Piergiorgio Corallo: ” Il cambiamento porta sviluppo” | Intervista

PH: Ufficio Stampa

Piergiorgio Corallo: ” Il cambiamento porta sviluppo” | Intervista

Sperimentare è un atto folle e necessario utile ad affermare il proprio senso di autodeterminazione. Tutto resta cristalizzato solo nei ricordi, e forse nemmeno in quei momenti.

Così partendo da questo presupposto Piergiorgio Corallo, artista a 360 gradi tra musica, arte e cultura, racconta “In via di sviluppo” suonando un disco  eterogeneo e variegato che passa dal rock allo ska e dall’inglese all’italiano.

Ogni traccia è un mondo interiore che crea curiosità e sospensione del giudizio. Tutto deve essere vissuto prima di essere obbligati a categorizzarlo o definirlo in un determinato modo in maniera indelebile.

Il movimento genera energia, solo il cambiamento può portare qualcosa di nuovo, talvolta giungendo a conclusioni inaspettate che hanno ancora il potere di coinvolgere e stupire, rispettando in pieno il senso d’imprevedibilità della nostra vita.

INTERVISTANDO PIERGIORGIO CORALLO

Che cos’è un genere musicale?

È una semplificazione necessaria ai cataloghi, ma forse, in fondo, non mi sembra esistano confini cosi solidi e reali tra i generi. Per me il genere serve solo ad identificare una inclinazione personale, un gusto, serve ad avere un parametro da infrangere. L’importanza di assegnare un nome a qualcosa per farla esistere, dalla Kabbalah, alla linguistica, alla religione, è un tratto fondativo dell’essere umano, una necessità.

Tu come definiresti quindi il tuo stile?

Rock alternativo è una definizione evocativa, ma credo di provare a fare semplicemente un rock elettronico un poco sperimentale, con molte vibrazioni revival. Nella canzone ‘My guitar in the Orchestra’ questa chitarrina fuori posto nell’ensamble sono io che cerco una collocazione nel mondo della musica.

 

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L’inglese e l’italiano: che strade sono per la tua musica?

Provo a risolvere preoccupazioni; in inglese ho sempre paura di perdermi qualcosa a livello di impatto emotivo, quando canto in italiano penso sempre a non apparire uguale a quello che sento intorno. Sicuramente i pezzi più sperimentali saranno in italiano, mi fido del nostro background culturale e azzardo forse di più.

Artisticamente stai combattendo delle battaglie?

Le battaglie quotidiane forse sono più interiori, come nel pezzo ‘Fight back’, ma di sicuro non mi piacciono superstar che non sappiano comporre o suonare alcuno strumento, non mi piace che la mia terra sia avvelenata dall’Ilva e nessuno lo canti, non mi piace che intere generazioni possano dimenticare indifferenti il nostro background punk rock italiano. La battaglia è contro il tempo e contro la velocità che porta tutto via. Nel pezzo ‘My personal rise against the war’ uso la techno per parlare della guerra, per attirare l’attenzione con lo straniamento di genere.

Che rapporto hai con il controllo e soprattutto sulla sensazione di perderlo?

Provo a controllare tutto, ma ho perso questa guerra. Nell’album ne parlo ed ammetto la sconfitta, ‘scappo lontano, ma mi prendono sempre’. Il controllo è solo una illusione che ci fa stare bene, ma la nostra realtà è multiforme, pericolante, incongruente e non lo vogliamo accettare; per questo anche io utilizzo tutti gli strumenti espressivi che riesco, dalla pittura alla musica, per capirci qualcosa in più.

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Ci sono situazioni in cui vale di più uno sbaglio, rispetto alla scelta più facile e giusta?

Sono gli sbagli che ci fanno felici, ci fanno costruire difese nuove, ci fanno uscire dalla noia. La scelta più giusta per noi in quel momento e in quel contesto non sarà mai sbagliata. Nel pezzo ‘I was wrong’ mi libero di questo giudizio interiore continuo e mi perdono.

Sei affascinato dal futuro e dalla sua tecnologia?

Moltissimo, soprattutto dagli strumenti che ci sta fornendo. Nel mio percorso il suono elettronico guiderà sempre gli album. Ma come nel pezzo ‘Ragazzo cibernetico’, ne colgo i rischi; potremmo diventare più perfetti, più freddi, ma soprattutto la tecnologia potrebbe raccontarsi come apparentemente democratica ma dividere poi nella realtà ancora di più chi possiede i mezzi per governarla e chi purtroppo no.

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