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“Potevi scriverla tu quella canzone, ma non l’hai fatto. E quindi la ascolti” | Indie Talks

L’indie è diventato il nuovo pop del panorama musicale italiano, nonché uno dei miei generi preferiti in assoluto.

Uno dei motivi che fin da subito mi hanno fatto apprezzare l’indie in tutte le sue sfaccettature è che i brani non parlano di situazioni ricercate o illusorie, ma i cantautori di questo genere scrivono della quotidianità, fotografando momenti che tutti prima o poi vivono. 

Chi canta indie non ha bisogno di capacità vocali eccezionali. Molto spesso infatti i cantanti sono aiutati dal tanto contestato autotune, ma i brani arrivano a tutti , perché chiunque riesce a rivedersi in quelle frasi, a prima vista banali, perfette da usare come descrizioni su Instagram. Potrei quasi arrivare a dire che un buon 90% del lavoro lo fanno infatti i testi dei brani.

Il comune denominatore di questo genere è però anche un malessere generale e in qualche modo generazionale, adatto a chi vive, o sa di aver vissuto, quel particolare periodo in cui si ha tutto il mondo contro e si tenta di contrastarlo, fallendo miseramente. 

L’indie è bello perché parla a tutti e di tutti, parla di chi ha trovato l’amore della sua vita, di chi l’ha trovato ma l’ha anche perso ma soprattutto parla di chi ha perso le speranze ed è convinto che rimarrà solo per sempre dopo l’ennesima delusione. 
L’indie, a differenza del pop o di altri generi, parla anche ad una categoria spesso trascurata: gli sfigati. Quelli che la vita sociale l’hanno abbandonata al liceo, con la voglia di morire addosso e un disagio sempre altissimo e che sono destinati a guardare la persona amata da lontano e a pensarla la notte prima di dormire. 

L’indie ha un’altra componente molto forte e in alcuni casi prevalente: quella del no sense. Quante volte ascoltando qualche playlist indie, dopo aver sentito frasi come “Pesaro è una donna intelligente”, “mi sono addormentato di te” o qualsiasi altra canzone di Calcutta ci siamo fermati e abbiamo pensato che cazzo ho appena sentito? 

I primi che mi sono stati suggeriti sono ad esempio “non ci vediamo mai, potremmo fare il tour dei benzinai” di Fulminacci o “Apriva le piscine a novembre con i fermacapelli” de L’Officina della Camomilla. L’ultimo gruppo mi permette anche di collegarmi ad un altro fattore che caratterizza l’indie: i nomi d’arte assurdi di gruppi o addirittura singoli.

E qui citerei prima di tutto i Pinguini Tattici Nucleari, seguiti da Le luci della centrale elettrica, che poi è un solista, Vasco Brondi , che va a braccetto con Niccolò Contessa de I Cani o con il più recente duo Legno. Ma la lista è ancora lunga: Galeffi, Fulminacci, Colapesce, Mameli, Gazzelle, Postino e potrei andare avanti all’infinito. 
Insomma, abbiamo capito che se fai indie non puoi accontentarti di chiamarti con lo stesso nome registrato all’anagrafe (Carlo Coraggio ci è andato vicino, diventando Carl Brave). 

Parlando dei Pinguini Tattici Nucleari, pullulano inoltre i chiari riferimenti alla cultura del gaming, dei fumetti o delle grandi saghe d’infanzia. Ed è così che “lo sfigato” dei loro brani conquista un nome e diventa il Neville Paciock della situazione paragonato al cattivo Draco Malfoy del brano Irene o addirittura viene paragonato a Magikarp che con il tempo può diventare Gyarados. 

Ultimo fattore interessante può essere la strana ossessione di Calcutta per le città italiane o la forte connessione di Carl Brave, Franco126 e tutta la loro gang con la loro città natale, Roma.

L’indie è bello perché è assurdo e nel suo essere assurdo diventa quasi un cliché. Quasi tutti pensano di sapere cosa aspettarsi quando si ascolta un brano indie, ma la realtà è che ci sarà sempre qualche elemento che ci sorprenderà, che sia una parola o un’immagine suggestiva che sicuramente non avremmo mai immaginato di sentire, soprattutto in una canzone.

Ho parlato di indie con chi l’indie lo scrive: Alberto Polcini, in arte Peripezie, che già dallo pseudonimo rientra nelle scelte stilistiche già citate. Insieme abbiamo provato ad analizzare cosa passa nella testa di una cantautore indie, per cercare di avere qualche risposta alle domande che più volte, da ascoltatrice, mi sono posta.

INDIE TALKS | PERIPEZIE

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Cosa, a livello di testo, caratterizza una canzone indie? E da cosa nascono le tue?

L’indie italiano degli ultimi anni combacia sotto molti aspetti con il cantautorato classico. 
La differenza maggiore con quest’ultimo e ciò che ritengo la principale caratteristica dell’indie è l’immediatezza del testo e del messaggio del pezzo. 
Non c’è più la necessità di ricercare un’eccessiva quantità metafore astratte, notoriamente più vicine al mondo della poesia, bensì chi scrive si ritrova a pescare in ciò che avviene nella vita quotidiana, si sofferma sui piccoli gesti, quelli che fino a 20 anni fa non avrebbero trovato spazio in alcuna canzone e che invece oggi spesso rappresentano il fulcro di una canzone Indie.
Le mie canzoni sono puzzle di frasi, storie, racconti miei e delle persone a me care. Un mix di frammenti di vita che cerco di assemblare e confezionare nel miglior modo possibile.

Si parla spesso dei cliché dell’indie e dei cantanti indie: la perenne malinconia di fondo, il disagio, le relazioni finite e la scarsa voglia di vivere ecc. Cosa ne pensi e come ti collochi tu in questi cliché?

La malinconia e la tristezza caratterizzano da sempre molti generi musicali. 
Probabilmente nell’indie questa inclinazione è ulteriormente accentuata ma dopotutto spesso l’autore vuole che, per mezzo del proprio brano, l’ascoltatore abbia degli spunti di riflessione e ciò accade molto più frequentemente quando si ascoltano canzoni “tristi” piuttosto che “allegre”.
Capita di cadere nel cliché e ritengo la cosa inevitabile, spetta però all’abilità dell’autore trovare nuove modalità ed espedienti per esprimere i medesimi concetti. 
La lingua italiana è, direi fortunatamente, una delle più variegate ed è in costante evoluzione.
A volte si tratta semplicemente di scelte stilistiche, anche in passato si è abusato nelle canzoni delle rime con concetti relativi alle stelle, al cielo, al cuore, agli occhi, alla luna, eppure queste canzoni hanno sempre funzionato proprio perché ricorrevano ad immagini che l’ascoltatore visualizzava in modo immediato.

Per quanto riguarda il lato no sense dell’indie: perché, secondo te, una delle caratteristiche principali del genere è scrivere cose che apparentemente non hanno senso? E ci sono frasi che tu stesso hai scritto che rientrano nella categoria?

Personalmente sono un amante degli elementi nonsense, o almeno apparentemente tali. 
Sono spesso le frasi che rimangono più in testa, le più orecchiabili, quelle che magari ti fanno sorridere tra una strofa e l’altra, quelle che canticchi anche senza volerlo mentre stai studiando o mentre si è a lavoro.
Ovviamente non bisogna abusarne, ma sono delle potenti armi a disposizione dell’autore Indie, delle granate adesive che, se lanciate con astuzia, si incollano perennemente al cervello del pubblico. 
Spesso le frasi che sembrano più casuali sono quelle più pensate e ragionate da colui scrive, ma l’intento è quello di farle passare come parole inserite senza criterio nel testo.
Quando scrivo la mia attitudine è quella di cercare frasi che possano avere attinenza con la realtà, la frase nonsense se forzata non funziona e finora in fase di scrittura non ne ho mai sentito il richiamo né l’esigenza.

E infine, perché piace così tanto la musica indie?

L’indie piace perché è vero, perché nella maggior parte dei casi è semplice e arriva subito. 
Piace perché in un modo o nell’altro ti ci ritrovi sempre dentro, o nel testo o nella melodia, perché è social e ti offre una libreria immensa di frasi da utilizzare per storie, post e per lanciare frecciatine a chi ti piace o a chi ti sta sulle palle.
Piace perché fa alternativo ma fa anche mainstream. 
L’indie piace perché avresti potuto scriverla anche tu quella canzone, ma non l’hai fatto.
E quindi la ascolti.

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