo vorresti.
Anche solo il riuscire a spiegare a parole ciò che senti di voler trasmettere con la musica ad un’altra persona è difficilissimo: nel processo qualcosa va perso. Dunque il risultato a volte può essere deludente, altre volte invece davvero sorprendente in modo positivo, ma comunque mai precisamente quello che vuoi tu. Da qui il desiderio di cantare i miei brani, era l’ultimo step che mi mancava per sentirmi completo. Questo mi ha davvero aperto un mondo di possibilità: non dover aspettare le bozze dell’interprete, le demo, i tempi lunghi, le registrazioni.
Mi ricordo che i primi giorni in cui mi sono sbloccato ho passato praticamente tutto il tempo davanti al microfono. Mi sembrava incredibile poter finire un brano da solo senza dover aspettare nessuno. E’ stata una sensazione davvero esaltante. Sono assolutamente consapevole del fatto che non tutti i brani per essere “completi” debbano essere necessariamente accompagnati dalla voce, ma per quanto riguarda la mia musica, almeno al momento, sento che questo elemento sia fondamentale per rendere completo il tutto.
La tua esperienza americana ti ha ispirato nello scrivere in inglese oppure è una scelta dettata da altri fattori?
Penso che l’aver vissuto negli USA per un po’ sia stato un fattore di grande influenza, ma non lo considero determinante per la scelta dell’inglese. Sono sempre stato vicino a questa lingua fin da piccolo per motivi familiari, cosa che mi ha senza dubbio agevolato, ma anche questo non lo considero un fattore determinante. La verità è molto più semplice: non mi sono mai ritrovato molto nella musica italiana, sia come sonorità che come lingua, o per lo meno nella maggior parte di essa.
Ci sono eccezioni chiaramente, negli ultimi anni soprattutto, con il ritorno del cantautorato, mi ritrovo un po’ di più negli artisti connazionali. Motta, ad esempio, mi farebbe piangere comunque in qualunque lingua. Forse l’inglese è un filtro che interpongo tra me e l’ascoltatore, sono un po’ timido. Parlare di sentimenti, di me, in italiano, mi farebbe un po’ strano. Questa scelta è anche dettata dalla mia cultura musicale e dalla mia infanzia: ho sempre ascoltato musica “estera” fin da bambino, dai Simple Minds a Jimi Hendrix.
Parlaci del tuo singolo: com’è nato? Quanto ha influito lo stallo del 2020 sulla composizione del brano?
Il singolo è nato un anno fa, ad Aprile 2020, in piena quarantena. Era una situazione davvero particolare per me, per tantissimi motivi oltre alla reclusione in casa. Dirti com’è nato non è semplice, posso più che altro provare a spiegarti il mio processo, che alla fine si estende a tutta la musica che faccio. Vedo una cosa oppure vivo una situazione particolare, se in quel momento sono particolarmente sensibile allora mi colpisce forte e di conseguenza la trasformo in musica costruendo una storia. E devo ammettere che quello era un periodo in cui ero sensibile più che mai. Gli eventi di cui racconto sono infatti ispirati
ad un avvenimento reale, successo prima della quarantena chiaramente, ricostruito successivamente da me qualche tempo dopo in “no one in the room”.
Ovviamente se tu consideri il mio processo artistico, la quarantena ti potrà sembrare un killer pronto ad uccidere tutta la mia creatività, non avendo nessuna esperienza da vivere, nulla da vedere che potesse colpirmi e da trasformare in musica. La verità però è che per il lungo periodo in cui sono stato chiuso in casa ho sfruttato come fonte di ispirazione situazioni passate che mi erano rimaste impresse, tra cui questa.
Cos’è per te la libertà?
Domanda complicata, ma sicuramente non è sinonimo di “fai tutto quello che vuoi”. A meno che non si parli di libertà espressiva, allora si, vuol dire non essere limitato da convenzioni, influenze, mode. Penso che essere liberi in questo senso sia difficilissimo. E penso anche che per arrivare a tale punto prima ci debba essere un grandissimo lavoro di “seguire gli schemi”, studio, tecnica. Una volta che hai fatto tua la tecnica allora puoi essere libero, o per lo meno ci puoi provare. Se guardo alla mia esperienza, prima di riuscire a creare qualcosa di fortemente personale, sganciato dai paletti convenzionali, ho dovuto provare tanto, imparare tantissimo, emulare ancora di più. A quel punto ho acquisito una confidenza tale da poter creare un qualcosa di totalmente mio, libero.
Se parli invece di libertà in senso più generale credo che nessuno di noi sia totalmente libero e neanche che voglia davvero esserlo: in questo momento storico abbiamo troppo da perdere se vogliamo vivere davvero “liberi di fare ciò che si vuole”. Tu partiresti per un viaggio di 6 mesi con lo zaino in spalla senza avere a disposizione prese di corrente per ricaricare il tuo cellulare? Magari si, magari anche io. Ora che ci penso sarebbe bellissimo, ma quanto ti pesa? Ci sono tanti fattori che ci tengono legati, tante comodità. Credo che ciò a cui si debba puntare ora, più che all’essere liberi, sia il non essere totalmente schiavi.
Questo è il tuo primo singolo da cantante: cosa c’è nel futuro? Vuoi darci qualche anticipazione?
Posso dirti che ho tantissima musica pronta che non vedo l’ora di fare uscire e di fare ascoltare a tutti. L’anno scorso è stato, contro ogni previsione, l’anno più produttivo della mia vita dal punto di vista artistico. Il progetto è quello di un album, che al momento ho finito ma che per per la maggior parte è ancora in versione demo. Ma forse adesso è un po’ presto per parlarne. Vedremo cosa succederà, se gli astri si allineeranno.
Ringraziamenti
Ci tengo a ringraziare la mia famiglia, il team di lavoro che ha reso tutto questo possibile, Franci, Lenka, Maria Luísa, Albi, Fabio, Luca, lo studio di registrazione Blu Room con cui ho legato molto, Sandro per rec e mix, Alessandro di Imagina Production per il mastering, Gianluca, Reload Music e Sony Music Italy per la distribuzione.
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