“Se questo è crescere”: i Flowers for Boys e la forza gentile della complessità | Intervista
I Flowers for Boys, una delle realtà più interessanti della nuova scena indipendente, ci guidano dentro Se questo è crescere, il loro primo album, spiegando come la band ha trasformato emozioni complesse e fragilità in canzoni vive e consapevoli.
Con loro abbiamo discusso di istinto e controllo, identità e consapevolezza, e di cosa significhi raccontarsi senza semplificarsi.
“Se questo è crescere”, il vostro primo album, sembra nascere da un’urgenza reale, ma restando molto controllato: i brani non cedono mai del tutto al caos. Come siete riusciti a trovare un equilibrio tra l’istinto e la lucidità?
“È stato difficile ed è stato l’aspetto sul quale abbiamo lavorato più a lungo per ricavare il nostro sound. Grazie anche al nostro produttore, Diego Ceo, abbiamo capito che a volte trasmette più rabbia un sussurro che un urlo. Sbloccato questo punto di vista, ci siamo chiesti ogni volta quale soluzione musicale andasse a definire ciò che volevamo trasmettere emotivamente”
Il disco dà l’impressione di un lavoro orchestrale, dove ogni strumento dialoga con gli altri. Qual è stato il momento in cui avete capito che il suono dei Flowers for Boys stava prendendo una forma riconoscibile?
“Onestamente, solamente quando l’album è stato completato. Quando lo stavamo scrivendo, eravamo talmente concentrati nel momento, ogni volta nel pezzo sul quale stavamo lavorando, che non ci siamo soffermati a vederlo nel complesso. Detto questo, immaginiamo sia stato totalmente spontaneo, la nostra identità si stava consolidando lavorando direttamente sui brani, e alla fine ne abbiamo presa totale consapevolezza”
Nell’album c’è una tangibile tensione tra il bisogno di raccontarsi e quello di trattenersi, come se crescere volesse dire imparare anche a dosare. Qual è il brano in cui questa urgenza si sente di più, per voi?
“ “Ci ho provato (non è una colpa)”, l’ultimo brano dell’album. È un brano disincantato, la constatazione che a volte per sopravvivere bisogna anestetizzarsi un po’. Una fine lucida e amara, ma anche tremendamente onesta”
Flowers for Boys suona come un manifesto gentile: l’idea che anche la fragilità possa appartenere a chi non se la sente addosso per convenzione. Cosa rappresenta oggi per voi quella scelta?
“Questa scelta rappresenta l’opportunità che ci siamo concessi di trattare determinati argomenti senza nessun tipo di timore tra noi. Sussurrare la felicità, urlare l’infelicità e viceversa. Qualsiasi emozione è meritevole di essere raccontata, in qualsiasi linguaggio e modo riteniamo giusto adoperare”
Il vostro progetto sembra nasca anche un po’ per restituire complessità a un modo di sentire spesso semplificato: quello maschile. È qualcosa che vivete come parte della vostra immagine artistica, o è una lettura che arriva da fuori?
“È assolutamente parte del nostro modo di vivere. La vita è troppo breve e le persone sono troppo complesse per cedere alla semplicità apparente che la società vuole imprimerci. Tutto è complesso, tutti noi siamo complessi e il nostro è un modo di ricordare anche ai maschi di non appiattirsi, di dialogare con sé stessi. Noi usiamo la nostra musica per fare esattamente questo”