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Apice: “È tempo di fare la ginnastica del presente” | Indie Talks

Nella confusione dell’oggi, dove tutto viaggia veloce, diventa una forma di ribellione riuscire a gestire in autonomia il tempo. Apice, nel suo nuovo disco, urla dolcemente la sua frustrazione contro un sistema accelerato e in costante cambiamento, confuso e disordinato, trasformando questa rabbia e delusione in un Rumore Bianco.

Questo tipo di suono è secondo la scienza un rumore caratterizzato dall’insieme di tutti i toni possibili nello spettro sonoro, aventi anche lo stesso livello di ampiezza, senza però la periodicità del tempo. Oggi, ieri e domani sono tre momenti ben distinti che a causa della frenesia del contemporaneo si mischiano provocando agitazione e frustrazione.

Apice in queste canzoni, da ascoltare, ma soprattutto da riascoltare per cogliere ogni sfumatura nascosta, si prende lo spazio necessario per raccontarsi e cercare una via di fuga da certi loop temporali ed emotivi, pensieri che ci tengono svegli e si legano all’apparenza del cambiamento.

Il problema però è che noi siamo artefici del nostro destino e quindi l’attesa può essere una fase o meglio una scelta, ma solamente attraverso un cambiamento adatto alle nostre esigenze è possibile modificare ciò che deve ancora accadere anche se esiste già in potenza.

APICE X INDIE TALKS

Qual è il tuo c’era una volta musicale che ti ha portato a essere Apice?

Considerato il vincolo familiare e anagrafico, direi che Apice sta all’origine. Poi per un periodo lungo e intenso di tempo ho cantato le canzoni che scrivevo con una band di scalmanati come me, perché a tredici, quattordici, quindici anni non puoi essere diverso da così: dieci anni di palchi di tutti i tipi per una gavetta che non è finita, ma che in quel lungo lasso di tempo mi ha insegnato i tre quarti di quello che so oggi. Poi è finito il liceo, è cominciata l’università e le canzoni che scrivevo sono diventate troppo intime per costringere una band a suonarle con me, sotto un nome collettivo: così sono rimasto solo Apice.  

Perché è così difficile realizzare il presente e godersi il momento?

Perché siamo convinti di doverlo rendere migliore a tutti i costi, affamati di sicurezze e di conferme che nella vita tutto debba essere piacevole, indolore, fatto su misura per noi: pretendiamo che il futuro debba essere migliore perché in generale il presente non ci basta, perché nulla ci può bastare. E allora siamo tutti qui che aspettiamo il nostro momento, ci sentiamo meritevoli di un grande destino che da domani dovrà compiersi per qualche convinzione personale di “intrinseca eccezionalità”. È  l’insoddisfatta megalomania dell’insicuro: cosa dovrebbe avere il domani che oggi mi manca, in che modo, e grazie a quale potere rivelatorio, il presente di domani dovrà essere diverso, se non comincio oggi a vedere diversamente ciò che ho fra le mani? Le cose di oggi sono tutto quello che abbiamo a disposizione, l’unica esistenza (più o meno) certa: il resto è mistero. Sto provando a praticare la ginnastica del presente, anche se il futuro è un’abitudine dura a morire… 

PH: Francesco Quadrelli

La storia cosa non ci ha insegnato?

Beh, la risposta più immediata è: che siamo studenti che si applicano poco, e studiano ancor meno.

Che rumore ha il tempo?

Quello delle rughe delle persone che amiamo, e del loro “scomparire” ad un certo punto. Delle gastriti che non ti lasciano quietare dopo un’abbuffata di troppo, le scale che cominciano a procurare il fiatone… Magari il pianto o il riso di un figlio, il rumore delle bollette e degli affitti, le assicurazioni della macchina, le cure mediche, tutte cose che prima non affrontavi e ad un certo punto della tua vita, all’improvviso, ti trovi a dover gestire più o meno da solo, fino alla fine. Alla fine, il tempo è una dimensione estremamente concreta e materiale, che si misura a gesti e lascia impronte fuori di te e sopra di te, sulla tua pellaccia. Il tempo come dimensione interiore invece… di quello come fare a parlarne in modo universale. Non credo nemmeno sia utile farlo.

PH: Francesco Quadrelli

Lavorare, consumare, crepare si ma quando ci possiamo  rilassare e divertire, anche senza avere  fretta?

Secondo me delle tre azioni elencate, una sola è biologicamente ineludibile: “crepare”, e al massimo “consumare” nel senso di “consumarsi”. L’uomo consuma, perché è un microrganismo parassita che deve consumare: beni primari, beni secondari, beni relazionali. Consumiamo tutto, a partire dalla nostra vita.

Il problema del nostro tempo è aver trasformato in “valore” un attributo naturale dell’uomo, e nemmeno tra quelli più “positivi”, diciamo. E poi, per arrivare alla prima dolorosa parola, lavorare, continuiamo ad abboccare ad una bugia millenaria: che “lavorare” sia, al pari di consumarsi e crepare, un’azione iscritta alle necessità biologiche dell’uomo. Una bugia che dopo migliaia di anni di progresso della mente umana non abbiamo ancora imparato a sfatare, nonostante l’osservazione diretta che “lavorare” sia da sempre una ginnastica sociale, utile a distinguere i pochissimi che possono non lavorare dalla moltitudine che deve farlo. E quei “pochissimi” – e qui sta il dramma, ci indignano sempre meno, trasformati, per qualche forma di sadica ironia, in divinità mediatiche e riferimenti motivazionali dalla società della decadenza, mentre “noi moltitudine” ci detestiamo sempre di più, spinti a farci la guerra tra poveri per decidere a chi spetterà il boccone più grosso. Come se poi bastassero i bocconi a sfamarci…

L’amore non da preavviso?

No, ma credo risponda sempre ad una necessità che intimamente coviamo. Amiamo quando abbiamo bisogno di amare, ci lasciamo amare quando abbiamo bisogno di essere amati. Non esiste amore slegato dalla necessità di provarlo, in questo momento mi sento di non credere all’amore come valore assoluto. È un’altra bella bugia che se non trova riscontro nell’utilità dell’individuo rimane solo una bella favola. 

PH: Francesco Quadrelli

Certe paure come quella del buio si possono superare solamente attraverso l’esperienza?

No, quello che penso di aver capito è proprio il contrario: che certe paure non passano nemmeno con l’esperienza. Proprio non vanno via, forse perché, anche qui, necessarie. Poi, non serve nemmeno che te lo dica, che quel buio cambia di intensità e profondità ma ci accompagna sempre in forme diverse per ogni momento delle nostre età.

Non è mai troppo tardi per?

Ascoltare il terzo disco di Apice?

Nicolò Granone

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